Citazioni


giovedì 28 febbraio 2013

Mi chiedo.



Il pomello della porta gira ancora una volta, aprendo lentamente la soglia della casa.
Nello spiraglio della porta vedo la sua figura apparire.
Non una parola.
Mi prende la mano, invitandomi implicitamente a seguirla.
Varcando l'uscio, rimango inevitabilmente spiazzato nel rivedere quelle stanze… così familiari ai miei occhi.
Già... i ricordi iniziano ad assalirmi, ogni centimetro di quella casa ha delle storie da raccontare...
Osservo l'angolo in cui stavo fermo, aspettando che mi presentasse ai suoi. La mente viaggia fino a quel momento... e ne ricordo il terrore! Ero ansioso, più di quanto sia mai stato prima di qualsiasi esame sostenuto, di qualsiasi prova affrontata, di qualsiasi persona incontrata, persino di qualsiasi certo fallimento. Già... qualsiasi cosa perdeva importanza all'idea di fare buona impressione sui suoi genitori... all'idea di avvicinarmi di un passo di più al sogno.
Sorrido. Un sorriso amaro.
Già... i ricordi sono l'unica cosa che realmente mi assale. Le emozioni... svanite. Non ci sono. Nulla. Nichts.
È come se fossero spariti i colori... e né il divano dove ci siamo baciati di nascosto la prima volta, né il tavolo su cui abbiamo fatto l'amore la prima volta che finalmente avevamo casa libera... nulla, nessun ricordo “positivo” riesce a restituirli.
Nemmeno lei.
Entriamo nella sua stanza, chiudendoci la porta alle spalle. Ci guardiamo.
La saluto. Sa.
Mi saluta. So.
Ci baciamo.
La passione… l'istinto... quello rimane, noncurante dei pensieri che iniziano ad annebbiarsi, mentre pian piano la spingo sul letto.
Ci spogliamo. Movimenti meccanici, quasi innaturali, senza staccare quel bacio se non per il minimo necessario per permettere alle magliette di volare via.
L'eccitazione sale sempre di più e anche l'ultimo pezzo di biancheria scivola lentamente dai nostri corpi.
Niente preliminari. Nessuno dei due ne sente la necessità.
Affondiamo nel più puro degli istinti animali, mentre il mio sesso affonda nel suo.
Le mani corrono, sfiorano la pelle.
Siamo soli.
Provo a distogliere un momento i capelli rossicci dai suoi occhi, fermandomi ad osservarli.
Niente.
La bacio nuovamente, assaporando il profondo volteggiare delle nostre lingue.
La desidero. Mi desidera.
Non ci amiamo più.
La stringo più forte, continuando con forza ad affondare in lei. Cingo ormai completamente il suo esile corpo, ne sento il calore.
Sono eccitato. Aumento il passo.
I gemiti che emette non fanno altro che rendere più armonico il gioco degli ormoni.
Non penso più. Mi lascio sempre più andare al piacere... ai sensi...
Il profumo della sua pelle... penetra nelle mie narici. Ricordi inutilmente cercano di affiorare nel vuoto della mia mente, mentre mi faccio inebriare da quella fragranza.
Godo nel vederla contorcersi, nel vedere il suo seno ondeggiare a ritmo.
Il momento sta per arrivare. Il respiro si fa sempre più pesante, l'euforia sale fino alle stelle.
L'orgasmo...
e tutto finisce.
Ci accasciamo entrambi sul fianco, prendendo fiato. Bello. Anche stavolta è stato bello. Ma di tutti i sensi… il più importante, proprio quello, quello che era una volta il più presente, quello... quello mancava.
Mi stropiccio la fronte, alzandomi. Non ci guardiamo.
Veloce, inizio a rivestirmi... sentendomi mancare.
Non nego che anche l'abbandono al semplice piacere, al nudo e crudo godere del corpo possa essere una bella sensazione.
Ma il vuoto dentro... il vuoto rimane.
Mi chiedo da quanto tempo io non faccia l'amore.



