Dio è onnipotente e, in quanto tale, gli unici suoi limiti
sono autoimposti.
A volte mi capita di pensare al passato. Ai primi anni,
alle strade, al modo di vivere del tempo…
Devo confessare che in vita non sono sempre stato uno
stinco di santo. Potrei tranquillamente dire a mia discolpa che i tempi non
erano maturi, o che le condizioni non erano ottimali, o che era colpa
dell’ambiente, o Dio solo sa cos’altro. Scuse, tutte quante, utili solo a
fuggire dalle proprie responsabilità. La verità è che semplicemente ero un
peccatore, come tutti gli altri lì, in quel buco dimenticato dal cielo dove Dio
non era riuscito ad attecchire. O almeno, sicuramente, non era riuscito ad
attecchire nella mia famiglia. La mia famiglia, il Signore abbia pietà di loro…
Un branco di beoni e nullafacenti, dal primo all’ultimo, più adatti a scolarsi
boccali di birra e a violentare le femmine che a cambiare pannolini ed educare
un figlio. Pensandoci, non ci si può certo meravigliare che sia venuto su così.
Al massimo, ci si può meravigliare del fatto che ne sia uscito.
“E’ dagli ambienti più critici, dalle più grandi difficoltà che nascono
le menti più eccelse, figliolo, ricordi?”
“Si, Padre Leonard, ricordo.”
In verità, se guardo indietro a quel giorno, a quei
giorni, non so se mi si possono riconoscere veri meriti. In fondo, più che la
morale, più che il senso del dovere, più che il rimorso, è stata la fortuna a
salvarmi.
Già, perché alla fine l’unico motivo per cui non sono
ancora li, a spacciare o rubare o pestare sconosciuti per permettermi
l’ennesima dose, è che ero semplicemente sulla macchina giusta, quando il
momento era sbagliato. E non sono state le mie cervella a spargersi
sull’asfalto.
I ricordi sono ancora un po’ confusi di quel giorno.
Ricordo la pioggia, il rumore della gomma sull’asfalto, lo schianto… poi tutto
caotico. Non so nemmeno più com’è che mi sono ritrovato alla chiesa di Padre
Leonard, e alla fine poco conta. Mistero della fede, chiamiamolo così. Riesco
solo a ricordare quella sensazione di calore che non ricordavo di aver mai
sentito prima d’allora, le lacrime, la serenità nel momento in cui uscii dalle
acque battesimali come Albert.
Da allora in effetti la mia vita svoltò. Ho seguito alla
lettera gli insegnamenti di Padre Leonard, anche nel momento in cui fu il suo
turno di ricongiungersi al Signore, ed è stata con uguale serenità che ho poi
salutato quel mondo per ritornare al Padre.
“Il Signore spesso agisce per strade a noi oscure, ma ha un piano per
ognuno di noi, figliolo, te incluso. Ricordatelo sempre”
“Sia fatta la sua volontà, allora.”
Quando, svegliandomi, vidi i cancelli del Paradiso, mi
venne quasi da piangere. Davanti a quella visione celestiale, a quel dipinto di
pace che si stagliava di fronte a me, sembrava finalmente avere tutto un senso.
Sognavo da chissà quanto quelle sensazioni che mi venivano così abilmente
descritte da Padre Leonard, nelle nostre lezioni. Quel senso di pace, il più
puro che si sia mai visto, come se il tempo avesse smesso di avere senso, come
se tutto il dolore che si poteva aver provato al piano di sotto impallidisse di
fronte a quell’equilibrio che sarebbe in un certo senso disceso dal cielo alla
Sua vista. L’Io che torna finalmente al posto in cui è nato, ricongiungendosi
al Padre e beandosi della Sua presenza.
Da quel giorno, da quando ho varcato le Porte del
Paradiso, non so neanche più quanto tempo è passato.
Tutto impallidisce, certo.
Ma allora che diavolo ci faccio di nuovo qui?
E’ da tempo che i ricordi del passato mi ritornano in
mente, un flusso continuo, senza fine, che non riesco a fermare. E tutto per
colpa di quella sensazione, quella sensazione così familiare una volta… la
sensazione che sentivo ogni mattina, quando suonava la sveglia e mi chiedevo
perchè non fossi morto nel sonno, prima ancora della mia rinascita.
