Citazioni


sabato 29 novembre 2014

Emergere.

I fogli bianchi esercitano ancora lo stesso fascino su di me.
La solita attrazione fatale.
Il dolce vecchio desiderio di riempirli con un fiume in piena di emozioni.
Ricordi, sogni, obiettivi, passioni e desideri.
Passioni e desideri.
Passioni e peccati.
Vivo. Vivo tutto sulla mia pelle, graffiante e leggero.
Scivola, scivola via la mente.
Libera.
Adorabili vecchi avvolgenti gruppi musicali di sempre.
E scivolano via le note, per me naturali come il mare, il vento, la pioggia, le foglie che scricchiolano sotto i piedi durante l'autunno.
Cadono, ondeggiano, volteggiano, muoiono.
Il freddo è bello solo se c'è caldo dentro.
Se stringo le braccia posso sentirlo. Il cuore che pulsa e freme, mi riscalda.
Il calore non è liquido sulla mia faccia, ma denso e forte al centro del mio petto e da lì si espande, pervade, esce ed avvolge.
Il passato tenta sempre di confondere.
Respiro.
Respiro a pieni polmoni un futuro incerto. Dolce ed inebriante come la cannella.
Dolci malinconiche parole di una canzone morbida.
Stand-by.
Chiudo gli occhi ed è buio. Nella mia mente ci sono solo io. Nessun colore, nessuna immagine, nessuna parola. Io.
Così attimo per attimo prendo coscienza del tempo che passa.
Il tempo che passa. Incessante e pericoloso.
Andare via, perdersi e non tornare indietro. Casa è dentro di me.
La mia casa sono le mie emozioni, e io sono la casa delle mie emozioni.
L'importante è non perdersi da soli.
Non importa dove, non importa come, non importa perchè.
Molte volte perdersi è il miglior modo per trovare se stessi.
Tra le pagine di un libro. Emigrare. Allontanarsi. Scoprire un nuovo mondo dentro noi stessi con in mano un libro al posto di una bussola. Leggere un libro come guardare nel cielo la stella del Nord.
I libri sono come le persone, e le persone sono come i libri.
I libri non contengono forse sentimenti, desideri, emozioni, passioni, sogni, paure, e tormenti, proprio come le persone?
Ecco, i libri sono come le persone...solo che loro non tradiscono.
Non bisogna avere la presunzione di affermare che un libro non si giudica dalla copertina, perchè è esattamente quello che l'essere umano fa per natura con qualunque cosa si confronti.

Se vivessi in una libreria sarei una persona migliore.  

martedì 25 novembre 2014

Di notte e di cose antiche

Che strana questa notte, così solitaria eppure così piena di vita. Il lunedì sera che sembra assonnato ma non lo è, posso vederlo nelle luci ancora accese delle case, alle cinque di mattina. Sembrano tanti piccoli fuochi fatui, che danzano e risplendono dentro questo cielo così scuro e cattivo, nero di pece ed ebano, scheggiato da nubi. Lo percepisce l'anima mia, inquieta, alla ricerca di un qualcosa che è nascosto dentro ogni cinque del mattino del lunedì, che è già martedì ma il mio letto dice di no, che ancora può aspettare il nuovo giorno, c'è da sognare prima. Mura a sbarrare la mia vista, antiche agli occhi ed al tatto, dai toni opachi di chi molto ha da raccontare ma poche orecchie ad ascoltarlo, l'esatta espressione che un muro deve avere. Ed è tutto antico ed è tutto contemporaneo: ladri e borsaioli agli angoli delle strade, nascosti nell'ombra della violenza dettata da necessità, necessità dettata sempre da altri, solitamente baroni o re, o principi, o attitudine. Cavalieri e massaie si affannano nelle strade prima di terra, ora d'asfalto; erranti d'ogni tipo si accalcano sui marciapiedi, cavalli macchine come squali, mosconi e cavallette, centauri biruote, la plebe, tutti all'ombra di queste mura antiche eppure ancora in piedi, a delimitare cosa di preciso ora non si sa, nemici forse, samaritani, venditori di tappeti persiani. Le chiese abbondano di fedeli ora come prima, clerici vagantes, appestati e devoti, ed io andavo per i boschi, perchè volevo vivere fino in fondo, e succhiare il midollo della vita stessa come un assetato, perchè la paura di voltarmi e vedere che non ero vissuto è sempre tanta, come prima così ora. E le mura mi parlano, perchè la notte è fatta per chi sa prestare orecchio: raccontano storie antiche, di case precedenti alla mia, di anime e corpi transitati per queste stanze prima che la mia anima stessa fosse concepita, e per ognuna una storia,una scintilla, qualsiasi cosa. E come prima il bosco, e dove c'era il bosco ora rimane un albero, e i ricordi sbiaditi delle carovane passate sotto di lui. Le parole si affannano e mi sfuggono, perchè gli alberi respirano le nostre conversazioni e le esalano nel vento, ed ogni nuova stagione raccontano una storia, nata di primavera, cresciuta d'estate, dormiente di sogni leggeri d'autunno e bruciata d'inverno, in un funerale vichingo per scaldare i vivi. La notte si spegne ora, il mattino pallido avanza lento ma deciso fino all'ora in cui sarà radioso, ed io torno a casa. Un vento leggero mi tocca la spalla, e mi giro a guardare le mura, e l'albero, che freme un poco, e in quel fremere posso sentire distinta una parola, un sussurro:

torna.


