Citazioni


sabato 21 settembre 2013

Ero giovane



Una virtù che a Jerome sicuramente mancava era la pazienza. L’accendino si illuminava per l’ennesima volta per le vie di Bordeaux, accendendo un’altra sigaretta. Il secondo pacchetto finito, da quando aveva incominciato quel giro la mattina presto. Ormai era sera.
Si stringeva nel cappotto, riscaldandosi, mentre voracemente tirava fuori dalla sigaretta enormi boccate di fumo, che restituiva all’aria francese. Boccate nervose, come il suo volto. Fino ad allora il giro era stato del tutto infruttuoso, e l’entusiasmo del giorno prima, quando aveva avuto quell’idea illuminante, andava piano piano scemando, rimpiazzato dall’impellenza del suo lavoro.
E dire che notizie di cui potesse parlare un giornalista di certo non mancavano, nonostante la relativa stabilità che animava la situazione mondiale di quei tempi. Con un minimo di sbattimento, avrebbe facilmente trovato un luogo in cui da poco era stata rapinata una persona, o un caso di cui interessarsi e che potesse occupare le sue giornate per un periodo abbastanza ampio da assicurargli la pagnotta per un po’, gridando ai quattro venti come fossero incompetenti le forze dell’ordine. O magari, scavando a fondo, con un po’ di impegno, avrebbe potuto trovare una traccia riguardo un presunto scandalo politico, magari uno dei tanti senatori che andavano a minorenni, o che accettavano tangenti dalla criminalità organizzata.
Le solite notizie, i soliti titoloni. In soldoni, il solito.
Per carità, casi del genere erano indubbiamente gravi e degni di nota, ma lo lasciava un po’ sconfortato la ripetitività che animava il mondo della notizia al giorno d’oggi. Tutto suonava di già visto… già trattato.
Per questo girava come un’idiota per le fredde vie della città. Ricordava ancora di quei giornalisti americani che giravano lo stato raccogliendo con uno di quei vecchi registratori le testimonianze del folklore al di fuori delle metropoli, e, per rompere la monotonia, gli era venuta in testa l’idea di imitarli.
Nelle metropoli di oggi, d’altronde, soggetti strani di certo non mancavano. Artisti girovaghi convinti di poter sfondare, vecchi ubriaconi che dormivano in degli scatoloni, gente strana insomma. I rifiuti della società di allora.
Sperava di trovare qualche storia interessante di cui parlare, ma rimase infelicemente sorpreso di quanto anche le vicende di questi casi umani fossero monotone, prive di originalità.
Così quasi con rassegnazione Jerome si ritrovava alle porte del più grande parco della città.
Aveva lasciato il Jardine Bordelais per ultimo, nel suo giro, sperando di trovare in esso solo il culmine di una giornata di lavoro proficua.
Mai avrebbe immaginato che era la sua ultima speranza di trovare uno spunto, uno stralcio di storia su cui scrivere qualcosa di veramente interessante.
Ormai era sera, per cui di personaggi stravaganti, gettati sulle panchine del parco, non dovevano certo mancarne. Ma entrando non riusciva a trovare qualcosa che potesse attirare efficacemente la sua attenzione.
Sospirando, iniziava ad entrare nella sua testa l’idea di aver fatto l’ennesimo buco nell’acqua, quando il suo sguardo fu attratto da una figura particolare.
Un vecchio, seduto su una panchina, con lo sguardo perso nel vuoto. La peluria canuta e l’aria di chi sopportava il peso del mondo lo facevano sembrare più vecchio di quanto la corporatura facesse sembrare. Ad occhio e croce, facendo una stima, non doveva avere più di cinquant’anni, per quanto ne dimostrasse di più. Ma quel che più attirava lo sguardo del giornalista era quell’aura… particolare.