A quanto pare stare in Paradiso non riesce a salvarmi
dall’apatia…
“Vieni avanti, figliolo.”
E alla fine eccolo li. Il momento della resa dei conti,
come quando dopo un mese era il tuo turno di essere interrogato, o come il
giorno dell'appuntamento con quella bella ragazza li, conosciuta al posto di
lavoro e che ci avevi messo almeno un paio di settimane per trovare il coraggio
di invitarla fuori. Quelle esperienze terrene, lontane anni (o almeno credo,
non è che qui il tempo ha tutta questa importanza) dalla condizione in cui mi
trovo ora, che a stento riesco a ricordare. Eppure nuovamente mi ritrovo con le
gambe tremanti e col discorso bello preparato che improvvisamente decide di
volatilizzarsi totalmente dalla testa. Ed eccomi là, muto ed inebetito che
cerco di contenere quella sensazione di panico di fronte San Pietro.
"Ragazzo mio, rilassati, in tanti anni tra le nuvole
posso giurarti che non ho mai morso nessuno "
Il vecchio Santo ride bonariamente mentre leggermente
infastidito cerco di riprendere la calma.
"Diavoli, non so neanche da dove cominciare...lei mi
conosce, padre... "
"Certo Albert, ti conosco bene. Ero lì proprio il
giorno in cui ascendesti al cielo. Un'anima pia. Un medico, se non ricordo
male. A un certo punto hai fatto anche il missionario in Africa, se non
sbaglio. Da queste parti non se ne vedono molte di persone che hanno fatto
quello che hai fatto tu. Molti non riescono a capire, non superano la prova...
Già, la vista di quegli orrori toglie a molti la fede... Ma non a te, e te ne
complimento. Impeccabile anche nella malattia. È stato un onore per me aprirti
le porte del Paradiso."
“La ringrazio per le belle parole, Padre…”
Mi sforzo di sorridere, chinando la testa con rispetto
davanti a quello che in vita era stato il primo Papa. Pensandoci, mi sono
sempre meravigliato del fatto che la sua figura sia esattamente come me la
immaginavo. Un uomo non particolarmente possente, ma che trasudava imponenza,
come se avesse un’aura particolare. E quegli occhi azzurri, che spiccavano in
quel volto ricoperto da una lunga barba bianca, quasi vaporosa, che gli dava
un’aura ancora più regale, se possibile. Sembrava uno di quei maghi della
letteratura fantasy, in effetti.
“Ma c’è qualcosa che non va, vero? Già… te lo si legge in
faccia. Hai un tarlo che ti tormenta, un chiodo fisso che non riesci a
scacciare.”
Sorride con fare paterno, avvicinandosi a passi brevi.
“Fammi indovinare, immagino che si tratta dei tuoi cari,
giusto? Magari vuoi sapere qualcosa su tua moglie, o sul piccolo Alphonse, no?
Basta chiederlo, e per quel che posso soddisferò le tue curiosità.”
“No, padre, la ringrazio, ma non sono qui per questo
motivo…”
“Dimmi allora, cosa vuoi chiedermi?”
Si ferma lì, placido, guardandomi negli occhi
profondamente. Sbuffo, strofinandomi la testa, mentre cerco le parole giuste…
“Lei lo sa padre, lo sa bene, in vita, per quel che erano
le mie possibilità, ho sempre cercato di essere un buon cristiano, di seguire
la parola di Dio. Ho cercati di essere caritatevole, di non cadere in
tentazione e di evitare i vizi. Ho visto tanta gente in vita rovinare la
propria esistenza, ma ho sempre cercato di moderarmi nei giudizi. Siamo tutti
creature di Dio, in fondo. E allo stesso modo ho sempre evitato di cadere nella
superbia. Ho sempre cercato di essere umile, nel mio piccolo, e a memoria non
ho mai preteso nulla. Eppure… Dio, non lo so, c’è qualcosa che non va…”
“Va avanti, figliolo, spiegati tranquillamente.”
Faccio un respiro profondo, cercando di rilassarmi il più
possibile.
