Una virtù che a Jerome sicuramente mancava era la
pazienza. L’accendino si illuminava per l’ennesima volta per le vie di Bordeaux,
accendendo un’altra sigaretta. Il secondo pacchetto finito, da quando aveva
incominciato quel giro la mattina presto. Ormai era sera.
Si stringeva nel cappotto, riscaldandosi, mentre
voracemente tirava fuori dalla sigaretta enormi boccate di fumo, che restituiva
all’aria francese. Boccate nervose, come il suo volto. Fino ad allora il giro
era stato del tutto infruttuoso, e l’entusiasmo del giorno prima, quando aveva
avuto quell’idea illuminante, andava piano piano scemando, rimpiazzato dall’impellenza
del suo lavoro.
E dire che notizie di cui potesse parlare un giornalista
di certo non mancavano, nonostante la relativa stabilità che animava la
situazione mondiale di quei tempi. Con un minimo di sbattimento, avrebbe
facilmente trovato un luogo in cui da poco era stata rapinata una persona, o un
caso di cui interessarsi e che potesse occupare le sue giornate per un periodo
abbastanza ampio da assicurargli la pagnotta per un po’, gridando ai quattro
venti come fossero incompetenti le forze dell’ordine. O magari, scavando a
fondo, con un po’ di impegno, avrebbe potuto trovare una traccia riguardo un
presunto scandalo politico, magari uno dei tanti senatori che andavano a
minorenni, o che accettavano tangenti dalla criminalità organizzata.
Le solite notizie, i soliti titoloni. In soldoni, il
solito.
Per carità, casi del genere erano indubbiamente gravi e
degni di nota, ma lo lasciava un po’ sconfortato la ripetitività che animava il
mondo della notizia al giorno d’oggi. Tutto suonava di già visto… già trattato.
Per questo girava come un’idiota per le fredde vie della
città. Ricordava ancora di quei giornalisti americani che giravano lo stato raccogliendo
con uno di quei vecchi registratori le testimonianze del folklore al di fuori
delle metropoli, e, per rompere la monotonia, gli era venuta in testa l’idea di
imitarli.
Nelle metropoli di oggi, d’altronde, soggetti strani di
certo non mancavano. Artisti girovaghi convinti di poter sfondare, vecchi
ubriaconi che dormivano in degli scatoloni, gente strana insomma. I rifiuti
della società di allora.
Sperava di trovare qualche storia interessante di cui
parlare, ma rimase infelicemente sorpreso di quanto anche le vicende di questi
casi umani fossero monotone, prive di originalità.
Così quasi con rassegnazione Jerome si ritrovava alle
porte del più grande parco della città.
Aveva lasciato il Jardine Bordelais per ultimo, nel suo
giro, sperando di trovare in esso solo il culmine di una giornata di lavoro
proficua.
Mai avrebbe immaginato che era la sua ultima speranza di
trovare uno spunto, uno stralcio di storia su cui scrivere qualcosa di
veramente interessante.
Ormai era sera, per cui di personaggi stravaganti,
gettati sulle panchine del parco, non dovevano certo mancarne. Ma entrando non
riusciva a trovare qualcosa che potesse attirare efficacemente la sua
attenzione.
Sospirando, iniziava ad entrare nella sua testa l’idea di
aver fatto l’ennesimo buco nell’acqua, quando il suo sguardo fu attratto da una
figura particolare.
Un vecchio, seduto su una panchina, con lo sguardo perso
nel vuoto. La peluria canuta e l’aria di chi sopportava il peso del mondo lo
facevano sembrare più vecchio di quanto la corporatura facesse sembrare. Ad
occhio e croce, facendo una stima, non doveva avere più di cinquant’anni, per
quanto ne dimostrasse di più. Ma quel che più attirava lo sguardo del giornalista
era quell’aura… particolare.
Per quanto fosse evidente che fosse un senzatetto,
emanava un che di regale, di nobile… come se fosse un esponente di chissà quale
famiglia decaduta… un’aria che faceva a
pugni con la benda che nascondeva il suo occhio sinistro.
Il solo occhio destro rimaneva fisso, lo sguardo perso in
chissà quali pensieri…
“Bingo.”
Eccolo, finalmente. Era questo quello che stava cercando.