Sento il cuore battere all’impazzata, mentre cerco di scappare. Di mettermi al sicuro.
Piove a dirotto e questo non fa altro che rendermi più difficile scappare. Impreco, mentre la vista mi si annebbia, ma non ho tempo per pensarci. Sento i suoi passi, sempre più vicini, enfatizzati dal suono delle pozzanghere calpestate… devo muovermi.
Ma dove andare? Destra, sinistra, dove?!
I vicoli… sì, provo a infilarmi nei vicoli… magari ho fortuna! Magari nessuno dei due conosce bene la zona!
La realtà mi colpisce duro con un muro di granito. Alto. Solido. Invalicabile.
Provo inutilmente ad arrampicarmi, mentre sento le lacrime sgorgare. E ormai non so più se sono loro o la pioggia a rendermi la vista così poco chiara…
Non ho scampo.
Mi giro, sentendo i suoi occhi su di me. Mi balena in testa il pensiero che lui sapesse, sapesse che sarei finita in trappola!
Lotto con i singhiozzi, mentre la sua nera figura inizia a fare capolino dal buio, lenta, diretta verso di me...
Uno schiaffo. Lotto con la frustrazione, a sentire la mascella pulsare. So che è inutile chiedergli pietà, ma provo lo stesso.
Un altro schiaffo è la risposta che mi viene data.
Mi accascio al muro...non ho più la forza nemmeno di urlare.
Lama alla gola. E col terrore che inizia a impadronirsi di me, lo sento sussurrare. Ti piacerà, mi dice, ridendo. Di tutta risposta scoppio in lacrime.
Mi prende per i capelli, facendomi aderire completamente al muro.
Sento la sua mano strisciare verso il mio inguine. Scoppia a ridere, e quella risata mi fa accapponare la pelle come unghie sulla lavagna. Sei già bagnata, mi dice...
No. Mente. Deve essere così. Non posso certo…si sarà confuso con la pioggia! Non è possibile. NON POSSO ESSERE ECCITATA ORA.
Vorrei urlarglielo, ma la mano inizia a tirare con forza i collant, strappandoli proprio sulla zona interessata.
No, no, no, prego perché qualcuno, CHIUNQUE mi aiuti.
L'aiuto non arriva. In compenso, il suo pene dentro di me sì.
Sento la sua mano pressare la mia bocca... e il respiro sempre più difficoltoso…
Mi lecca il collo, gemendo come solo un pazzo può fare, pressandomi insistentemente contro il muro…
E ancora non mi spiego PERCHE' mi senta eccitata.
Lo sento sempre più forte, e per quanto possa resistere… inizio a sentire piacere.
Trattengo i gemiti, almeno la dignità voglio preservarla.
L'unica cosa che mi rimane, mentre mi faccio sbattere come una puttana.
Ormai non sento più la sua lama sul collo, ma non ho più la forza di oppormi.
Sono…dominata. Oltre 40 anni di femminismo e ancora non riesco a liberarmi dall'idea di sentirmi un oggetto!
Prego perché finisca, lottando con lo stimolo di piangere a dirotto e il godere che mi sta annebbiando il cervello.
Lo sento venire. Uno sconosciuto, un pervertito, un pazzo mi monta come l'ultima delle troie...e mi viene anche dentro.
Ride, allontanandosi, sparendo nell’oscurità.
La pioggia si fa più fitta, come la mia vergogna e l'idea che non mi sentirò mai libera da questa sensazione.
La sensazione di essere sporca, impura.
Non nego che il sentirmi dominata, la particolarità della situazione… abbia avuto un ché di eccitante.
Ma per questo... non riesco a non odiarmi.
Mi chiedo come possa anche solo pensare di poter nuovamente fare l'amore



