Citazioni


giovedì 17 luglio 2014

La vita ai tempi dell'arca

Dedicato a Rory,
Come incancellabile ricordo delle lezioni di Stan

All’epoca le aspettative di vita erano parecchio alte, soprattutto se Dio ti prendeva in simpatia. Noè, per esempio, visse novecentocinquanta anni. Suo padre Lamech morì a settecentosettantasette anni, e suo nonno Matusalemme a novecentosessantanove. Nove-sei-nove. All’epoca non esistevano cose come il knockout game o le continue richieste dei giochi su facebook, anche perché la gente era piuttosto irascibile e non ci andava piano con le maledizioni. Se poi Dio ti aveva preso in simpatia avevi a garanzia che le tua maledizioni avrebbero avuto effetto. Con settanta anni di speranza di vita media puoi anche correre il rischio di essere maledetto a vita, te ne fai una ragione e resisti quei trent’anni che ti restano, ma se la vita media è di 898,6 anni, farsi maledire quando sei ancora solo al tuo primo secolo non è una mossa brillante. Soprattutto se vieni maledetto a causa di qualcun altro.

Ma andiamo con ordine: Dio vide che gli uomini si ammazzavano tra di loro, rubavano e sniffavano la colla, si pentì di averli creati e decise di sopprimerli tutti, e siccome era incazzato decise che già che c’era avrebbe fatto un po’ di pulizia e fatto estinguere qualche altro migliaio di specie. Mentre era da solo nell’alto dei cieli, si guardò alo specchio e ripeté a se stesso dieci volte “Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti”. E non aveva tutti i torti, il bestiame puzzava, i rettili erano viscidi e dalle loro pelli si facevano borse all’ultima moda brutte come poche cose al mondo, e gli uccelli cacavano in testa agli uomini, sue creature predilette che amava al punto di aver regalato loro un biglietto gratis per lo sterminio di massa. Dio invitò Noè a cena e gli disse che aveva intenzione di uccidere tutti i peccatori. Noè temeva per quelle riviste porno sotto il suo letto, ma per fortuna Dio non cercava il pelo nell’uovo. “Noè”, gli disse, “Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà.” E Noè rispose: “Signore, non puoi ucciderli così come li hai creati?  CTRL+ALT+CANC, uno schiocco di dita ed è tutto risolto? È proprio necessario il diluvio? Io soffro di mal di mare.” E Dio fece lo gnorri e continuò a parlare, ignorando i suggerimenti di Noè, e gli spiegò nei dettagli come costruire l’arca. “Avrà trecento cubiti di lunghezza, ben oltre quanto permesso dalle leggi della fisica per un’imbarcazione di legno, ma #FuckItImYoung #YOLO. Farai nell’arca un tetto, perché se non lo fai non ti proteggerà dalla pioggia, e da un lato metterai la porta. Te lo dico perché l’ultimo a cui ho chiesto di fare un’arca ha messo la porta sul fondo e poi si è reso conto di non poter più entrare né uscire. È stato abbastanza imbarazzante. La dividerai in tre piani. Io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. Entrerai nell'arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli, non ti preoccupare siete tutti in lista. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te. D'ogni animale mondo prendine con te sette paia, il maschio e la sua femmina; degli animali che non sono mondi un paio, il maschio e la sua femmina. Non vorrei che morissero quando proverò ad ucciderli tutti. Perché tra sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti; sterminerò dalla terra ogni essere che ho fatto.” Noè non aveva capito se Dio li voleva veramente uccidere o no, fondamentalmente non aveva capito un cazzo, ma non gli sembrava il caso di chiedere di ripetere perché Dio aveva parlato per un’ora, allora annuì e fece finta di sapere cosa doveva fare.