Una persona vissuta, dall’aria disillusa, di chi ne aveva passate così tante e
subito così tanto dalla vita da essersene distanziato, come se ne fosse stato
tradito.
Jerome era eccitato. Notti a sbattere avanti e indietro
per tutta Bordeaux e finalmente se ne vedeva il senso. Chissà quante storie
aveva da raccontare, quel vecchio guercio. Quasi automaticamente i suoi piedi
si mossero a grandi passi verso la figura canuta. Un automatismo, di cui il
giornalista quasi non si era reso conto.
Ma lui si. Lo sguardo veloce corse sulla sagoma del giornalista, facendolo sentire come pietrificato. Freddo, distaccato, vuoto… la tipologia di sguardi di cui in genere leggi in quei fantasy da quattro soldi, in genere lanciati da protagonisti o da giovani tenebrosi che avevano subito chissà quale torto che, alla fin fine, impallidisce con quella che può essere la vera routine del mondo, soprattutto di quei tempi. Uno sguardo che lo aveva lasciato di stucco, facendogli sentire per un istante tutto il peso che poteva gravare su quell'individuo, che sembrava così insopportabile... così gravoso. E in quel mare di sensazioni, quasi non si era accorto che il guercio se ne andava via.
Ma lui si. Lo sguardo veloce corse sulla sagoma del giornalista, facendolo sentire come pietrificato. Freddo, distaccato, vuoto… la tipologia di sguardi di cui in genere leggi in quei fantasy da quattro soldi, in genere lanciati da protagonisti o da giovani tenebrosi che avevano subito chissà quale torto che, alla fin fine, impallidisce con quella che può essere la vera routine del mondo, soprattutto di quei tempi. Uno sguardo che lo aveva lasciato di stucco, facendogli sentire per un istante tutto il peso che poteva gravare su quell'individuo, che sembrava così insopportabile... così gravoso. E in quel mare di sensazioni, quasi non si era accorto che il guercio se ne andava via.
Trasalendo, il primo impulso di Jerome fu quello di
raggiungerlo, di parlargli, di tentare,per quanto fosse possibile, di
convincere l’uomo ad aprirsi, a raccontargli la sua storia. Ma l’impulso si
fermò, trattenuto dalle sudice mani, a stento coperte da guanti usurati, di un
altro senzatetto. Il primo istinto fu quello di scrollarselo di dosso,
violentemente, credendo che lo stesse aggredendo. Gli tirò un pugno, e entrambi
rovinarono a terra pesantemente.
Jerome si alzò, un po' ammaccato, e fece per voltare le
spalle. La voce del senzatetto a terra lo fermò sul posto.
“E' inutile che ti avvicini... il Guercio non dirà nulla.
Non dice quasi mai niente a nessuno.”
Si girò, un po' titubante, guardando l'uomo sputare del
sangue. Guardandolo ora, si rendeva conto che non aveva alcuna intenzione
ostile... e soprattutto sembrava conoscere quel vecchio. Lo aveva apostrofato
come il Guercio... soliti nomignoli dozzinali.
“E per dire questo, immagino che lo conosci... non è
vero?”
“Certo che lo conosco... ci conosciamo tutti qui, in questa
città.”
Jerome sorrise. Poteva iniziare da li. Sentiva l'odore della
notizia sempre più vicino.
Gli porse la mano, per aiutarlo ad alzarsi, faticando a
trattenere la sensazione di disgusto provata nell'avvicinarsi all'olezzo
emanato da quell'individuo, la cui ultima preoccupazione sicuramente era la sua
igiene personale. Eppure aveva cercato di fermarlo.
“Ti chiedo scusa per prima... pensavo volessi rapinarmi.”
Il barbone scosse la testa.
“Non importa... ci siamo abituati.”
“Immagino che mi fermassi dall'inseguire il... Guercio,
giusto?”
“E' esatto...”
“Come mai queste attenzioni? Non è un b... uno come tutti
gli altri?”
Lo sguardo del senzatetto sembrò dubbioso, come se ci
fosse qualcosa di nascosto
“Lei non sa chi è lui, non è vero?”
Poche parole, ma il fuoco dentro Jerome diventò ancora
più vivo. Accese il microfono che teneva nascosto, facendo modo di non essere
visto, e gli fece cenno di continuare
“Quell'uomo è parecchio conosciuto nel 'vostro' mondo.