Per quanto fosse evidente che fosse un senzatetto, emanava un che di regale, di nobile… come se fosse un esponente di chissà quale famiglia decaduta…  un’aria che faceva a pugni con la benda che nascondeva il suo occhio sinistro.
Il solo occhio destro rimaneva fisso, lo sguardo perso in chissà quali pensieri…
“Bingo.”
Eccolo, finalmente. Era questo quello che stava cercando. Una persona vissuta, dall’aria disillusa, di chi ne aveva passate così tante e subito così tanto dalla vita da essersene distanziato, come se ne fosse stato tradito.
Jerome era eccitato. Notti a sbattere avanti e indietro per tutta Bordeaux e finalmente se ne vedeva il senso. Chissà quante storie aveva da raccontare, quel vecchio guercio. Quasi automaticamente i suoi piedi si mossero a grandi passi verso la figura canuta. Un automatismo, di cui il giornalista quasi non si era reso conto.
Ma lui si. Lo sguardo veloce corse sulla sagoma del giornalista, facendolo sentire come pietrificato. Freddo, distaccato, vuoto… la tipologia di sguardi di cui in genere leggi in quei fantasy da quattro soldi, in genere lanciati da protagonisti o da giovani tenebrosi che avevano subito chissà quale torto che, alla fin fine, impallidisce con quella che può essere la vera routine del mondo, soprattutto di quei tempi. Uno sguardo che lo aveva lasciato di stucco, facendogli sentire per un istante tutto il peso che poteva gravare su quell'individuo, che sembrava così insopportabile... così gravoso. E in quel mare di sensazioni, quasi non si era accorto che il guercio se ne andava via.
Trasalendo, il primo impulso di Jerome fu quello di raggiungerlo, di parlargli, di tentare,per quanto fosse possibile, di convincere l’uomo ad aprirsi, a raccontargli la sua storia. Ma l’impulso si fermò, trattenuto dalle sudice mani, a stento coperte da guanti usurati, di un altro senzatetto. Il primo istinto fu quello di scrollarselo di dosso, violentemente, credendo che lo stesse aggredendo. Gli tirò un pugno, e entrambi rovinarono a terra pesantemente.
Jerome si alzò, un po' ammaccato, e fece per voltare le spalle. La voce del senzatetto a terra lo fermò sul posto.
“E' inutile che ti avvicini... il Guercio non dirà nulla. Non dice quasi mai niente a nessuno.”
Si girò, un po' titubante, guardando l'uomo sputare del sangue. Guardandolo ora, si rendeva conto che non aveva alcuna intenzione ostile... e soprattutto sembrava conoscere quel vecchio. Lo aveva apostrofato come il Guercio... soliti nomignoli dozzinali.
“E per dire questo, immagino che lo conosci... non è vero?”
“Certo che lo conosco... ci conosciamo tutti qui, in questa città.”
Jerome sorrise. Poteva iniziare da li. Sentiva l'odore della notizia sempre più vicino.
Gli porse la mano, per aiutarlo ad alzarsi, faticando a trattenere la sensazione di disgusto provata nell'avvicinarsi all'olezzo emanato da quell'individuo, la cui ultima preoccupazione sicuramente era la sua igiene personale. Eppure aveva cercato di fermarlo.
“Ti chiedo scusa per prima... pensavo volessi rapinarmi.”
Il barbone scosse la testa.
“Non importa... ci siamo abituati.”
“Immagino che mi fermassi dall'inseguire il... Guercio, giusto?”
“E' esatto...”
“Come mai queste attenzioni? Non è un b... uno come tutti gli altri?”
Lo sguardo del senzatetto sembrò dubbioso, come se ci fosse qualcosa di nascosto
“Lei non sa chi è lui, non è vero?”
Poche parole, ma il fuoco dentro Jerome diventò ancora più vivo. Accese il microfono che teneva nascosto, facendo modo di non essere visto, e gli fece cenno di continuare
“Quell'uomo è parecchio conosciuto nel 'vostro' mondo. Dice niente il nome Bertrand?”
Gli occhi del giornalista si spalancarono.
“Bertrand? Non è la famiglia proprietaria della Bertrand Enterprise? Che c'entra quel vecchio con la più grande compagnia del mondo?”