Dopo aver perso giorni interi a contare gli animali, Noè salì sull’arca con i suoi tre figli, Sem, Cam, e Iafet, e le loro mogli. E piovve per quaranta giorni e quaranta notti, durante i quali Noè e famiglia finirono le storie da raccontarsi e iniziarono a parlare da soli, o a volte con gli animali. Si abituarono alla puzza di merda e a dormire con i versi di tutte le specie esistenti nelle orecchie, ma spesso Noè restava sveglio la notte e si tormentava l’animo: non riusciva a ricordare se di animali ne doveva portare una o sette coppie, e lui ne aveva portata una sola di ogni specie. Poi c’era il problema di tutti quegli animali che vivevano meno di quaranta giorni e che non erano riusciti a procreare abbastanza. Poi c’era il problema degli animali che facevano troppi figli e gli toccava uccidere gattini e coniglietti carinissimi. E poi pensava in continuazione alle parole di Dio: #FuckItImYoung. Noè aveva seicento anni, quando venne il diluvio, cioè le acque sulla terra. Le acque si innalzarono fino a coprire tutta la terra e tutti i monti, e da qualche parte sotto gli oceani le tartarughe marine festeggiavano insieme ai coccodrilli e ad altri rettili marini oggi estinti, convinte di averla fatta in barba a Dio e di essersi camuffati da pesci. Ma Dio non era nato ieri, e dopo un po’ questi rettili si accorsero di non avere la branchie e morirono anche loro.

Le acque restarono alte sopra la terra centocinquanta giorni. Sempre più animali morivano, Noè iniziava a chiedersi se non fosse quello il motivo per cui avrebbe dovuto portare sette coppie di alcuni animali, e iniziava a temere la punizione di Dio. Come se non bastasse, i sui figli mangiavano come dei maiali e le scorte di cibo iniziavano a scarseggiare. Per fortuna Dio decise di far calare l’acqua, ma servirono altri centocinquanta giorni solo per rendere di nuovo visibili le cime delle montagne. In quei centocinquanta giorni, Noè e famiglia iniziarono a diventare paranoici per la reclusione, si odiavano a vicenda ma evitavano di prendersi a coltellate perché avevano visto cosa Dio faceva ai peccatori, e perché non avevano coltelli. Noè, che al momento del diluvio aveva già seicento anni, iniziò a soffrire di osteoporosi, e tutti si sentivano deboli e avevano dolori ai muscoli e alle ossa, perché non vedevano il sole da trecentoquaranta giorni e avevano carenze di vitamina D. La moglie di Iafet, che odiava Sem, gli metteva la merda di lontra nel piatto quando era il suo turno in cucina. Sem parlava con i muri, e Cam era sempre nervoso e sputava a terra in continuazione. Iafet aveva disegnato un volto su un pallone e lo presentava a tutti come Wilson, il suo migliore amico. Molti animali non davano più segni di vita, Noè e famiglia avevano abbandonato ogni decenza, non facevano neanche più finta di essere civilizzati, mangiavano con le mani e scoreggiavano a tavola, si pulivano le orecchie con le mani con cui mangiavano e non si pulivano dopo essere stati al bagno. Gli animali che si erano riprodotti più facilmente in quei giorni furono i pidocchi, che zampettavano allegramente sul capo di Noè, che era un uomo giusto e integro. Le scorte di cibo erano finite, e a quel punto Noè aprì una finestra e lasciò uscire un corvo e una colomba. Entrambi tornarono perché la terra era coperta d’acqua, e Noè ordinò alla sua famiglia di digiunare in attesa che Dio li salvasse. Passò una settimana e Noè fece uscire di nuovo la colomba. Il corvo era spartito, ne avevano ritrovato solo le piume e le ossa ma nessuno sapeva cosa gli fosse successo. Neanche la moglie di Cam, che sembrava sazia e aveva ripreso un po’ di colorito. La colomba tornò con un ramoscello di ulivo, che Noè fagocitò di fretta prima che i figli potessero vederlo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra, ma sapeva che se i figli lo avessero saputo sarebbero usciti prima di ricevere l’autorizzazione di Dio, e avrebbero peccato. “Meglio morti di fame che dannati”, pensò Noè, e mangiò il ramoscello per salvarli dalla dannazione, certo non per fame. Aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba. I suoi figli e le loro mogli passavano le giornate seduti a terra e immobili. La colomba non tornò più. Quando la terra fu asciutta, Dio ordinò a Noè: “Esci dall'arca tu e tua moglie, i tuoi figli e le mogli dei tuoi figli con te.”. Appena Dio ebbe detto “Esci”, Noè, i figli e le mogli uscirono di corsa strappandosi i vestiti da dosso e urlando parole senza senso. E Noè fu fiero, perché pensò che avessero ricevuto il dono delle lingue. Invece, deliravano per la fame e la prolungata reclusione. Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali mondi e di uccelli mondi e offrì olocausti sull'altare. Il Signore ne odorò la soave fragranza e pensò: “Io gli avevo detto di salvarli, gli animali. Noè deve aver battuto forte il capo, egli ha chiaramente perduto il senno.”

Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: “Dopo quanto avete faticato per salvare questi animali, ora potete ammazzarli e mangiarne a sazietà. Qualcuno di voi ha profetizzato queste parole prima che io le dicessi.” E ammiccò alla moglie di Cam, che si sentì in imbarazzo e chiese scusa per il corvo. “Però non li ammazzate tutti altrimenti li avrete salvati invano. Soltanto vi chiedo di non fare troppo schifo e di ucciderli prima di mangiarli.” E ammiccò a Sem, che stava sgranocchiando una lucertola viva. Dio creò l’anacoluto e ne diede dimostrazione: “Chi sparge il sangue dell'uomo dall'uomo il suo sangue sarà sparso”. In seguito diede agli uomini le prime leggi: “Non vi ammazzate, non rubate, se scoreggiate ditelo, e non mettete i leggings leopardati. Insomma, abbiate buon senso.” Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all'interno della sua tenda. Aveva caldo e decise, giustamente, di togliersi la tunica fatta della lana dell’ultima pecora e della pelle dell’ultimo maiale morti nell’arca. Per sua fortuna tutto ciò accadeva due libri prima del Levitico, altrimenti anche quella tunica sarebbe stata un peccato. Giaceva nudo nella sua tenda, ubriaco e con il frankfurter al vento, quando Cam (che intanto aveva avuto un figlio di nome Canaan, il quale sarà importante tra poco) entrò nella tenda per chiedergli se voleva vedere la partita. Sconvolto dai comportamenti indecenti del padre, Cam, padre di Canaan, raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet entrarono nella tenda a ritroso, dando le spalle al padre per non vedere la sua nudità. Solo Cam, che aveva preso alla lettera le parole di Dio e cercava di esercitare buon senso, ritenne poco saggio dare le spalle ad un uomo nudo e ubriaco, giacché il giudizio del padre era annebbiato e la vista di posteriori ondeggianti avrebbe potuto indurlo in tentazione. I tre fratelli coprirono il padre e lo misero a letto, prendendosi cura di lui. Alle mogli dissero che si trattava di “cose da uomini.” Quando Noè si fu risvegliato dall'ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: “Sia maledetto Canaan!” E a quel punto i tre fratelli si guardarono straniti. “Padre, perché maledici il figlio di chi ha provato ad aiutarti? Se Cam non fosse entrato, nessuno sarebbe venuto in tuo soccorso! E in ogni caso, perché non lui ma suo figlio?” Noè fece lo gnorri e continuò: “Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!”. Sem e Iafet si guardarono, contenti di aver appena vinto schiavi gratis per tutta la loro discendenza. Disse poi: “Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo!” Sem sorrise al padre e uscì dalla tenda, stringendosi nelle spalle e guardando Cam con aria di sufficienza. Noè continuò: “Dio dilati Iafet!” Iafet si guardò le spalle, terrorizzato dall’ambiguità delle parole di suo padre, ma poi comprese che si riferiva ai sui possedimenti e non a parti anatomiche e anche lui uscì dalla tenda facendo spallucce a suo fratello. Rimasto da solo con il padre irascibile e in preda ai postumi, Cam uscì e guardò il piccolo Canaan, che si era appena fatto la cacca addosso. Gli fece spallucce e gli disse di andare a piangere dai suoi nuovi padroni, poi si ritirò su un monte e telefonò a Dio.


“Signore, cosa devo fare?” E Dio rispose: “Beh, non c’è molto da fare. Puoi essere contento che tuo padre si sia limitato a maledire tuo figlio piuttosto che te, e poi puoi imparare alcune lezioni: uno, mai aiutare tuo padre nel momento del bisogno, perché ti maledirà. Due, non importa se si tratta di tuo padre, se vedi qualcuno nudo e ubriaco che si mette in ridicolo ce l’avrà con te per sempre. Tre, lascia che gli ubriachi imparino ad autoregolarsi.” E Cam disse: “Dio, aiutami! Aiuta mio figlio!” E Dio rispose: “No. Chiedi a quel vecchio marpione di tuo padre di rimangiarsi la maledizione, io non sono qui per aiutarvi. Io sono qui per darvi ordini e prendermi gioco di voi mentre li eseguite nella speranza di andare in paradiso. Anzi, ringrazia che non ho chiesto a tuo padre di sgozzarti per il mio sollazzo, quello ce l’ho in serbo per Abramo, ma questa è un’altra storia. Ora mangia una pietra, oppure ti mando all’inferno. Lol.”

lunedì 7 luglio 2014

Settembre

Questo racconto è nato
da una collaborazione tra
Ro La e Arhal.
 