Dice niente il nome Bertrand?”
Gli occhi del giornalista si spalancarono.
“Bertrand? Non è la famiglia proprietaria della Bertrand
Enterprise? Che c'entra quel vecchio con la più grande compagnia del mondo?”
“Quel... vecchio, come lo hai chiamato tu, è Jacques
Bertrand, il fondatore. Ti dice niente?”
Gli diceva tutto. Jacques Bertrand era un personalità
conosciutissima... più di dieci anni fa. Era scomparso improvvisamente, e
l'idea che potesse essere diventato quel barbone, per quanto carismatico, gli
sembrava così folle... da rimanerne affascinato.
Da li il barbone iniziò a dirgli tutto quello che sapeva.
Che Jacques era riapparso nel mondo civilizzato circa sei anni prima, con quella
vistosa menomazione da cui aveva preso il soprannome. Che non era scomparso, ma
che era stato rapito. Che per qualche strano motivo non aveva voluto
rivendicare la sua posizione nella compagnia, che dopo la sua dipartita era
diventata la grande multinazionale che ora tutti conoscevano. Un racconto
frutto di voci, che non si sapeva neanche da dove fosse partito.
E mentre Jerome inutilmente cercava di scendere nei
dettagli, non si erano accorti che una figura era li vicino ad ascoltarli
“Così mi sembra alquanto... povero, come racconto.”
Una voce scosse il giornalista e il vagabondo,
proveniente dalla panchina alle proprie spalle. Era lui, il Guercio.
“Se proprio volete sapere i fatti miei, sarà mio piacere
riferirveli...”
Jerome non sapeva cosa lo stesse spingendo a parlare, né
perché si trovasse li ora. In verità Jerome non sapeva niente. E niente gli
importava, oltre quella storia.
Il vecchio sollevò il volto, sospirando, riordinandosi le
idee.
“Ci sono molte cose da dire, in effetti. Sono figlio di
ricchi imprenditori, un ereditiero, ben lontano nei miei natali dal posto in
cui mi trovo ora. Fin dalla mia nascita, sapevo che avrei ereditato le buone
fortune di cui i miei erano provvisti. Per carità, non erano certo fortune alla
Bill Gates, ma di certo ero ben più che benestante, abbastanza per poter vivere
tranquillamente e senza nessuna mancanza la mia vita. Sapendo questo, intorno ai
miei diciotto anni, spacciandolo per un percorso di formazione personale, così
da poter essere ancora più maturo per poter portare avanti la nostra azienda,
girai il mondo per tre anni.
ll'insaputa dei miei, tuttavia, non andai in quelle città
come Londra, Parigi, Helsinki... quelle città che sembravano poli commerciali,
dove tutto sembrava così roseo, dove i poveracci, per quanto presenti, non
erano una quota così importante della popolazione, e i disagi non erano così
presenti come in altre parti del mondo. Avevo bisogno di conoscere quello che
non avevo mai potuto vivere, e di certo quei posti non mi avrebbero arricchito,
considerando che non era ancora tempo di crisi.
Decisi di girare prima posti relativamente più
tranquilli, ma meno organizzati, dove il più grande disagio poteva essere la
disoccupazione giovanile, il mal funzionamento degli esercizi pubblici, la
gente che si sbatteva cercando di arrivare a fine mese, la malavita stessa, che
paradossalmente dava alla gente del posto quello che la polizia non poteva, ma
soprattutto non voleva dare: ordine.
Da li mi spostai verso aree ancora più disagiate. Andai
in Medio Oriente, a vivere la vera povertà, a vedere i bambini morire di fame e
i soldati di ambo gli schieramenti sputare sui loro cadaveri incuranti... il
terrore dipinto nei loro occhi, che chiedevano soltanto quello che dovrebbe
appartenere a qualsiasi essere di questo mondo, il diritto di vivere. In Africa
gli scenari erano molto simili, seppur meno desolati. Più poveri, senz'altro.
Ma la vita tribale mi affascinò incredibilmente.
Leggevo molto da bambino, e quegli spettacoli per me
erano così lontani dalla mia realtà quotidiana che mi sembrava di essere uscito
da una teca di vetro. Indubbiamente è stato quasi stupido muovermi in quel
modo, ho perso il conto di quante volte ho dovuto fuggire per la mia vita. Ma
più viaggiavo e più l'ingiustizia mi colpiva. E più arrivavo alle radici della
civiltà umana e più mi avvicinavo a quello che dovremmo essere.
