Citazioni


lunedì 28 aprile 2014

Venga il Tuo regno



Dio è onnipotente e, in quanto tale, gli unici suoi limiti sono autoimposti.


A volte mi capita di pensare al passato. Ai primi anni, alle strade, al modo di vivere del tempo…
Devo confessare che in vita non sono sempre stato uno stinco di santo. Potrei tranquillamente dire a mia discolpa che i tempi non erano maturi, o che le condizioni non erano ottimali, o che era colpa dell’ambiente, o Dio solo sa cos’altro. Scuse, tutte quante, utili solo a fuggire dalle proprie responsabilità. La verità è che semplicemente ero un peccatore, come tutti gli altri lì, in quel buco dimenticato dal cielo dove Dio non era riuscito ad attecchire. O almeno, sicuramente, non era riuscito ad attecchire nella mia famiglia. La mia famiglia, il Signore abbia pietà di loro… Un branco di beoni e nullafacenti, dal primo all’ultimo, più adatti a scolarsi boccali di birra e a violentare le femmine che a cambiare pannolini ed educare un figlio. Pensandoci, non ci si può certo meravigliare che sia venuto su così. Al massimo, ci si può meravigliare del fatto che ne sia uscito.

“E’ dagli ambienti più critici, dalle più grandi difficoltà che nascono le menti più eccelse, figliolo, ricordi?”
“Si, Padre Leonard, ricordo.”

In verità, se guardo indietro a quel giorno, a quei giorni, non so se mi si possono riconoscere veri meriti. In fondo, più che la morale, più che il senso del dovere, più che il rimorso, è stata la fortuna a salvarmi.
Già, perché alla fine l’unico motivo per cui non sono ancora li, a spacciare o rubare o pestare sconosciuti per permettermi l’ennesima dose, è che ero semplicemente sulla macchina giusta, quando il momento era sbagliato. E non sono state le mie cervella a spargersi sull’asfalto.
I ricordi sono ancora un po’ confusi di quel giorno. Ricordo la pioggia, il rumore della gomma sull’asfalto, lo schianto… poi tutto caotico. Non so nemmeno più com’è che mi sono ritrovato alla chiesa di Padre Leonard, e alla fine poco conta. Mistero della fede, chiamiamolo così. Riesco solo a ricordare quella sensazione di calore che non ricordavo di aver mai sentito prima d’allora, le lacrime, la serenità nel momento in cui uscii dalle acque battesimali come Albert.
Da allora in effetti la mia vita svoltò. Ho seguito alla lettera gli insegnamenti di Padre Leonard, anche nel momento in cui fu il suo turno di ricongiungersi al Signore, ed è stata con uguale serenità che ho poi salutato quel mondo per ritornare al Padre.

“Il Signore spesso agisce per strade a noi oscure, ma ha un piano per ognuno di noi, figliolo, te incluso. Ricordatelo sempre”
“Sia fatta la sua volontà, allora.”