“Quel... vecchio, come lo hai chiamato tu, è Jacques Bertrand, il fondatore. Ti dice niente?”
Gli diceva tutto. Jacques Bertrand era un personalità conosciutissima... più di dieci anni fa. Era scomparso improvvisamente, e l'idea che potesse essere diventato quel barbone, per quanto carismatico, gli sembrava così folle... da rimanerne affascinato.
Da li il barbone iniziò a dirgli tutto quello che sapeva. Che Jacques era riapparso nel mondo civilizzato circa sei anni prima, con quella vistosa menomazione da cui aveva preso il soprannome. Che non era scomparso, ma che era stato rapito. Che per qualche strano motivo non aveva voluto rivendicare la sua posizione nella compagnia, che dopo la sua dipartita era diventata la grande multinazionale che ora tutti conoscevano. Un racconto frutto di voci, che non si sapeva neanche da dove fosse partito.
E mentre Jerome inutilmente cercava di scendere nei dettagli, non si erano accorti che una figura era li vicino ad ascoltarli
“Così mi sembra alquanto... povero, come racconto.”
Una voce scosse il giornalista e il vagabondo, proveniente dalla panchina alle proprie spalle. Era lui, il Guercio.
“Se proprio volete sapere i fatti miei, sarà mio piacere riferirveli...”
Jerome non sapeva cosa lo stesse spingendo a parlare, né perché si trovasse li ora. In verità Jerome non sapeva niente. E niente gli importava, oltre quella storia.
Il vecchio sollevò il volto, sospirando, riordinandosi le idee.
“Ci sono molte cose da dire, in effetti. Sono figlio di ricchi imprenditori, un ereditiero, ben lontano nei miei natali dal posto in cui mi trovo ora. Fin dalla mia nascita, sapevo che avrei ereditato le buone fortune di cui i miei erano provvisti. Per carità, non erano certo fortune alla Bill Gates, ma di certo ero ben più che benestante, abbastanza per poter vivere tranquillamente e senza nessuna mancanza la mia vita. Sapendo questo, intorno ai miei diciotto anni, spacciandolo per un percorso di formazione personale, così da poter essere ancora più maturo per poter portare avanti la nostra azienda, girai il mondo per tre anni.
ll'insaputa dei miei, tuttavia, non andai in quelle città come Londra, Parigi, Helsinki... quelle città che sembravano poli commerciali, dove tutto sembrava così roseo, dove i poveracci, per quanto presenti, non erano una quota così importante della popolazione, e i disagi non erano così presenti come in altre parti del mondo. Avevo bisogno di conoscere quello che non avevo mai potuto vivere, e di certo quei posti non mi avrebbero arricchito, considerando che non era ancora tempo di crisi.
Decisi di girare prima posti relativamente più tranquilli, ma meno organizzati, dove il più grande disagio poteva essere la disoccupazione giovanile, il mal funzionamento degli esercizi pubblici, la gente che si sbatteva cercando di arrivare a fine mese, la malavita stessa, che paradossalmente dava alla gente del posto quello che la polizia non poteva, ma soprattutto non voleva dare: ordine.
Da li mi spostai verso aree ancora più disagiate. Andai in Medio Oriente, a vivere la vera povertà, a vedere i bambini morire di fame e i soldati di ambo gli schieramenti sputare sui loro cadaveri incuranti... il terrore dipinto nei loro occhi, che chiedevano soltanto quello che dovrebbe appartenere a qualsiasi essere di questo mondo, il diritto di vivere. In Africa gli scenari erano molto simili, seppur meno desolati. Più poveri, senz'altro. Ma la vita tribale mi affascinò incredibilmente.