Apro la portiera, scendendo dalla macchina.
Continuo a chiedermi perché lo stia facendo, perché in questo momento mi ritrovi qui, in questa zona malfamata, lontano dal mio “luminoso” posto di lavoro, pronto per vuotare il mio portafogli in... non voglio nemmeno pensarci.
Chiedo, chiedo, ma subito mi rispondo.
La risposta è quella, è sempre stata quella, da quando, all'età di 31 anni, mi è balenata in testa l'idea... quell'idea dal quale la mia coscienza, corroborata da tutti quei dannati valori che finora mi tenevano sulla retta via, era sempre riuscita a fuggire fino ad ora... prima di essere messa in scacco.
Disperazione.
Mi avvicino al marciapiede.
Quante saranno... sei? Sette? Guardo, ma non vedo veramente.
Mi avvicino a quella che immagino gestisca il “giro”.
Inizia a proferire parole in “malo” italiano. Tariffe, qualità, i soliti stereotipi. Il solito 50 bbocca, 100 ammore, immagino, o magari no.
Non mi interessa.
Mi indica una delle “pupille”, che sorride. Un sorriso a 32 denti. Finto. Il solito loro.
Non faccio caso se sia nera, cinese o di chissà quale altra minoranza etnica di chissà quale posto sperduto.
L'importante è il buco.
Non mi disturbo a portarla in uno di quei motel pidocchiosi tipici della zona, che se la polizia anche solo lontanamente si disturbasse a controllare sarebbe obbligata a chiuderne i battenti per evidenti infrazioni alle norme sanitarie.
No, la faccio salire in macchina.
Mi allontano quel tanto che basta per poter stare in disparte.
Senza dire niente, abbasso i seggiolini.
La guardo avvicinarsi, fare la “sensuale”, cercare di dimostrare di valere l'investimento fatto.
Puttana.
Mi stupisco quasi nell’accorgermi che, nonostante lo squallore della situazione, sia eretto.
Lo tira fuori, iniziando a massaggiarlo.
Fa la finta tonta, uno dei soliti servizi extra... neanche sto a sentire le lodi che tesse sulle dimensioni o sulle altre qualità del mio cazzo; semplicemente, le spingo con forza la testa verso l'inguine, così da farle capire cosa voglio.
Capisce. Inizia a leccare.
Inumidisce con foga la cappella, per poi finalmente iniziare a succhiare.
I rumori che fa sono accentuati, terribilmente volgari... sembra di vedere un film porno dal vivo...
Ma devo dargliene atto. Funziona.
Preso dallo spirito animale, la afferro per i capelli, stendendola con violenza.
Mentre sfilo con forza quegli stracci che a stento la coprivano, la sento sussurrarmi all'orecchio.
Se voglio farlo violento, c'è un sovrapprezzo.
Mi scappa da ridere, mentre, senza darle alcun indizio, penetro la sua vagina con un'unica, violenta “botta”. Bel modo di perdere la verginità.
Inizio a spingere con forza, sentendola mugolare.
Solite ostentazioni. Soliti falsi gemiti. Soliti servizi non richiesti.
Le metto una mano al collo, intimandole furioso di fare silenzio. Obbedisce, mentre con sempre meno riguardo continuo a “sbatterla”.
La tiro nuovamente per i capelli, sentendoli spezzare, mentre la giro e la posiziono a quattro zampe. Continuo.
Sento l'odio che vive nel mio cuore iniziare finalmente a sfogarsi, mentre eccitato le sculaccio le natiche, urlandole di muoversi, di provarci almeno a valere quei 60 euro che mi stava costando!
Le sensazioni sono affievolite dall'amarezza che covo.
Mi trattengo quel poco che basta per poter giustificare la spesa, prima di venire...e tanti saluti.
Le intimo di scendere, porgendole i soldi. Le ho dato una mancia...la merita...è stata suo malgrado la mia valvola di sfogo.
La sento allontanarsi. Non allungo lo sguardo.
E' andata...e tutto ciò che mi ha lasciato non è altro che l'ennesima conferma di essere solo un perdente.
Non nego che sia stato quasi piacevole trattare un altro essere umano come un pezzo di carne atto solo a sfogare le mie frustrazioni.
Ma la solita tristezza di fondo fa capolino nella mia mente.
Mi chiedo come sia fare l'amore.