Quando, svegliandomi, vidi i cancelli del Paradiso, mi venne quasi da piangere. Davanti a quella visione celestiale, a quel dipinto di pace che si stagliava di fronte a me, sembrava finalmente avere tutto un senso. Sognavo da chissà quanto quelle sensazioni che mi venivano così abilmente descritte da Padre Leonard, nelle nostre lezioni. Quel senso di pace, il più puro che si sia mai visto, come se il tempo avesse smesso di avere senso, come se tutto il dolore che si poteva aver provato al piano di sotto impallidisse di fronte a quell’equilibrio che sarebbe in un certo senso disceso dal cielo alla Sua vista. L’Io che torna finalmente al posto in cui è nato, ricongiungendosi al Padre e beandosi della Sua presenza.
Da quel giorno, da quando ho varcato le Porte del Paradiso, non so neanche più quanto tempo è passato.
Tutto impallidisce, certo.
Ma allora che diavolo ci faccio di nuovo qui?
E’ da tempo che i ricordi del passato mi ritornano in mente, un flusso continuo, senza fine, che non riesco a fermare. E tutto per colpa di quella sensazione, quella sensazione così familiare una volta… la sensazione che sentivo ogni mattina, quando suonava la sveglia e mi chiedevo perchè non fossi morto nel sonno, prima ancora della mia rinascita.
A quanto pare stare in Paradiso non riesce a salvarmi dall’apatia…
“Vieni avanti, figliolo.”
E alla fine eccolo li. Il momento della resa dei conti, come quando dopo un mese era il tuo turno di essere interrogato, o come il giorno dell'appuntamento con quella bella ragazza li, conosciuta al posto di lavoro e che ci avevi messo almeno un paio di settimane per trovare il coraggio di invitarla fuori. Quelle esperienze terrene, lontane anni (o almeno credo, non è che qui il tempo ha tutta questa importanza) dalla condizione in cui mi trovo ora, che a stento riesco a ricordare. Eppure nuovamente mi ritrovo con le gambe tremanti e col discorso bello preparato che improvvisamente decide di volatilizzarsi totalmente dalla testa. Ed eccomi là, muto ed inebetito che cerco di contenere quella sensazione di panico di fronte San Pietro.
"Ragazzo mio, rilassati, in tanti anni tra le nuvole posso giurarti che non ho mai morso nessuno "
Il vecchio Santo ride bonariamente mentre leggermente infastidito cerco di riprendere la calma.
"Diavoli, non so neanche da dove cominciare...lei mi conosce, padre... "
"Certo Albert, ti conosco bene. Ero lì proprio il giorno in cui ascendesti al cielo. Un'anima pia. Un medico, se non ricordo male. A un certo punto hai fatto anche il missionario in Africa, se non sbaglio. Da queste parti non se ne vedono molte di persone che hanno fatto quello che hai fatto tu. Molti non riescono a capire, non superano la prova... Già, la vista di quegli orrori toglie a molti la fede... Ma non a te, e te ne complimento. Impeccabile anche nella malattia. È stato un onore per me aprirti le porte del Paradiso."
“La ringrazio per le belle parole, Padre…”
Mi sforzo di sorridere, chinando la testa con rispetto davanti a quello che in vita era stato il primo Papa. Pensandoci, mi sono sempre meravigliato del fatto che la sua figura sia esattamente come me la immaginavo. Un uomo non particolarmente possente, ma che trasudava imponenza, come se avesse un’aura particolare. E quegli occhi azzurri, che spiccavano in quel volto ricoperto da una lunga barba bianca, quasi vaporosa, che gli dava un’aura ancora più regale, se possibile. Sembrava uno di quei maghi della letteratura fantasy, in effetti.
“Ma c’è qualcosa che non va, vero? Già… te lo si legge in faccia. Hai un tarlo che ti tormenta, un chiodo fisso che non riesci a scacciare.”
Sorride con fare paterno, avvicinandosi a passi brevi.
“Fammi indovinare, immagino che si tratta dei tuoi cari, giusto? Magari vuoi sapere qualcosa su tua moglie, o sul piccolo Alphonse, no? Basta chiederlo, e per quel che posso soddisferò le tue curiosità.”
“No, padre, la ringrazio, ma non sono qui per questo motivo…”
“Dimmi allora, cosa vuoi chiedermi?”
Si ferma lì, placido, guardandomi negli occhi profondamente. Sbuffo, strofinandomi la testa, mentre cerco le parole giuste…
“Lei lo sa padre, lo sa bene, in vita, per quel che erano le mie possibilità, ho sempre cercato di essere un buon cristiano, di seguire la parola di Dio. Ho cercati di essere caritatevole, di non cadere in tentazione e di evitare i vizi. Ho visto tanta gente in vita rovinare la propria esistenza, ma ho sempre cercato di moderarmi nei giudizi. Siamo tutti creature di Dio, in fondo. E allo stesso modo ho sempre evitato di cadere nella superbia. Ho sempre cercato di essere umile, nel mio piccolo, e a memoria non ho mai preteso nulla. Eppure… Dio, non lo so, c’è qualcosa che non va…”