Leggevo molto da bambino, e quegli spettacoli per me erano così lontani dalla mia realtà quotidiana che mi sembrava di essere uscito da una teca di vetro. Indubbiamente è stato quasi stupido muovermi in quel modo, ho perso il conto di quante volte ho dovuto fuggire per la mia vita. Ma più viaggiavo e più l'ingiustizia mi colpiva. E più arrivavo alle radici della civiltà umana e più mi avvicinavo a quello che dovremmo essere.
Un popolo unito, gomito a gomito, magari anche settorializzato, in cui ognuno aveva il proprio compito, ma ognuno lo viveva con una dignità che sembrava essere scomparsa nella civiltà moderna, una...”
“Chiedo scusa, signor Bertrand, ma...”
“Con calma, ci stiamo arrivando. Insomma, la vita tribale mi aveva insegnato qualcosa. Mi aveva insegnato che nell'essere umano poteva esserci un modo di vivere più giusto, più paritario, senza snaturare la compartimentalizzazione dei doveri propria della civiltà. Mi aveva insegnato quanto il mondo fosse lontano da quella prigione dorata che era la mia abitazione. E mi aveva dato uno scopo.
Avevo le fortune necessarie per iniziare un sogno, per poter dedicare la mia vita a questo. E soprattutto, paradossalmente, per quanto non conoscessi il mondo 'vero', quello finanziario mi era noto come le mie tasche. Non volevo più vedere quegli sguardi disillusi, quel terrore, mentre nei piani alti le persone ingrassano, senza sapere che farsene veramente dei propri poteri.
Dovevo, e potevo, fare qualcosa. Tornai in Francia. Fondai la Bertrand Enterprise, una compagnia con lo scopo nascosto di riportare l'Uguaglianza nel genere umano. Quella compagnia è stata la mia prima creazione, il sogno e il lavoro di una vita, e quanto più diventava potente, perchè nonostante il sogno utopico, come ben sapete, la compagnia divenne potente, tanto più mi sentivo realizzato. Era il mio amore più grande, mi sa. Lo scopo di una vita intera...
Bando alle ciance, comunque... cosa stavo dicendo?
Ah si, fondai la Bertrand Enterprise. Iniziai le selezioni del personale io stesso, e in modo occulto mi attorniai di persone che sembravano covare i miei stessi ideali. Una schiera di persone con menti affini, predisposte ad uno stesso scopo... il modo migliore per evitare conflitti interni e per creare un ambiente che sia proficuo per l'evoluzione, sia personale sia della compagnia stessa.
Qui conobbi una persona speciale, una donna, tanto per cambiare. Ormai è passato tanto tempo, però mi sembra ancora di riuscire a vedere il suo volto, i suoi lunghi capelli rossi, riccioluti...
Per farla breve, me ne innamorai, ma la vita non fu gentile con me. Dopo poco tempo che ci conoscevamo, meno di un anno, ci sposammo. Qualche mese dopo era incinta di quello che doveva essere il nostro primo figlio, Claude. Primo e ultimo, sfortunatamente. Ci furono complicanze nel parto... non mi va di parlarne.
Scosso ancora dalla perdita, mi ritrovai ad essere non solo il capo di una delle nascenti potenze dell'economia francese, ma anche padre. Un maschio, un erede, l'ultima famiglia che mi era rimasta, dalla morte dei miei.
Senza che lo notassi, tutto l'amore che avevo provato in quel poco tempo per sua madre era stato riversato su di lui. Non volli una mano nel crescere mio figlio: me ne scoprii incredibilmente geloso.
Crescendo, notavo quanto la sua intelligenza fosse brillante, e sapevo che, se guidata bene, poteva essere il degno seguace dei miei ideali. Lo crebbi su modelli di uguaglianza, facendogli conoscere, per quanto potessi, le bellezze che il mondo celava. Insegnandogli quante potevano ancora emergere, se l'utopia a cui stavo dando la nascita si fosse affermata per bene.