lunedì 10 novembre 2014

Cenere

A chi è relegato nel mio passato.
E a chi nonostante tutto, per uno scherzo del destino,
ne uscirà per far parte del mio futuro

Una volta la mattina mi svegliavo pieno di forza. Mi svegliavo con il suo corpo fra le braccia e lo baciavo fino a farla svegliare. Avevo aperto gli occhi da poco più di un minuto e già volevo fare l’amore, e anche se all’inizio mi diceva di no avevo sempre la forza di riuscire a convincerla. Andavamo avanti per ore e alla fine ridevamo e facevamo tutte le cose che fanno le coppie felici dei film.

Oggi mi sono svegliato e la prima cosa che ho sentito è stata la debolezza del mio corpo. Non ho avuto bisogno di muovermi e sentire la resistenza delle coperte per saperlo, lo sentivo nelle ossa. Allora non mi sono mosso affatto, perché non volevo sentire la mia debolezza. Ho passato ore immobile in un circolo vizioso di pensieri ma alla fine sono riuscito a spostare le coperte e barcollare fino al bagno. So bene come è la mia faccia quando sono felice, perché ho tante foto con amici e ragazze e conosco quella luce nei miei occhi. Una persona al suo meglio. Oggi, invece, nello specchio c’era un animale: trasandato, stanco, selvatico, i capelli sporchi e la barba incolta, gli occhi rossi e le labbra strette in un nodo che serve a trattenere le lacrime. Quando sei felice ti fai delle foto, quando sei triste hai solo lo specchio per sapere quanto ti si legge in faccia. Perché da solo puoi vedere i piedi strascicati, puoi vedere le mani rovinate per gli oggetti spaccati e presi a pugni, ma non puoi vedere la luce nel fondo dei tuoi occhi. Mi sono guardato piangere e urlare allo specchio, digrignare i denti e contrarre i muscoli, e ho capito in quel momento che stavo male perché il mio corpo stanco, debole e spezzato dal pianto e dal digiuno non poteva gestire tutto il calore generato dalla mia anima che bruciava con violenza.

Una volta ero in camera da letto con lei, e sapevamo trasformare qualunque cosa in un gioco. Uno stupido libro, i nostri corpi, le parole, quella sera delle strisce di pelle e dei fili di lana. Se c’è una cosa che ho imparato nella vita è che gli innamorati si regalano bracciali. Mi basta aprire il baule delle ex fidanzate per trovare decine, risalenti a vari periodi della mia vita. Eppure, c’è un’enorme differenza di significato fra un oggetto comprato in un negozio e un oggetto fatto a mano, dalle stesse mani che si cercavano sotto le coperte o che si tenevano per strada. Quella sera, dopo aver legato l’ultimo filo ed esserci compiaciuti della nostra bravura artigianale, le ho mostrato il baule delle ex fidanzate. È una sorta di posacenere, come quello che ho sul tavolo, con l’unica differenza che non lo uso per spegnere sigarette ma per spegnere ricordi. Ed esattamente come i posacenere, è una fossa comune sul cui fondo si trova uno strato di tabacco bruciato e ricordi indistinti, mentre sopra ci sono le sigarette appena spente, o quelle poggiate con l’intenzione di riprendere a fumarle. Abbiamo aperto il baule e le ho mostrato i vari oggetti contenuti al suo interno.

Due bracciali di gomma che comprai con una donna che ho amato follemente e che ora è diventata una delle tante sigarette che imbrattano il posacenere. Li comprammo in un giorno di pioggia, mentre avanzavamo stretti sotto un ombrello fra le strade di una cittadina grigia in un paese straniero, e li ho tenuti al polso finchè non si sono spezzati, mi hanno accompagnato per anni, mentre il nostro rapporto si evolveva, cresceva, si fermava, si riprendeva e appassiva, mentre ce ne prendevamo cura come si fa con una pianta, a volte esagerando, a volte dimenticandolo, e fino al punto in cui si è trasformato in qualcos’altro. La storia di due ragazzini era diventata quella di due giovani adulti, i braccialetti di gomma sono stati sostituiti da uno di cuoio comprato ad una fiera dell’artigianato in un altro paese straniero, che mi è rimasto al polso finchè non si spaccò in due senza preavviso mentre ero in un ristorante con una ragazza appena conosciuta. Quando quella storia è finita, ho posato i tre braccialetti nel baule, assicurandomi di metterli sopra a tutto il resto. Sentivo che avrei avuto bisogno di tirarli fuori a breve.