“Va avanti, figliolo, spiegati tranquillamente.”
Faccio un respiro profondo, cercando di rilassarmi il più possibile.
“...E’ da quando sono qui che sento… una mancanza. Sa, Padre Leonard, in vita, mi ha parlato spesso dell’anima. Usando parole sue, siamo tutti creature di Dio, parte della sua mano, e in quanto tale il nostro scopo nella vita non è altro che ricongiungerci al Santo Padre, ritornare al suo cospetto. Solo così saremo finalmente appagati, perchè la vicinanza a Dio è l’unica cosa che l’anima, per la sua stessa natura, brama veramente. Ragion per cui possiamo tranquillamente dire che il solo stare vicino al Signore ci rende sereni, ci soddisfa, in un certo senso ci libera veramente.”
“Beh, si, più o meno il concetto è quello.”
“Ed è infatti quello che riesco a vedere negli occhi di tutti gli altri. Tutti quanti, dal primo all’ultimo. Vedo quello sguardo perennemente illuminato, il viso rilassato in un’espressione beata. Per non parlare dei sorrisi… è esattamente come mi era stato descritto. E questo mi fa stare solo peggio…”
“Figliolo, mi devi scusare, ma non riesco a seguirti.”
“Io non riesco a sentirlo, Padre!”
Guardavo negli occhi del Santo e riuscivo a leggerne la confusione, e non potevo biasimarlo, perchè la conoscevo bene. Sospirai.
“Non mi fraintenda, il giorno in cui sono arrivato qui, non so nemmeno quanto tempo fa, e mi ha aperto le porte del Paradiso, alla vista di nostro Signore ho sentito anche io quella sensazione di appagamento, non lo nego. Anzi, la ricordo ancora, intrappolata nelle viscere più profonde del mio animo. Ho sentito la sua presenza, ho sentito la serenità che quasi penetrava il mio spirito, come aria nei polmoni. E non lo nego, non avevo neanche in testa la possibilità che quella sensazione potesse finire. Ero arrivato in Paradiso, avevo raggiunto la grazia eterna, non era neanche immaginabile che potesse essere passeggero. Non poteva certo essere come quando vieni promosso sul lavoro, o come quando ti sposi, non poteva essere un momento di gioia passeggera come quello. E invece eccomi qui, di fronte a lei, Padre, a dire che non sono come tutti gli altri, a soffrirne. Perché per qualche strano motivo la serenità, l’appagamento… tutto è fuggito via, ancora una volta, nonostante di fronte a me ancora ora ci sia lo spettacolo per cui ogni singola maledetta anima del creato dovrebbe anelare…”
Cala il silenzio e davanti ai miei occhi vedo il disagio montare nella persona del Santo. Avevo di fronte a me un uomo che aveva visto il nostro signore Gesù Cristo crocifisso, che ha visto la discesa dello Spirito Santo di persona, che probabilmente ha visto così tanti miracoli da far rimanere sbigottito il più fervido dei credenti, eppure la mia situazione era riuscita a turbarlo, o quantomeno ad essere notato. Il silenzio riusciva a rendere solo ancora più pesante l’atmosfera.
“Padre, mi ascolti…”
“No, figliolo, ora dovrai ascoltarmi tu. Io non so sinceramente cosa tu stia cercando di ottenere, ma posso tranquillamente dirti che tutto quello che mi hai riferito potrebbe essere facilmente bollato come blasfemia, se non sapessi, e soprattutto non sapesse, che tu sei un’anima degna di rispetto. La situazione, come me l’hai dipinta, non ha senso… e ti inviterei a riflettere, a riconsiderare, ad essere più giudizioso…”
“Giudizioso di cosa, Padre?! Io non so se ha una vera idea di come mi possa sentire, di come stia vivendo in questi giorni, circondato da persone che riescono a godere a pieno del dono divino e con la coscienza di non essere nient’altro che un mostro. Lei mi invita a riflettere, io le posso assicurare che è tutto quello che ho fatto prima di arrivare qui, davanti a lei. Sono stato non so quanto tempo ad interrogarmi sul perché sia così, sul perché stia succedendo solo a me, e purtroppo non riesco a trovare una risposta. Ho pensato che fosse solo una questione di tempo, che in un certo senso il mio spirito si dovesse abituare al piano in cui mi trovo ora. Ma è passato troppo, Padre, non mi meraviglierei di ritrovare a momenti mia moglie o mio figlio a passare per il cancello, sempre che superino il giudizio di nostro Signore. E tutto questo fa male, Padre, fa un male del diavolo. Perché riesco a sapere cosa manca, l’ho sentito, quando sono arrivato qui. E questa è la beffa più grande. Ho raggiunto il più alto degli scalini, l’ho sentita quella gioia incommensurabile, quella soddisfazione, e invece di essere eterna, invece di sentirmi finalmente placato, ecco che ricompare quel dannatissimo vuoto che riempiva le giornate quando ero nel fottuto piano di sotto, e non posso nemmeno cercare una consolazione nel mal comune, mezzo gaudio. Quelle facce sorridenti, quegli sguardi rasserenati, placidi, sono solo un continuo ricordo di quanto sia io, ed io soltanto, una mostruosità, una anomalia. Un’anima deviata, a cui la vicinanza alla grazia di Dio e l’eterna magnificenza del Paradiso per qualche strano motivo non basta, non riesce ad appagarla.”