La compagnia cresceva sempre di più, andando a rimuovere potere alle grandi multinazionali nel globo, il tutto con un comportamento puro e cristallino. Le migliori menti del globo erano riunite sotto il mio comando, e dal loro incredibile ingegno sono nate le scoperte più importanti del mondo attuale, che incanalai verso un utilizzo coscienzioso e, soprattutto, utile per l'uomo e per l'ambiente. E più diventava potente, più i miei sforzi per poter compiere l'opera di livellamento delle condizioni di vita dei più oppressi andava avanti.
Beneficenza, donazioni segrete, precettori, tutti riuniti segretamente sopra la mia bandiera. A poco a poco sembrava che il mio mondo 'ideale' potesse fiorire sotto il mio temporaneo comando. E alla mia destra c'era lui, Claude, l'unica persona che avesse fatto totalmente breccia nella mia vita. Se tutto fosse andato bene, con lui l'umanità avrebbe vissuto il momento di più grande prosperità e pace che si sia mai visto, e questa possibilità mi riempiva sempre più d'orgoglio, soprattutto vedendo come era ricettivo. Già a sedici anni era una delle più grandi personalità all'interno della compagnia, e le sue conoscenze aumentavano ogni giorno.
Naturalmente, per quanto stessimo diventando potenti, non eravamo ancora in grado di poter opporci veramente alle persone che tengono le fila del mondo... ancora oggi.
Le voci, nonostante la nostra discrezione, arrivarono alle loro orecchie.
Arrivarono i messaggi che intimavano a darsi una 'regolata'. Seguirono le minacce, i primi incidenti.
Evidentemente non si erano ancora resi conto di quanto fossi legato alla compagnia, al mio sogno, e che mosse simili non avrebbero in nessun modo potuto distogliermi dal mio obiettivo.
Ma presto capirono con chi avevano a che fare. E si regolarono di conseguenza.
Una notte di dodici anni fa venni rapito, in una di quelle sere che segretamente mi prendevo per immergermi nel 'vero' mondo, a vivere da vicino l'umanità che cercavo di salvare. Mi risvegliai in una stanza buia, incatenato. E in quella stanza rimasi per sei anni. Cercarono inutilmente di piegarmi, di manipolarmi, di strapparmi al mio sogno. Mi torturarono, come potete vedere, ma io non cedetti. Sapevo chi c'era fuori da quella stanza... e un volto fra tutti troneggiava tra i miei pensieri. Non avevo paura di cosa sarebbe stato della compagnia, perché Claude era lì... e benché non riuscissi consciamente ad ammetterlo, era pronto... forse pure più di me.
E in nome suo e di tutte le persone che cercavamo di proteggere sopportai. Le frustate, le mutilazioni... le torture psicologiche. Sopportai tutto. E il tempo sembrava essersi fermato. Non riuscivo a rendermi conto di quanto tempo fosse passato da quando ero li dentro. A poco a poco notai che non sembravano più interessati a piegarmi al loro volere. Era diventata una prassi, e la stessa cosa valeva per me. Le ferite? Non le sentivo. La fame non ne parliamo. Gli odori, per quanto siano ancora stampati nella mia memoria, erano sempre quelli, e quasi mi sembrava che fossero gli unici esistenti, tra piscio, carne bruciata, sangue e lacrime. E coi giorni che passavano senza che me ne rendessi conto un giorno mi svegliai senza nessuna guardia... e con una porta aperta.
Non ricordo nemmeno se le catene erano già aperte o se mi fossi liberato da solo. Ricordo solo la sensazione del sole sulla mia pelle e dell'aria pura nei miei polmoni, mentre riassaggiavo, per un motivo che mi era ancora poco noto, la mia libertà.
Riuscii a tornare a Bordeaux, impaziente di vedere il mondo come era diventato in mia assenza.
La verità mi colpì come un pugno allo stomaco.
La Bertrand Enterprise era diventata una multinazionale, anzi LA multinazionale, invischiata in qualsiasi tipo di affari, dalle armi, alle guerre... e mio figlio era li, tronfio, a guidarla verso la via della perdizione.