“...E’ da quando sono qui che sento… una mancanza. Sa,
Padre Leonard, in vita, mi ha parlato spesso dell’anima. Usando parole sue,
siamo tutti creature di Dio, parte della sua mano, e in quanto tale il nostro
scopo nella vita non è altro che ricongiungerci al Santo Padre, ritornare al
suo cospetto. Solo così saremo finalmente appagati, perchè la vicinanza a Dio è
l’unica cosa che l’anima, per la sua stessa natura, brama veramente. Ragion per
cui possiamo tranquillamente dire che il solo stare vicino al Signore ci rende
sereni, ci soddisfa, in un certo senso ci libera veramente.”
“Beh, si, più o meno il concetto è quello.”
“Ed è infatti quello che riesco a vedere negli occhi di
tutti gli altri. Tutti quanti, dal primo all’ultimo. Vedo quello sguardo
perennemente illuminato, il viso rilassato in un’espressione beata. Per non
parlare dei sorrisi… è esattamente come mi era stato descritto. E questo mi fa
stare solo peggio…”
“Figliolo, mi devi scusare, ma non riesco a seguirti.”
“Io non riesco a sentirlo, Padre!”
Guardavo negli occhi del Santo e riuscivo a leggerne la
confusione, e non potevo biasimarlo, perchè la conoscevo bene. Sospirai.
“Non mi fraintenda, il giorno in cui sono arrivato qui,
non so nemmeno quanto tempo fa, e mi ha aperto le porte del Paradiso, alla
vista di nostro Signore ho sentito anche io quella sensazione di appagamento,
non lo nego. Anzi, la ricordo ancora, intrappolata nelle viscere più profonde
del mio animo. Ho sentito la sua presenza, ho sentito la serenità che quasi
penetrava il mio spirito, come aria nei polmoni. E non lo nego, non avevo
neanche in testa la possibilità che quella sensazione potesse finire. Ero
arrivato in Paradiso, avevo raggiunto la grazia eterna, non era neanche
immaginabile che potesse essere passeggero. Non poteva certo essere come quando
vieni promosso sul lavoro, o come quando ti sposi, non poteva essere un momento
di gioia passeggera come quello. E invece eccomi qui, di fronte a lei, Padre, a
dire che non sono come tutti gli altri, a soffrirne. Perché per qualche strano
motivo la serenità, l’appagamento… tutto è fuggito via, ancora una volta,
nonostante di fronte a me ancora ora ci sia lo spettacolo per cui ogni singola
maledetta anima del creato dovrebbe anelare…”
Cala il silenzio e davanti ai miei occhi vedo il disagio
montare nella persona del Santo. Avevo di fronte a me un uomo che aveva visto
il nostro signore Gesù Cristo crocifisso, che ha visto la discesa dello Spirito
Santo di persona, che probabilmente ha visto così tanti miracoli da far
rimanere sbigottito il più fervido dei credenti, eppure la mia situazione era
riuscita a turbarlo, o quantomeno ad essere notato. Il silenzio riusciva a
rendere solo ancora più pesante l’atmosfera.