“E quindi? Vorresti forse che ti spedissimo all’Inferno, visto che non riesci a sentirti bene qui nella casa del Signore?Non ti sembra che la cosa di per se sia ass-”
“No, no di certo, non credo che l’essere spedito all’Inferno possa essere la risposta. Le chiedo di perdonarmi in anticipo se per quello che cercherò di riferirle potrei sembrare un superbo, Padre, le posso assicurare che non è, ne è mai stata, mia intenzione arrivare qui a pretendere qualcosa. Cerco solo di essere oggettivo, per quel che vale, e per quanto sia possibile. In vita, me ne ha dato atto, sono riuscito, nel mio piccolo, a dimostrarmi meritevole. Meritevole di avere aperte le porte del Paradiso, meritevole di essere qui, al cospetto del Santo Padre, meritevole della sua infinita grazia. Insomma, mi sono meritato di essere gratificato, e questo non l’ho detto io, è solo quello che riesco a interpretare da quello che mi è stato dato. Ed è con uguale obiettività che ritengo di non aver meritato la dannazione eterna.”
“Ma allora perché sei qui? Perché hai richiesto di vedermi, cos’è che vuoi veramente?”
Non ricordo neanche più quante volte mi ero posto quella stessa domanda, in tutte quelle giornate vuote e grigie passate in quella distesa paradisiaca. Il punto era proprio quello, in fondo. Ero qui, nel posto che tutte le anime desideravano, e non riuscivo ad essere soddisfatto. Cosa può soddisfarti, allora, quando hai già tutto quello che puoi desiderare?
La risposta…
“Non voglio niente. E lo dico nel senso più profondo possibile. Quando ero un ragazzo, ho già vissuto dietro a delle convinzioni, seppur puerili, e quelle convinzioni mi hanno infranto, distrutto, ed è stata solo grazie alla via del Signore che sono risorto, sui suoi principi ho vissuto la mia intera esistenza da allora, e tramite quei principi, a cui mi sono appeso così strenuamente, mi sono guadagnato l’accesso fin qui. Eppure questa particolare condizione in cui mi ritrovo, che ancora oggi non riesco a spiegarmi, è riuscita a vanificare qualsiasi sacrificio che ho effettuato. In pochi attimi, ho visto il sogno di una vita sbiadire come una semplice macchia d’inchiostro, ed ora mi ritrovo di nuovo qui, morto come quando avevo sedici anni. Non ho più motivazioni per trovare la forza per risorgere di nuovo, non ho più nulla a cui appigliarmi. E sinceramente...neanche lo desidero. L’esistenza mi è venuta a noia, ed è per questo che sono qui. L’unica cosa che voglio è l’oblio, l’estinzione. Voglio semplicemente che la mia anima sia finalmente cancellata, per liberarmi da desideri irrealizzabili e da una fame che non riesce ad essere saziata.”
Cala il silenzio. Per quel che sembrano momenti interminabili, siamo solo io e Pietro che ci fissiamo. Lo guardo fisso negli occhi, cercando di scorgere qualcosa, ma tutto sembra immutabile, imperturbabile. Mi chiedo che cosa stia pensando, perché ancora una volta sia restio a parlare, perché mi lascia li sulle spin-
“Figliolo, tu sei pazzo.”
Poche parole, lapidarie.
“Padre, mi scusi, ma…”
“No, Albert, non ti scuso. Tutto questo tempo passato qui ti ha fatto definitivamente bere il cervello.”
“Mi sembra che stia esagerando, Padre, ho solo chiesto…”
“HAI SOLO CHIESTO?! Oh Signore, figliolo, non ti riconosco più. Ti rendi conto di che cosa stai chiedendo veramente?”
“Voglio solo un po’ di pac…”
“VUOI SOLO che il Signore nostro Dio ti privi del dono dell’esistenza. A quanto pare per te il Paradiso è poca cosa, non è vero? Non saresti poi tanto differente dai suicidi, pazzo depravato, e sai bene dove li ha relegati quegli schifosi ingrati.”
“La prego di moderare i termini, Padre, non ha diritto di giudicarmi.”
“Già, IO non ho il diritto di farlo. Ma credimi, anche chi giudica noi tutti non ti accorderà il tuo desiderio. Semplicemente, non può farlo.”
Poche parole, tanto dolore, come un pugno in uno stomaco…
“Non può? NON PUO’?!”
Sento la rabbia salire precipitosamente, mentre mi avvicino minaccioso al Santo.
“Non posso accettare quello che mi dici, Pietro. Nostro signore è ONNIPOTENTE, non è possibile che non possa…”