Un popolo unito, gomito a gomito, magari anche
settorializzato, in cui ognuno aveva il proprio compito, ma ognuno lo viveva
con una dignità che sembrava essere scomparsa nella civiltà moderna, una...”
“Chiedo scusa, signor Bertrand, ma...”
“Con calma, ci stiamo arrivando. Insomma, la vita tribale
mi aveva insegnato qualcosa. Mi aveva insegnato che nell'essere umano poteva
esserci un modo di vivere più giusto, più paritario, senza snaturare la
compartimentalizzazione dei doveri propria della civiltà. Mi aveva insegnato
quanto il mondo fosse lontano da quella prigione dorata che era la mia abitazione.
E mi aveva dato uno scopo.
Avevo le fortune necessarie per iniziare un sogno, per
poter dedicare la mia vita a questo. E soprattutto, paradossalmente, per quanto
non conoscessi il mondo 'vero', quello finanziario mi era noto come le mie
tasche. Non volevo più vedere quegli sguardi disillusi, quel terrore, mentre
nei piani alti le persone ingrassano, senza sapere che farsene veramente dei
propri poteri.
Dovevo, e potevo, fare qualcosa. Tornai in Francia.
Fondai la Bertrand Enterprise, una compagnia con lo scopo nascosto di riportare
l'Uguaglianza nel genere umano. Quella compagnia è stata la mia prima
creazione, il sogno e il lavoro di una vita, e quanto più diventava potente,
perchè nonostante il sogno utopico, come ben sapete, la compagnia divenne
potente, tanto più mi sentivo realizzato. Era il mio amore più grande, mi sa.
Lo scopo di una vita intera...
Bando alle ciance, comunque... cosa stavo dicendo?
Ah si, fondai la Bertrand Enterprise. Iniziai le
selezioni del personale io stesso, e in modo occulto mi attorniai di persone
che sembravano covare i miei stessi ideali. Una schiera di persone con menti
affini, predisposte ad uno stesso scopo... il modo migliore per evitare conflitti
interni e per creare un ambiente che sia proficuo per l'evoluzione, sia personale
sia della compagnia stessa.
Qui conobbi una persona speciale, una donna, tanto per
cambiare. Ormai è passato tanto tempo, però mi sembra ancora di riuscire a
vedere il suo volto, i suoi lunghi capelli rossi, riccioluti...
Per farla breve, me ne innamorai, ma la vita non fu
gentile con me. Dopo poco tempo che ci conoscevamo, meno di un anno, ci
sposammo. Qualche mese dopo era incinta di quello che doveva essere il nostro
primo figlio, Claude. Primo e ultimo, sfortunatamente. Ci furono complicanze
nel parto... non mi va di parlarne.
Scosso ancora dalla perdita, mi ritrovai ad essere non
solo il capo di una delle nascenti potenze dell'economia francese, ma anche
padre. Un maschio, un erede, l'ultima famiglia che mi era rimasta, dalla morte
dei miei.
Senza che lo notassi, tutto l'amore che avevo provato in
quel poco tempo per sua madre era stato riversato su di lui. Non volli una mano
nel crescere mio figlio: me ne scoprii incredibilmente geloso.
Crescendo, notavo quanto la sua intelligenza fosse
brillante, e sapevo che, se guidata bene, poteva essere il degno seguace dei
miei ideali. Lo crebbi su modelli di uguaglianza, facendogli conoscere, per
quanto potessi, le bellezze che il mondo celava. Insegnandogli quante potevano
ancora emergere, se l'utopia a cui stavo dando la nascita si fosse affermata
per bene.
La compagnia cresceva sempre di più, andando a rimuovere
potere alle grandi multinazionali nel globo, il tutto con un comportamento puro
e cristallino. Le migliori menti del globo erano riunite sotto il mio comando,
e dal loro incredibile ingegno sono nate le scoperte più importanti del mondo
attuale, che incanalai verso un utilizzo coscienzioso e, soprattutto, utile per
l'uomo e per l'ambiente. E più diventava potente, più i miei sforzi per poter
compiere l'opera di livellamento delle condizioni di vita dei più oppressi
andava avanti.