“Padre, mi ascolti…”
“No, figliolo, ora dovrai ascoltarmi tu. Io non so
sinceramente cosa tu stia cercando di ottenere, ma posso tranquillamente dirti
che tutto quello che mi hai riferito potrebbe essere facilmente bollato come
blasfemia, se non sapessi, e soprattutto non sapesse, che tu sei un’anima degna
di rispetto. La situazione, come me l’hai dipinta, non ha senso… e ti inviterei
a riflettere, a riconsiderare, ad essere più giudizioso…”
“Giudizioso di cosa, Padre?! Io non so se ha una vera
idea di come mi possa sentire, di come stia vivendo in questi giorni,
circondato da persone che riescono a godere a pieno del dono divino e con la
coscienza di non essere nient’altro che un mostro. Lei mi invita a riflettere,
io le posso assicurare che è tutto quello che ho fatto prima di arrivare qui,
davanti a lei. Sono stato non so quanto tempo ad interrogarmi sul perché sia
così, sul perché stia succedendo solo a me, e purtroppo non riesco a trovare una
risposta. Ho pensato che fosse solo una questione di tempo, che in un certo
senso il mio spirito si dovesse abituare al piano in cui mi trovo ora. Ma è
passato troppo, Padre, non mi meraviglierei di ritrovare a momenti mia moglie o
mio figlio a passare per il cancello, sempre che superino il giudizio di nostro
Signore. E tutto questo fa male, Padre, fa un male del diavolo. Perché riesco a
sapere cosa manca, l’ho sentito, quando sono arrivato qui. E questa è la beffa
più grande. Ho raggiunto il più alto degli scalini, l’ho sentita quella gioia
incommensurabile, quella soddisfazione, e invece di essere eterna, invece di
sentirmi finalmente placato, ecco che ricompare quel dannatissimo vuoto che
riempiva le giornate quando ero nel fottuto piano di sotto, e non posso nemmeno
cercare una consolazione nel mal comune, mezzo gaudio. Quelle facce sorridenti,
quegli sguardi rasserenati, placidi, sono solo un continuo ricordo di quanto
sia io, ed io soltanto, una mostruosità, una anomalia. Un’anima deviata, a cui
la vicinanza alla grazia di Dio e l’eterna magnificenza del Paradiso per
qualche strano motivo non basta, non riesce ad appagarla.”
“E quindi? Vorresti forse che ti spedissimo all’Inferno,
visto che non riesci a sentirti bene qui nella casa del Signore?Non ti sembra
che la cosa di per se sia ass-”
“No, no di certo, non credo che l’essere spedito
all’Inferno possa essere la risposta. Le chiedo di perdonarmi in anticipo se
per quello che cercherò di riferirle potrei sembrare un superbo, Padre, le
posso assicurare che non è, ne è mai stata, mia intenzione arrivare qui a
pretendere qualcosa. Cerco solo di essere oggettivo, per quel che vale, e per
quanto sia possibile. In vita, me ne ha dato atto, sono riuscito, nel mio
piccolo, a dimostrarmi meritevole. Meritevole di avere aperte le porte del
Paradiso, meritevole di essere qui, al cospetto del Santo Padre, meritevole
della sua infinita grazia. Insomma, mi sono meritato di essere gratificato, e
questo non l’ho detto io, è solo quello che riesco a interpretare da quello che
mi è stato dato. Ed è con uguale obiettività che ritengo di non aver meritato
la dannazione eterna.”
“Ma allora perché sei qui? Perché hai richiesto di
vedermi, cos’è che vuoi veramente?”
Non ricordo neanche più quante volte mi ero posto quella
stessa domanda, in tutte quelle giornate vuote e grigie passate in quella
distesa paradisiaca. Il punto era proprio quello, in fondo. Ero qui, nel posto
che tutte le anime desideravano, e non riuscivo ad essere soddisfatto. Cosa può
soddisfarti, allora, quando hai già tutto quello che puoi desiderare?
La risposta…
“Non voglio niente. E lo dico nel senso più profondo
possibile. Quando ero un ragazzo, ho già vissuto dietro a delle convinzioni,
seppur puerili, e quelle convinzioni mi hanno infranto, distrutto, ed è stata
solo grazie alla via del Signore che sono risorto, sui suoi principi ho vissuto
la mia intera esistenza da allora, e tramite quei principi, a cui mi sono
appeso così strenuamente, mi sono guadagnato l’accesso fin qui. Eppure questa
particolare condizione in cui mi ritrovo, che ancora oggi non riesco a
spiegarmi, è riuscita a vanificare qualsiasi sacrificio che ho effettuato. In
pochi attimi, ho visto il sogno di una vita sbiadire come una semplice macchia
d’inchiostro, ed ora mi ritrovo di nuovo qui, morto come quando avevo sedici
anni. Non ho più motivazioni per trovare la forza per risorgere di nuovo, non
ho più nulla a cui appigliarmi. E sinceramente...neanche lo desidero.
L’esistenza mi è venuta a noia, ed è per questo che sono qui. L’unica cosa che
voglio è l’oblio, l’estinzione. Voglio semplicemente che la mia anima sia
finalmente cancellata, per liberarmi da desideri irrealizzabili e da una fame
che non riesce ad essere saziata.”