Non sapevo che pensare. Mi crollava tutto addosso, i sogni, le speranze, gli affetti... tutto quello che avevo patito impallidiva di fronte a quell'unica immagine che è così marchiata nella mia testa... da farmi ancora male.
Mi riferirono cosa era successo. Che era stato tutto calcolato. Che fin dall’inizio la mia cattura non era servita ad altro se non a lasciare campo libero al loro uomo, il loro pupazzo, Claude, per portare la Bertrand Enterprise sui binari che ora percorreva. Che tutto quello che avevo passato, tutto era solo per punirmi per averli sfidati così apertamente. E che quello che ora vedevo non era nient’altro che il culmine del loro piano.
Io avevo resistito, avevo sopportato la perdita del mio occhio, della mia vita, tutto questo con quell'unico raggio di sole nella mia mente... e ora mi ritrovavo li, fermo, ad osservare la mia disfatta. E il relitto dell'uomo che ero era l'ennesimo trofeo nelle loro mani.
Rifiutai di tornare alla mia vita... non avevo più alcuno stimolo per farlo.
Quando ero giovane, avevo cercato in tutti i modi di coltivare questo mio sogno, di vivere queste due passioni. Mio figlio e la compagnia sono state le creazioni su cui avevo speso tutto, l'ideale verso cui li avevo lanciati erano il mio più grande amore, e loro ne erano la sua incarnazione più grande. Ma per quanto io abbia lottato così tanto per poterli vedere prosperare, bastarono pochi mesi per buttare all’aria tutto quello che avevo cercato di costruire. Avevano dimostrato qualcosa: che nulla era incorruttibile, che i sogni questo sono, sogni… e che io sono un vecchio pazzo, che ha cercato di fare un gioco più grande di lui solo per capire la sua impotenza.
Ero giovane, e mi hanno preso. Ero giovane e ho messo la mia vita al servizio di un unico amore.
Ora non sono più giovane, e tutto mi è crollato addosso, scivolando tra le mie dita come polvere. Ora mi rendo conto di quanto sono piccolo di fronte a tutto quello che mi circonda, che per quanto possa lottare un solo uomo non potrà mai nulla... e che l'umanità ormai è al di là della redenzione.
Per questo sono qui ora. Per questo rimango in disparte. A che serve vivere nella civiltà, se sei consapevole di non poter fare niente, anche se animato dalle buone intenzioni? I buoni vincono solo nei libri…”
Il giornalista rimase in silenzio per tutto il racconto, sentendosi ad ogni parola sempre più sprofondare.
Davanti a lui c’era un uomo distrutto, disilluso, disgustato da una vita che gli aveva dato l’illusione più grande, la speranza, solo per farlo salire abbastanza da spezzarlo nel momento della caduta.
Con riverenziale silenzio si girò, allontanandosi, lasciando il povero uomo a guardare il cielo stellato, in fuga da quello che erano le rovine della sua vita. Non si accorse delle lacrime che scendevano dall’unico occhio, l’ultimo mezzo per rendere ancora più percepibile la sua beffa.
Si allontanò piano, immerso nei pensieri. Era questa la storia che stava cercando. La storia di una persona che fuggiva dalla civiltà praticamente per scelta, disgustato da quello che il tempo gli aveva insegnato, da quello che l’umanità ogni giorno gli insegnava, e sconvolto da un passato che affondava le sue radici nel nucleo stesso di quella farsa che ogni giorno i giornali del tempo vivevano. E oltretutto era una storia abbastanza potente da potergli dare spunti per andare ancora più a fondo. Era un giornalista abbastanza sveglio da poter cercare i personaggi di cui aveva sentito parlare dal vecchio, da portare alla luce le verità che gli erano state esposte quella sera, quasi come uno Sherlock Holmes della notizia. Era tutto questo…