Camminare.


Scalzo, coi sandali, come vuoi, vai dove ti porta il cuore, ma dove se hai la tachicardia?
Ci arrivi lento, con la gamba di legno, ci arrivi come Settembre che domani ti svegli e le foglie si sono già fatte cartapesta, e bisogna attaccarle al collage che abbiamo lasciato sospeso ad Aprile, prima del grande caldo, delle nottate dal sudore profumato e dolce di crema solare, dalla pelle color pane cotto, pane abbronzato dai semi di segale.

Settembre si è già accomodato, ha freddo, ma ancora non lo sa. Sogno di una notte di fine estate, ma anche “Crisi d'identità di Settembre”: incastrato tra due stagioni, indeciso sul da farsi, capriccioso come i bambini al parco giochi che pestano i piedi per terra per fare un altro giro sullo scivolo.

E allora scivola, la discesa è breve e veloce e intensa come solo i bambini pensano che sia: è Giugno, Luglio e Agosto. Settembre è quel contraccolpo che senti quando arrivi a fine corsa, appena poggi i piedi a terra per fermarti, è il piccolo colpo di reni che dai per alzarti. Ottobre lo passi a tornare ai gradini di legno, sentirne l'odore particolare, rimanere un attimo in fila dietro ad altri bambini, Novembre è comodo, sei quasi arrivato, una volta in cima è tutto un Dicembre, Gennaio e Febbraio; Marzo ed Aprile quando ti siedi pronto per scivolare, Maggio l'estasi prima della discesa, Giugno, Luglio ed Agosto l'abrasione del metallo sulle natiche, il piccolo groppo alla gola, la velocità, il capolinea.

E così via, anno dopo anno.
E anno dopo anno le cose finiscono e le cose iniziano di nuovo, perché ogni giorno è un capodanno da festeggiare, da dimenticare, da passare a casa o da farci quello che vuoi.
Ma Settembre è sempre lì incastrato, e non sa cosa fare, dove andare, a chi telefonare.

E poi nessuno sa dove mi trovo, ma, alla fine dei conti, è importante? Ciò che conta è proseguire, ogni notte, a prendere sonno, a riposare senza incubi, e svegliarsi fresco fresco la mattina.
Cosa che non accade a Settembre, ma neanche a Luglio, ma nemmeno a Gennaio o Aprile.

E quindi cammino su vetri infranti, lanciati da chissà chi in preda a rabbia o disperazione, solo che a volte ci cammino scalzo, a volte coi sandali, a volte con gli anfibi. E allora le punte, e il sangue, si sentono di meno, o di più.

Vorrei guardarmi allo specchio e trovarmi cambiato, come per magia, ma invece no, le cose bisogna sudarsele e sentire il cambiamento sulla pelle ogni giorno è una cosa che mi blocca l’aria nel petto e mi soffoca tutti i respiri.
Il cambiamento che striscia, un po’ viscido, un po’ ruvido, su di me, dentro me, e che quando passa un po’ più rumorosamente, con quel suo canto da sirena, mi fa ripensare a tutte le volte in cui sono stato felice e a tutte le volte in cui sono stato triste.

E, in ogni caso, sono malinconico. Cambio, ma resto malinconico.
Sicuramente, se dovessi dare un secondo nome alla malinconia, sarebbe Settembre.
Il mese delle cadute, è vero, ma quando cadi senti tutta l’aria uscirti all’improvviso dai polmoni, come un colpo di tosse esasperato, e poi, inevitabilmente, devi ricominciare a respirare: come quando nasce un bambino e lo sculacciano per insegnargli a vivere.
Se si inizia tutti così, come potrebbe essere il seguito?

 
Un altro passo.