Cala il silenzio. Per quel che sembrano momenti
interminabili, siamo solo io e Pietro che ci fissiamo. Lo guardo fisso negli
occhi, cercando di scorgere qualcosa, ma tutto sembra immutabile,
imperturbabile. Mi chiedo che cosa stia pensando, perché ancora una volta sia
restio a parlare, perché mi lascia li sulle spin-
“Figliolo, tu sei pazzo.”
Poche parole, lapidarie.
“Padre, mi scusi, ma…”
“No, Albert, non ti scuso. Tutto questo tempo passato qui
ti ha fatto definitivamente bere il cervello.”
“Mi sembra che stia esagerando, Padre, ho solo chiesto…”
“HAI SOLO CHIESTO?! Oh Signore, figliolo, non ti
riconosco più. Ti rendi conto di che cosa stai chiedendo veramente?”
“Voglio solo un po’ di pac…”
“VUOI SOLO che il Signore nostro Dio ti privi del dono
dell’esistenza. A quanto pare per te il Paradiso è poca cosa, non è vero? Non
saresti poi tanto differente dai suicidi, pazzo depravato, e sai bene dove li
ha relegati quegli schifosi ingrati.”
“La prego di moderare i termini, Padre, non ha diritto di
giudicarmi.”
“Già, IO non ho il diritto di farlo. Ma credimi, anche
chi giudica noi tutti non ti accorderà il tuo desiderio. Semplicemente, non può
farlo.”
Poche parole, tanto dolore, come un pugno in uno stomaco…
“Non può? NON PUO’?!”
Sento la rabbia salire precipitosamente, mentre mi
avvicino minaccioso al Santo.
“Non posso accettare quello che mi dici, Pietro. Nostro
signore è ONNIPOTENTE, non è possibile che non possa…”
“Adesso basta!”
Un lampo di luce. Una voce, calda e calma ma allo stesso
tempo dura e autoritaria. Un senso di paura misto ad uno di meraviglia. E Dio
era lì, in mezzo a noi, e noi lì, fermi, ammutoliti dalla sua presenza,
aspettavamo ancora la sua parola.
“Albert, figlio mio, conosco bene il tuo
stato, la tua situazione, e mi rattrista vederti così amareggiato,
insoddisfatto, disperato. Tu sai bene che amo te, come tutti voi, figli miei,
mie creature predilette. E cosa può desidera un padre più della gioia per i
propri figli? Cosa può sperare di più, se non vederli finalmente felici e
sereni? Egli farebbe tutto ciò che è in suo potere, per cercare di accontentare
la sua progenie, soprattutto se essa, come te, si è dimostrata meritevole…”
Abbasso la testa, con rispetto, sentendomi felice al
sentire le parole del nostro Signore. Finalmente, dopo tanto tempo, vedevo
finalmente la fine di quel limbo, ero di nuovo infiammato dalla speranza.
Ma…
“Ma…”
“Mi addolora doverti dire che purtroppo non
posso acconsentire al tuo desiderio. Devi capire, Albert, che nel momento in
cui vi ho creati, nel momento stesso in cui vi ho messi al mondo, io stesso mi
sono ritrovato a dovermi porre dei principi. Ho deciso di non intromettermi
veramente nelle vostre decisioni, di non portarvi a me con l’intimidazione, ma
lasciandovi la possibilità di amarmi, come io amo voi. Di poter essere quello
che veramente siete. Di essere liberi e, in definitiva, vivi. Ed è per questi
principi che mi ritrovo impossibilitato dal sollevarti dalla tua situazione.
Vorrei farlo, credimi, non ci sarebbe cosa che non vorrei più di questa per te,
ma semplicemente non posso, non sarebbe giusto. La vita che vi ho dato è un
dono, e lungi da me privarvi di questa benedizione. Ti prego di capire, figlio
mio…”
…
Il tempo nuovamente sembra dilatarsi. Sto fermo, mentre
tutto intorno a me sembra immobile, e nella mia testa, nel mio animo...il caos.
Riascolto il discorso di Nostro Signore in testa. Sillaba. Dopo. Sillaba. Ed
ogni interminabile istante mi sento sempre più affondare, e sento sempre di più
quel peso in gola, quasi a trascinarmi a terra. Dio mi prega di capire. Dio mi
chiama figlio. Dio mi parla di principi.