Ma era soprattutto una delle migliori penne del suo quotidiano, di proprietà della Bertrand Enterprise.
*click*
Quasi a malincuore Jerome pigiò il tasto Cancella… e tutta la conversazione che aveva registrato ritornava al posto a cui apparteneva.
All’oblio.

mercoledì 11 settembre 2013

Man Next Door

Quando dormiva era una bambina. Sul suo volto c’era l’espressione tranquilla e innocente di chi si sente al sicuro e sa di non avere nulla da temere. Le notti che suo marito era fuori per lavoro restavo ore a guardarla, steso al suo fianco. Anche se aveva il sonno pesante non avrei mai osato toccarla per paura di risvegliarla, e quindi passavo le dita vicino alla sua pelle morbida e abbronzata, senza neanche sfiorarla ma seguendo il suo contorno immerso nella penombra. E io la amavo, a sua insaputa, con la disperazione di chi sa che rivelare i propri sentimenti porterà solo il male. Mi accontentavo di essere per lei ciò che lei voleva, non avevo né avrei mai avuto il coraggio di rivelarle tutto, di chiederle di lasciare suo marito e fuggire con me, come accade in tanti dei romanzi che leggeva. Quando entravo in casa sua lanciavo spesso occhiate furtive alla libreria nel salotto o ai libri sul comodino. Ho letto tutti i suoi libri preferiti, ma non ho mai avuto il coraggio di parlargliene.

Ed ora è persa per sempre.

Spesso immaginavo di fermarla per le scale mentre tornava a casa e chiederle di fuggire con me. Nelle mie fantasie lei restava sconvolta, senza parole, e la risposta sarebbe stata un pugno in faccia da parte di suo marito. Mi vedevo cadere a terra e sputare sangue, mentre lei correva verso di me per assicurarsi che stessi bene. Mi sarei lanciato sul marito e l’avrei picchiato, e la vicenda avrebbe avuto un lieto fine con me e lei in una casa sulla spiaggia, con lei che si improvvisava tenera infermiera per curarmi il labbro spaccato. Ma nella realtà non ci siamo neanche detti addio. Mi ha salutato come qualunque inquilina alla fine del trasloco saluterebbe il custode del palazzo dove ha abitato per un paio d’anni. Una stretta di mano, un bacio sulla guancia, poche parole e uno sguardo negli occhi, più esplicativo di ore di conversazione. Mi chiedo se il nostro addio sarebbe stato diverso, senza suo marito, ma ancora una volta la vita mi ha insegnato la risposta: un addio è un addio, e indipendentemente da quante parole possiamo usare per addolcirlo resterà una scelta consapevole. Chi non si vuole allontanare non si allontana. E infatti lei è andata via e io sono rimasto qui ad accarezzare la porta di casa sua. Avrei voluto rincorrerla, ma per cosa? Ho saputo vivere un amore disperato, ora sto accudendo un amore morente, e a breve non mi rimarrà che tornare ogni tanto sulla tomba di un amore perduto.

In silenzio, con la calma e l’attenzione di chi esegue un rituale sacro, infilo la chiave nella serratura, ho imparato ad aprirla senza emettere il minimo rumore, quando entravo in casa sua. Se qualche inquilino si fosse svegliato, sarebbe stata una situazione imbarazzante e molto difficile da spiegare. Ora non avrei bisogno di dare spiegazioni, sono il custode che si assicura che sia tutto in ordine, ma non riuscirei ad insultare questo santuario con il rumore.