Una busta di tabacco vuota. Una turista conosciuta alla fermata dell’autobus, a cui mi sono offerto di fare da guida. Era finita da poco con la ragazza che mi regalava braccialetti di gomma, e avevo bisogno di prendere aria prima di cercare di riportarla fra le mie braccia. Portavo ancora al polso il bracciale di cuoio mentre accompagnavo la turista in giro, la portai a mangiare al mio ristorante preferito, e mentre chiacchieravamo mi accorsi che il bracciale si era rotto. Scelsi di interpretarlo come un segno e la invitai a casa mia. Non era una stupida, aveva capito le mie intenzioni, e sulla via di casa iniziò a fare battute sottili e insinuazioni, alle quali io rispondevo a tono. Era un gioco divertente, entrammo nel mio appartamento al secondo piano come due guerrieri in preda al furore della battaglia, ma a quel punto ci fermammo a guardarci negli occhi. Eravamo due ragazzini, spaventati, insicuri, sapevamo cosa volevamo fare ma non sapevamo come iniziare. Le offrii un caffè e la guardai fumare una sigaretta. La busta di tabacco era finita, allora la lasciò sul tavolo. Qualche ora dopo raccolse i suoi vestiti e se ne andò. Non l’ho mai più rivista ma ricordo il colore dei sui occhi, il sapore delle sue labbra e il suono del suo nome. ho buttato la busta nel baule con una risata, pregustando il momento in cui l’avrei ritrovata anni dopo e mi sarei ricordato di quel giorno.

Un bracciale fatto a mano, da un’amica della ragazza che mi regalava braccialetti di gomma. Un’amica che aveva un negozio on-line in cui vendeva le sue creazioni. Mi fu regalato quando, dopo la mia avventura con la turista e qualche altro mese di lontananza, la convinsi a riprovarci. Tirai fuori gli altri bracciali dal posto d’onore che avevo riservato loro sul punto più alto, perché come avevo previsto, mi sarebbero serviti di nuovo. Quel bracciale sottile, legato da un filo elastico, mi tenne compagnia in tutto il secondo atto di quella storia, fino alla fine vera e propria, fino al momento in cui guardai tutte le mie speranze e desideri per il futuro sgretolarsi come cenere quando dai un colpo di dita sulla sigaretta che stai fumando. E insieme a quel bracciale, c’erano tutti gli oggetti del secondo atto, i biglietti di un treno, le ricevute di un albergo, una sua foto. Quando finì davvero buttai tutto sul fondo del baule, perché sapevo che non ne avrei mai più avuto bisogno.

Mentre le raccontavo queste storie, lei si stese con la testa sulle mie ginocchia e mi sorrise. Riusciva a capire che il mio attaccamento a quegli oggetti non era un attaccamento alle persone, e le piaceva sentirmi raccontare quelle storie, perché tutte sarebbero finite nel momento in cui avevo incontrato lei.

Un paio di mutande. Un’avventura di qualche notte, una donna disordinata che mi entrava in casa e si gettava fra le mie braccia con l’irruenza di un ciclone. Era divertente vederla farsi in quattro per compiacermi, perché era ben lontana dal riuscirci. Apprezzavo i suoi modi di fare, e pensai che se avessi avuto voglia di far durare quella frequentazione più a lungo avrei dovuto iniziare a darle lezioni, ma per quello che cercavo mi andavano bene i suoi sorrisi ammiccanti, le volgarità che mi sussurrava all’orecchio e il modo docile in cui si piegava ad ogni mio comando. Stavo lì, steso sul letto, e le ordinavo di spogliarsi, di mostrarsi, di fare qualunque cosa io volessi, e lei lo faceva. Un giorno che andò via di corsa non riuscì a trovare le mutande, e le lasciò qui. La volta dopo si rifiutò di riprenderle e disse che potevo tenerle, pensai che forse aveva preparato tutto e non era poi così disordinata. Ha dimenticato qui anche un piercing che continuava ad incastrarsi dovunque, ma non ho potuto più restituirglielo.