Beneficenza, donazioni segrete, precettori, tutti riuniti
segretamente sopra la mia bandiera. A poco a poco sembrava che il mio mondo
'ideale' potesse fiorire sotto il mio temporaneo comando. E alla mia destra
c'era lui, Claude, l'unica persona che avesse fatto totalmente breccia nella
mia vita. Se tutto fosse andato bene, con lui l'umanità avrebbe vissuto il
momento di più grande prosperità e pace che si sia mai visto, e questa
possibilità mi riempiva sempre più d'orgoglio, soprattutto vedendo come era
ricettivo. Già a sedici anni era una delle più grandi personalità all'interno
della compagnia, e le sue conoscenze aumentavano ogni giorno.
Naturalmente, per quanto stessimo diventando potenti, non
eravamo ancora in grado di poter opporci veramente alle persone che tengono le
fila del mondo... ancora oggi.
Le voci, nonostante la nostra discrezione, arrivarono
alle loro orecchie.
Arrivarono i messaggi che intimavano a darsi una
'regolata'. Seguirono le minacce, i primi incidenti.
Evidentemente non si erano ancora resi conto di quanto
fossi legato alla compagnia, al mio sogno, e che mosse simili non avrebbero in
nessun modo potuto distogliermi dal mio obiettivo.
Ma presto capirono con chi avevano a che fare. E si
regolarono di conseguenza.
Una notte di dodici anni fa venni rapito, in una di
quelle sere che segretamente mi prendevo per immergermi nel 'vero' mondo, a
vivere da vicino l'umanità che cercavo di salvare. Mi risvegliai in una stanza
buia, incatenato. E in quella stanza rimasi per sei anni. Cercarono inutilmente
di piegarmi, di manipolarmi, di strapparmi al mio sogno. Mi torturarono, come
potete vedere, ma io non cedetti. Sapevo chi c'era fuori da quella stanza... e
un volto fra tutti troneggiava tra i miei pensieri. Non avevo paura di cosa
sarebbe stato della compagnia, perché Claude era lì... e benché non riuscissi
consciamente ad ammetterlo, era pronto... forse pure più di me.
E in nome suo e di tutte le persone che cercavamo di
proteggere sopportai. Le frustate, le mutilazioni... le torture psicologiche.
Sopportai tutto. E il tempo sembrava essersi fermato. Non riuscivo a rendermi
conto di quanto tempo fosse passato da quando ero li dentro. A poco a poco
notai che non sembravano più interessati a piegarmi al loro volere. Era
diventata una prassi, e la stessa cosa valeva per me. Le ferite? Non le
sentivo. La fame non ne parliamo. Gli odori, per quanto siano ancora stampati
nella mia memoria, erano sempre quelli, e quasi mi sembrava che fossero gli
unici esistenti, tra piscio, carne bruciata, sangue e lacrime. E coi giorni che
passavano senza che me ne rendessi conto un giorno mi svegliai senza nessuna
guardia... e con una porta aperta.
Non ricordo nemmeno se le catene erano già aperte o se mi
fossi liberato da solo. Ricordo solo la sensazione del sole sulla mia pelle e
dell'aria pura nei miei polmoni, mentre riassaggiavo, per un motivo che mi era
ancora poco noto, la mia libertà.
Riuscii a tornare a Bordeaux, impaziente di vedere il
mondo come era diventato in mia assenza.
La verità mi colpì come un pugno allo stomaco.
La Bertrand Enterprise era diventata una multinazionale,
anzi LA multinazionale, invischiata in qualsiasi tipo di affari, dalle armi,
alle guerre... e mio figlio era li, tronfio, a guidarla verso la via della
perdizione.
Non sapevo che pensare. Mi crollava tutto addosso, i sogni,
le speranze, gli affetti... tutto quello che avevo patito impallidiva di fronte
a quell'unica immagine che è così marchiata nella mia testa... da farmi ancora
male.
Mi riferirono cosa era successo. Che era stato tutto calcolato. Che fin dall’inizio la mia cattura non era servita ad altro se non a lasciare campo libero al loro uomo, il loro pupazzo, Claude, per portare la Bertrand Enterprise sui binari che ora percorreva. Che tutto quello che avevo passato, tutto era solo per punirmi per averli sfidati così apertamente. E che quello che ora vedevo non era nient’altro che il culmine del loro piano.