“Adesso basta!”

Un lampo di luce. Una voce, calda e calma ma allo stesso tempo dura e autoritaria. Un senso di paura misto ad uno di meraviglia. E Dio era lì, in mezzo a noi, e noi lì, fermi, ammutoliti dalla sua presenza, aspettavamo ancora la sua parola.

“Albert, figlio mio, conosco bene il tuo stato, la tua situazione, e mi rattrista vederti così amareggiato, insoddisfatto, disperato. Tu sai bene che amo te, come tutti voi, figli miei, mie creature predilette. E cosa può desidera un padre più della gioia per i propri figli? Cosa può sperare di più, se non vederli finalmente felici e sereni? Egli farebbe tutto ciò che è in suo potere, per cercare di accontentare la sua progenie, soprattutto se essa, come te, si è dimostrata meritevole…”
                                                                          
Abbasso la testa, con rispetto, sentendomi felice al sentire le parole del nostro Signore. Finalmente, dopo tanto tempo, vedevo finalmente la fine di quel limbo, ero di nuovo infiammato dalla speranza.



Ma…

“Ma…”


“Mi addolora doverti dire che purtroppo non posso acconsentire al tuo desiderio. Devi capire, Albert, che nel momento in cui vi ho creati, nel momento stesso in cui vi ho messi al mondo, io stesso mi sono ritrovato a dovermi porre dei principi. Ho deciso di non intromettermi veramente nelle vostre decisioni, di non portarvi a me con l’intimidazione, ma lasciandovi la possibilità di amarmi, come io amo voi. Di poter essere quello che veramente siete. Di essere liberi e, in definitiva, vivi. Ed è per questi principi che mi ritrovo impossibilitato dal sollevarti dalla tua situazione. Vorrei farlo, credimi, non ci sarebbe cosa che non vorrei più di questa per te, ma semplicemente non posso, non sarebbe giusto. La vita che vi ho dato è un dono, e lungi da me privarvi di questa benedizione. Ti prego di capire, figlio mio…”