Un bracciale di pelle nera, con una cinghia, regalo di una ragazza con cui stavo prima della maggiore età. Non ricordo più in che occasione mi è stato regalato, ma è poggiato sul fondo del baule insieme alla collana che mi aveva regalato lei, un pendente con l’ideogramma giapponese di “amore”. Eravamo due adolescenti ribelli verso il mondo e teneri fra di noi, cercavamo in quegli abbracci le risposte a tutte le carenze affettive che le nostre famiglie non erano capaci di risolvere, festeggiavamo ogni mese con degli stupidi regalini che conservo ancora. Un portachiavi a forma di rana, un portachiavi a forma di barretta di cioccolato, una decina dei suoi disegni, immagini di coppie amoreggianti che somigliavano a noi, il biglietto con cui accompagnò il regalo del nostro primo anniversario, un pezzo che staccammo dalla moto di suo padre subito prima che la rottamasse, un pacchetto di sigarette che fumavo stupidamente per darmi un tono da adolescente problematico. A lei non piaceva che fumassi, ma un giorno ho scritto il suo numero di telefono su quel pacchetto di sigarette, perché mi si stava scaricando il cellulare e chiamarla qualche ora dopo era il mio unico interesse. Quando quella storia è finita, ho posato tutti gli oggetti nel baule, assicurandomi di metterli sopra a tutto il resto. Sentivo che avrei avuto bisogno di tirarli fuori a breve. Quella volta ho sbagliato, e sono rimasti come i resti di una civiltà, lentamente spinti sempre più in basso da ciò che si sussegue sopra di loro, dopo di loro. E ora sono diventati la cenere che ricopre il fondo di quel baule.



Oggi, mentre mi obbligo a muovermi da una stanza all’altra solo per ricordarmi di essere ancora vivo, mentre trascino i piedi come se fossero due corpi morti, ricordo due figure che si inseguono per vie buie sotto le stelle, cercando riparo dai fari delle automobili per dare sfogo alla passione. Ricordo le passeggiate mentre la accompagnavo a casa, ricordo ogni parola di quelle notti, ogni bacio, ogni respiro, come se fosse ieri. Ricordo l'inquietudine che provavo all'idea di lasciarla entrare nella mia vita e il sollievo che ho provato ogni giorno in cui l'ho lasciata avvicinare sempre un po’ di più. Era bello. Sento il mio corpo crollare, sento il pavimento sotto le ginocchia, poi contro una spalla. Chiudo gli occhi.

Un quadrifoglio. Un modo molto strano di scusarsi da parte di una ragazza che si era innamorata di me, ma che non trovava il coraggio di concedersi. Aveva dei lunghi capelli biondi e amava ballare. Aveva dei profondi occhi azzurri e nonostante fosse abbastanza più grande di me mi faceva venire voglia di proteggerla. Una storiella di poco valore che all’epoca mi stravolse abbastanza da iniziare ad interrogarmi sui miei sentimenti per lei, quando era chiaro che non esisteva nulla del genere. Avevo frainteso un po’ di divertimento. E anche lei, molto più di me. Un paio di biglie di vetro, che abbiamo vinto ad una serata in un locale dove eravamo andati a bere, senza sapere della serata giochi che avevano organizzato. Ci siamo ritrovati nella confusione e abbiamo deciso di giocare, nonostante non ci fossimo visti per mesi. avevamo tanto da raccontarci ma non siamo riusciti a farlo, e poi ci siamo persi di vista. Mi sono rimaste un paio di biglie e un quadrifoglio, ma forse avrei preferito una spiegazione.

Un altro paio di mutande. Una serie di assegni con promesse al posto delle cifre. Una collana con un simbolo mistico, la ricevuta di un parco divertimenti, una foto di due ragazzini che si baciano, un bracciale di velcro arrotolato su se stesso, delle pagine strappate di un blocco da disegno, piccoli oggetti, granelli di cenere, che insieme raccontano tante storie intrecciate fra di loro, intrecciate con la mia. Lei mi guardò dal basso verso l’alto e fece una battuta. Non ricordo cosa mi disse, ma so che la guardai sorridere e in quel momento capii che era la cosa più bella che mi fosse capitata nella vita.

Ora io sono rimasto da solo con il compito di far funzionare la vita senza di lei. E stasera, con la solennità di un funerale, apro il baule e poggio al suo interno il bracciale che abbiamo intrecciato insieme, con le stesse mani che scivolavano fra i vestiti e la pelle, con le stesse mani che improvvisavano pranzi in campeggio. Lo poggio fra le mutande di sconosciute, fra le avventure di una notte, fra i ricordi di persone che oggi disprezzo, e lo trovo paradossale, ironico, tragicomico, insensato. Non importa quanto una persona possa importare, una volta che esce dalla tua vita diventa parte di quell’entità astratta che si chiama passato, esperienze, ricordi. Diventa cenere in una fossa comune.

Quel bracciale lo poggio con cura, assicurandomi di metterlo sopra a tutto il resto. Sento che avrò bisogno di tirarlo fuori a breve.