Hanno portato via gran parte dei mobili, ma la cassettiera nella camera da letto è rimasta. Quella cassettiera, circa sei mesi fa, è stata al centro di una lite tra lei e suo marito. Ricordo che entrai in casa loro chiamato da un inquilino che aveva sentito le urla, lei aveva tolto tutti i cassetti e aveva rovesciato il loro contenuto a terra, e piangeva. La aiutai a rialzarsi e chiesi spiegazioni a suo marito. Lei non trovava più della biancheria, ed era convinta che suo marito l’avesse data ad un’amante che aveva portato in casa. Lui continuava a dire che non era vero e che erano sicuramente in un altro cassetto, e  da lì le urla e la situazione che mi trovai davanti. Suggerii al marito di passare la notte in un albergo per darle tempo di calmarsi, e quella notte sono rimasto al suo fianco. Si agitava, e dovetti rimboccarle le coperte più di una volta. Ricordo la sua espressione corrucciata mentre gli incubi la tormentavano, e la dolcezza con cui la luce della luna si posava sul suo volto. Dovetti andarmene prima dell’alba, prima che chiunque si svegliasse, per non dare nell’occhio. Avrei voluto lasciarle un biglietto, ma alla fine non ho fatto neanche quello. Tutta questa storia non è altro che un catalogo di tutto ciò che non ho fatto, e delle paure che mi hanno spinto a non fare quelle cose. Sono stato un uomo vile. Ricordo il primo giorno che l’ho vista, e il modo in cui il mio cuore ha iniziato a battere. Mi avvicinai e le parlai, ma so che se non avessi avuto la copertura del mio ruolo di custode non avrei mai trovato il coraggio di uscire dall’ombra in cui ero nascosto. Ho vissuto questo amore nell’ombra, e ora non ne è rimasto più niente. Forse avrei dovuto essere più forte e deciso nell’inseguire i miei desideri, ma ormai mi è rimasto solo il suo odore su queste mura, finchè non verranno nuovi inquilini. E a quel punto mi rimarranno solo i ricordi del suo respiro nella notte e del suo odore inebriante. Mi rimarrà qualche fotografia, qualche suo piccolo oggetto e il rimpianto di non aver mai cercato di essere nulla di più per lei, pur sapendo di avere tanto da offrirle. Lei non ha più trovato quegli slip, ma ha fatto la pace con suo marito ed ora è serena, io non sono nulla più che un granello di sabbia sulla strada che si sta lasciando alle spalle. Chiudo la porta alle mie spalle e torno in casa mia, in assoluto silenzio. Con calma, nella mia mente si fa strada l’idea del suicidio.


Chissà cosa diranno di me dopo la mia morte se la verità venisse alla luce. Penseranno che eravamo amanti e che lei mi ha abbandonato, crederanno che mi sarò suicidato per l’abbandono. Sarebbe una morte gloriosa, tutto sommato. Invece, per tutto il tempo che lei è stata qui mi sono limitato ad entrare di soppiatto nella sua stanza mentre dormiva, osservandola e scattandole qualche foto a sua insaputa. Le ho rubato della biancheria, l’ho amata in silenzio, e saprò sopportare in silenzio la sua mancanza.
Continuerò a sorridere agli inquilini, a portare avanti la mia vita e a desiderare che lei ricompaia, un giorno, per confessarmi il suo amore.

venerdì 6 settembre 2013

Cose rare

Cari lettori,
m'intrometto all'interno del malinconico ciclo degli amori perduti per condividere con tutti, brevemente, un po' di felicità.
Cosa molto rara da parte mia, tra l'altro!

Le cose rare sono cose solitamente belle ed ambite, ma difficilmente raggiungibili.
Le cose rare, per me, sono ancor più rare, rarissime, anche se, in fondo, mi accontento di poco: qualche ora di serenità e sono felice.
Un sorriso, uno sguardo e sono felice.
Un abbraccio, una gentilezza e sono felice.
Poter esser me stessa, anche solo per pochi minuti, e sono felice.

Chissà per quanti queste sono cose rare, forse per pochi, chissà, chissà.
In questo blog riesco spesso a mostrarmi, a svelarmi, denudarmi, e questo solo grazie alle persone che lo reggono in piedi, e che ringrazio infinitamente per la loro positività e per il, seppur piccolo, spazio di bene che mi rivolgono.

Il mio ringraziamento, ovviamente, va a tutti coloro che ci seguono o che ci leggono anche solo per caso, perché ci danno modo di essere qui. Va anche, chiaramente, a ogni "autore" che qui pubblica pezzetti di sé.

Ma, più nello specifico, questa volta, il mio ringraziamento va a Bob, a Il Losco, a vorgh.

Cose rare, e un po' mosse, un po' sfocate, ma anche per questo uniche, belle e preziose, sono foto, momenti, come questi: un'istantanea, una smorfia, un caffè, prima di un saluto.

Una rarissima immagine dei nostri tre ragazzoni del napoletano insieme!
Grazie di cuore.
Arrivederci!