Il tempo nuovamente sembra dilatarsi. Sto fermo, mentre tutto intorno a me sembra immobile, e nella mia testa, nel mio animo...il caos. Riascolto il discorso di Nostro Signore in testa. Sillaba. Dopo. Sillaba. Ed ogni interminabile istante mi sento sempre più affondare, e sento sempre di più quel peso in gola, quasi a trascinarmi a terra. Dio mi prega di capire. Dio mi chiama figlio. Dio mi parla di principi.
I pensieri corrono sempre più veloci, alla velocità della luce, mentre mi guardo intorno, attonito. La luce Divina, di fronte a me, Pietro, che sembra quasi osservarmi soddisfatto, quell’aria di serenità di nuovo abitante il suo volto. Io lì, in mezzo al nulla, con alle spalle le porte del Paradiso.
Il mio Dio non può aiutarmi. Il mio Dio non può soccorrermi. Il mio Dio non può liberarmi. Il mio Dio può lasciarmi a marcire in questa prigione spirituale, senza scopo alcuno.
Strano che un Dio che per definizione è onnipotente può permettersi solo di lasciarmi vivere la mia esistenza come anomalia. Eppure lui Sa. Lui Vede. Lui Conosce tutto.
E probabilmente già sa questo flusso di pensieri a cosa mi porterà. E vedo di nuovo quelle parole ronzarmi nella testa, quelle che stavo per dire a Pietro, prima che con la sua intromissione si venisse a creare quella specie di attimo senza tempo che sembravo abitare.
Lui è Onnipotente, per definizione. E i suoi limiti non sono veramente tali, non provengono dall’alto, nascono unicamente in lui. Imposti, come un senso di moralità, che gli vieta di intromettersi nelle nostre questioni.
Per cui, per quanto sappia dove sto arrivando, non mi fermerà. Non ancora.
I principi sono ferrei, immutabili, finché non arriva qualcosa al di fuori di noi, che non può essere fermata se non abbandonando i principi stessi, lasciando assieme ad essi una parte di sè.
Mi giro, finalmente illuminato. E so cosa fare.
Il tempo inizia nuovamente a scorrere veloce. Sento una mano che mi afferra. Una figura barbuta, con gli occhi sconvolti. Mi urla qualcosa, la faccia piegata inizialmente in una smorfia di orrore, quindi la vedo deformarsi, colpita da un pugno che lo scaraventa a terra, lontano quel che basta perchè non sia più un problema.
Mi avvicino veloce ai cancelli del Paradiso, fermandomi solo un istante per guardarvi attraverso.
Sento il dolore e le urla dei dannati, al di là delle sbarre, risalire come vampe di fuoco dalle viscere stesse dell’Inferno, e quella vista mi colpisce, sembrando al contempo un ammonimento e un incitamento. Mi sento nello stesso istante inorridito, ma irresistibilmente attratto da ciò che sto per fare.
Dio ha limitato la sua stessa onnipotenza con dei principi, e tramite quei principi mi condanna lì in eterno. Ora si sarebbe trovato a scegliere se rimanervi ligio e condannare tutti i suoi figli per essi, o se fermarmi, prima che imparta la condanna. Le porte del Paradiso sono li, alla mia mercé, e pochi attimi sarebbero bastati per aprirle.
Le fondamenta stesse del libero arbitrio ci portano nella nostra esistenza a fare delle scelte, giuste o sbagliate, facili e difficili che siano. E ora il nostro Signore sarebbe stato obbligato a scegliere.
Può lasciarmi stare, e io aprirò il Paradiso alle orde dei dannati, perché prendano la loro rivincita sui millenni di decadimento a cui erano stati condannati e che noi, le anime pie, le anime scelte, non potremmo neanche immaginare.
Può eliminarmi, venendo meno ad un giuramento che aveva fatto con sè stesso, liberandomi finalmente, ma rendendo vani i millenni in cui noi tutti abbiamo dato fede alla parola di Dio, parola che nemmeno Lui è stato in grado di seguire.
O magari può semplicemente privarmi del libero arbitrio e lasciarmi lì, come un vegetale, e comunque non dovrei sorbire un’eternità di insoddisfazione, non appartenendomi più la mia stessa esistenza, ma il risultato non cambierebbe molto dalla precedente.
Ma qualunque sia la sua scelta, l’unica cosa certa è che alla fine avrò vinto io.
Per cui sia fatta la sua volontà,
Amen.