I pensieri corrono sempre più veloci, alla velocità della
luce, mentre mi guardo intorno, attonito. La luce Divina, di fronte a me,
Pietro, che sembra quasi osservarmi soddisfatto, quell’aria di serenità di
nuovo abitante il suo volto. Io lì, in mezzo al nulla, con alle spalle le porte
del Paradiso.
Il mio Dio non può aiutarmi. Il mio Dio non può
soccorrermi. Il mio Dio non può liberarmi. Il mio Dio può lasciarmi a marcire
in questa prigione spirituale, senza scopo alcuno.
Strano che un Dio che per definizione è onnipotente può
permettersi solo di lasciarmi vivere la mia esistenza come anomalia. Eppure lui
Sa. Lui Vede. Lui Conosce tutto.
E probabilmente già sa questo flusso di pensieri a cosa
mi porterà. E vedo di nuovo quelle parole ronzarmi nella testa, quelle che
stavo per dire a Pietro, prima che con la sua intromissione si venisse a creare
quella specie di attimo senza tempo che sembravo abitare.
Lui è Onnipotente, per definizione. E i suoi limiti non
sono veramente tali, non provengono dall’alto, nascono unicamente in lui.
Imposti, come un senso di moralità, che gli vieta di intromettersi nelle nostre
questioni.
Per cui, per quanto sappia dove sto arrivando, non mi
fermerà. Non ancora.
I principi sono ferrei, immutabili, finché non arriva
qualcosa al di fuori di noi, che non può essere fermata se non abbandonando i
principi stessi, lasciando assieme ad essi una parte di sè.
Mi giro, finalmente illuminato. E so cosa fare.
Il tempo inizia nuovamente a scorrere veloce. Sento una
mano che mi afferra. Una figura barbuta, con gli occhi sconvolti. Mi urla
qualcosa, la faccia piegata inizialmente in una smorfia di orrore, quindi la
vedo deformarsi, colpita da un pugno che lo scaraventa a terra, lontano quel
che basta perchè non sia più un problema.
Mi avvicino veloce ai cancelli del Paradiso, fermandomi
solo un istante per guardarvi attraverso.
Sento il dolore e le urla dei dannati, al di là delle
sbarre, risalire come vampe di fuoco dalle viscere stesse dell’Inferno, e
quella vista mi colpisce, sembrando al contempo un ammonimento e un
incitamento. Mi sento nello stesso istante inorridito, ma irresistibilmente
attratto da ciò che sto per fare.
Dio ha limitato la sua stessa onnipotenza con dei
principi, e tramite quei principi mi condanna lì in eterno. Ora si sarebbe
trovato a scegliere se rimanervi ligio e condannare tutti i suoi figli per
essi, o se fermarmi, prima che imparta la condanna. Le porte del Paradiso sono li, alla mia mercé, e pochi attimi sarebbero bastati per aprirle.
Le fondamenta stesse del libero arbitrio ci portano nella
nostra esistenza a fare delle scelte, giuste o sbagliate, facili e difficili
che siano. E ora il nostro Signore sarebbe stato obbligato a scegliere.
Può lasciarmi stare, e io aprirò il Paradiso alle orde
dei dannati, perché prendano la loro rivincita sui millenni di decadimento a
cui erano stati condannati e che noi, le anime pie, le anime scelte, non
potremmo neanche immaginare.
Può eliminarmi, venendo meno ad un giuramento che aveva
fatto con sè stesso, liberandomi finalmente, ma rendendo vani i millenni in cui
noi tutti abbiamo dato fede alla parola di Dio, parola che nemmeno Lui è stato
in grado di seguire.
O magari può semplicemente privarmi del libero arbitrio e
lasciarmi lì, come un vegetale, e comunque non dovrei sorbire
un’eternità di insoddisfazione, non appartenendomi più la mia stessa esistenza,
ma il risultato non cambierebbe molto dalla precedente.
Ma qualunque sia la sua scelta, l’unica cosa certa è che
alla fine avrò vinto io.
Per cui sia fatta la sua volontà,