Mi riferirono cosa era successo. Che era stato tutto calcolato. Che fin dall’inizio la mia cattura non era servita ad altro se non a lasciare campo libero al loro uomo, il loro pupazzo, Claude, per portare la Bertrand Enterprise sui binari che ora percorreva. Che tutto quello che avevo passato, tutto era solo per punirmi per averli sfidati così apertamente. E che quello che ora vedevo non era nient’altro che il culmine del loro piano.
Io avevo resistito, avevo sopportato la perdita del mio
occhio, della mia vita, tutto questo con quell'unico raggio di sole nella mia
mente... e ora mi ritrovavo li, fermo, ad osservare la mia disfatta. E il
relitto dell'uomo che ero era l'ennesimo trofeo nelle loro mani.
Rifiutai di tornare alla mia vita... non avevo più alcuno
stimolo per farlo.
Quando ero giovane, avevo cercato in tutti i modi di
coltivare questo mio sogno, di vivere queste due passioni. Mio figlio e la
compagnia sono state le creazioni su cui avevo speso tutto, l'ideale verso cui
li avevo lanciati erano il mio più grande amore, e loro ne erano la sua
incarnazione più grande. Ma per quanto io abbia lottato così tanto per poterli
vedere prosperare, bastarono pochi mesi per buttare all’aria tutto quello che
avevo cercato di costruire. Avevano dimostrato qualcosa: che nulla era
incorruttibile, che i sogni questo sono, sogni… e che io sono un vecchio pazzo,
che ha cercato di fare un gioco più grande di lui solo per capire la sua
impotenza.
Ero giovane, e mi hanno preso. Ero giovane e ho messo la
mia vita al servizio di un unico amore.
Ora non sono più giovane, e tutto mi è crollato addosso,
scivolando tra le mie dita come polvere. Ora mi rendo conto di quanto sono
piccolo di fronte a tutto quello che mi circonda, che per quanto possa lottare
un solo uomo non potrà mai nulla... e che l'umanità ormai è al di là della
redenzione.
Per questo sono qui ora. Per questo rimango in disparte.
A che serve vivere nella civiltà, se sei consapevole di non poter fare niente,
anche se animato dalle buone intenzioni? I buoni vincono solo nei libri…”
Il giornalista rimase in silenzio per tutto il racconto, sentendosi ad ogni parola sempre più sprofondare.
Il giornalista rimase in silenzio per tutto il racconto, sentendosi ad ogni parola sempre più sprofondare.
Davanti a lui c’era un uomo distrutto, disilluso,
disgustato da una vita che gli aveva dato l’illusione più grande, la speranza,
solo per farlo salire abbastanza da spezzarlo nel momento della caduta.
Con riverenziale silenzio si girò, allontanandosi,
lasciando il povero uomo a guardare il cielo stellato, in fuga da quello che
erano le rovine della sua vita. Non si accorse delle lacrime che scendevano
dall’unico occhio, l’ultimo mezzo per rendere ancora più percepibile la sua
beffa.
Si allontanò piano, immerso nei pensieri. Era questa la
storia che stava cercando. La storia di una persona che fuggiva dalla civiltà
praticamente per scelta, disgustato da quello che il tempo gli aveva insegnato,
da quello che l’umanità ogni giorno gli insegnava, e sconvolto da un passato
che affondava le sue radici nel nucleo stesso di quella farsa che ogni giorno i
giornali del tempo vivevano. E oltretutto era una storia abbastanza potente da
potergli dare spunti per andare ancora più a fondo. Era un giornalista
abbastanza sveglio da poter cercare i personaggi di cui aveva sentito parlare
dal vecchio, da portare alla luce le verità che gli erano state esposte quella
sera, quasi come uno Sherlock Holmes della notizia. Era tutto questo…
Ma era soprattutto una delle migliori penne del suo
quotidiano, di proprietà della Bertrand Enterprise.
*click*
Quasi a malincuore Jerome pigiò il tasto Cancella… e tutta la conversazione che aveva registrato ritornava al posto a cui apparteneva.
Quasi a malincuore Jerome pigiò il tasto Cancella… e tutta la conversazione che aveva registrato ritornava al posto a cui apparteneva.
All’oblio.