martedì 8 aprile 2014

Bianco e nero

Le sei del mattino.
Il paese è avvolto da una quasi innaturale calma, un silenzio intervallato solo dal gracchiare ora lontano ora vicino di una cornacchia, l’uggiolare di un cane che sfuma dietro il bordo della collina, i primi uccelli mattinieri che si svegliano. La notte è ancora nera, ma il foglio è bianco; dal buio nasce la luce, dall’oblio del nero emergono le amnesie candide. 
Lo yin e lo yang dello scrittore. Due colori che si rincorrono, senza mai prendere il sopravvento,in un ciclico periodo. È come stare al mare: adagiato sulla barca che è il mio letto osservo il mare nero del cielo, ma senza stelle, dunque senza pesci da pescare. Le poche, sparute macchine che iniziano a sentirsi per strada hanno lo stesso ritmato e lento sciabordio delle onde, ora lontano, ora vicino, ed il suono è già svanito dietro la prima curva, molto oltre i limiti del mio udito. Una notte che è si nera ma anche bianca, perché mi tiene sveglio. 
La campana che rintocca la mezz’ora ha il suono pulito e ridondante che vibra nell’aria immota, come quello che immagini sia il suono della campana di un porto, o quella del faro. Un foglio che è si bianco ma vuole diventare nero, e attende d’essere riempito di lettere scure, minuscole imbarcazioni di pescatori dalle mani provate dalla corda e dalla salsedine, le barbe crespe, la pelle del viso arrossata. I calli che hanno sui palmi delle mani sono sinagoghe della fatica che si stagliano contro un cielo prima grigio, ora color vinaccia,segno imminente di un sole che ha appena aperto un occhio, e si stiracchia sotto le lenzuola. Il gracchiare rauco delle cornacchie è aumentato di volume, e sembrano gabbiani in estasi per l’odore delle viscere dei pesci appena sventrati sulla riva. Uno o due scendono di quota e zampettano vicino alle reti, in cerca di scarti da beccare freneticamente, prima che il solito gesto svogliato e poco convinto del pescatore li faccia di nuovo volare via, per poi andare a scendere di nuovo di quota, nella nuova ricerca di altri scarti da mangiare. Yin e yang.
E i calli dei pescatori sono sinagoghe e i loro capelli stoppa bianca, e mi ricordano mio padre e il suo profumo di ferro, e mio padre pescatore non lo è mai stato. La campana della prima messa suona, i pescatori bestemmiano, le vecchie signore con lo scialle finiscono di bere il loro caffellatte caldo, in una cucina silenziosa e fredda, dove l’unico segno di vita è il canticchiare monosillabico dell’orologio appeso al muro. Foto di vecchi mariti in bianco e nero, santini, odor di moltitudini di pranzi e cene consumate negli anni e quello di un corpo ormai stanco, più penetrante e forte. Forse anche quello di qualche gatto.
Sono odori e colori lontani da me. Chiudo la finestra per ottundere via tutto, e mi immergo sempre di più nel materasso della mia barca, del mio letto, ad ondeggiare. Man mano che sprofondo il sonno mi coglie, mentre la gente sta per svegliarsi. Man mano che riempio questo foglio bianco con lettere nere il cielo scuro si schiarisce. Yin e yang. Non si mischiano, non si combattono: si rincorrono, si spingono in un cerchio reciproco, solleticandosi a vicenda a compiere un giro. Più il sonno mi appesantisce lo spirito più sogno d’essere sveglio.

Ora il foglio è pieno, il mattino è iniziato.