Non mi risulta difficile immaginare cosa le donne arrivate alla mia età vogliano dalla vita. Già, immagino che sognino di incontrare l’uomo giusto, di essere amate, di essere rispettate, magari di avere solo lui; magari sognano il matrimonio, di “figliare”, di invecchiare, sempre solo con lui. Non lo ammetteranno mai, ma sognano anche quelle notti di fuoco passionali, quel senso di partecipazione, il guardare il loro gentile e rispettoso partner soccombere agli istinti animali mentre le sbatte come delle puttane…ma con amore.
No, non mi risulta difficile immaginare cose simili.
Mi risulta difficile capirle.
Io ora come ora non potrei desiderare altro che quello che mi aspetta dentro questo capannone.
Mi guardo attorno, e ogni dettaglio aumenta l’eccitazione, rendendo sempre più difficile l’attesa.
La videocamera, la vaselina… i vestiti che indosso, che lasciano ben poco all’immaginazione…non posso non sentirmi impaziente!
La porta!  Si sta aprendo… eccoli, eccoli! L’attesa è finita finalmente.
Mi scappa un sorriso e immagino che faccia perversa possa mostrare in questo momento, a vedere questi uomini pronti a farmi godere.
Non resisto… sento l’eccitazione salire al massimo mentre dalla mia vagina inizio a perdere liquidi osceni.
Si pongono di fronte a me, nudi e col cazzo eretto. Pochi secondi e l’intero capannone inizia a essere pervaso da quel profumo mascolino che non fa altro che riempirmi di gioia. Basta, non attendo oltre!
Li voglio.
Non hanno neanche il tempo di agire, che già prendo uno di loro con la mia bocca.
Lo sento pulsare, ergersi ulteriormente nella mia bocca… e inizio a perdere la lucidità. Sarà l’odore, sarà la sensazione, sarà l’eccitazione, ma i pensieri svaniscono.
Uno di loro, meno paziente degli altri, mi penetra a tradimento. Sollevo gli occhi al cielo, persa nel piacere...
Di più, voglio di più!
Presto i buchi del mio corpo sono tutti occupati, quando per caso l’occhio cade sulla videocamera che sta riprendendo. L’idea che qualcuno, un giorno, possa masturbarsi mentre vengo penetrata in qualsiasi orifizio che il buon Dio mi ha affidato… non fa altro che eccitarmi di più!
Inizio a perdere veramente la testa, mentre i primi temerari mi vengono dentro.
Sentirmi inondare da quel getto caldo… fino in fondo. E l’odore…sì, l’odore! A che serve pensare, a che serve tutto quanto, quando un odore del genere ti pervade il cervello?
E prima che me ne renda conto, con la concezione del tempo affogata nel piacere…tutto finisce.
Alla fine rimango distesa sul pavimento del capannone. Si allontanano, senza riguardi.
Immagino i commenti che avranno fatto mentre ero troppo occupata a godere per ascoltarli…e la cosa mi fa sorridere ulteriormente.
E ancora di più mi risulta difficile capirle, anche se ne rimango incuriosita. Già, perché…
Non nego che mi basti anche il puro perdersi nel piacere, incurante dei pensieri altrui e di quanti siano quelli che te lo causano…
Ma a volte è più forte di me…
Mi chiedo cosa ci sia di così “speciale” nel fare l’amore



E così ci ritroviamo li.
Due persone. Due animali. Due esseri nervosi, ma eccitati, col cuore che batte come un tamburo e che addirittura nel silenzio della stanza riesce a rimbombare… ma forse è solo l’immaginazione che fa i soliti strani scherzi.
Due amanti.
Sorrido, sinceramente, nel guardare la stupenda creatura che sta ora poggiata sul mio letto. La solita cameretta di un adulto ancora sotto il tetto dei genitori, ma che altro serve in fondo? C’è il letto, c’è la privacy, c’è il filo di luce che si materializza, facendo capolino attraverso le sottili fessure delle persiane socchiuse a creare quell’atmosfera. E soprattutto ci siamo noi.
Non mi guarda, immagino sia nell’imbarazzo più totale.
Mi avvicino a piccoli passi, sedendomi al suo fianco…
Ne sfioro la pelle col dorso della mano e finalmente gli occhi appaiono da sotto i ciuffi castani che provavano invano a celarmeli. Occhi azzurri, color del mare. Mi hanno sempre affascinato inverosimilmente. Guardi la sua figura, che non sembra tradire in nessun modo una personalità così timida.. e poi osservi gli occhi e tutto ti è chiaro.
Immagino sia “colpa” loro se fin dall’inizio ho capito che la mia ricerca poteva essere finita.
Questo giorno è speciale. Abbiamo sempre aspettato, memori delle nostre precedenti storie che non avevano fatto altro che falciare ancora di più le nostre sicurezze sul mondo esterno, su quel che ci aspettava. Volevamo avere la sicurezza. Avevamo paura, anche se sentivamo che non ce n’era motivo.
Ora non dobbiamo più aspettare.
Sfioro la sua pelle con le labbra…prima le spalle…poi il collo…assaporo il tepore che emette, rimanendone pervaso…e improvvisamente subisco la sua prima mossa.
Mi bacia, un bacio ancora imbarazzato, ma che trasmette quelle sensazioni…quel brivido che corre lungo la schiena e che va a far contrasto con quel calore che senti a livello del cuore…
Sensazioni così stereotipate, tante volte raccontateci…ma che solo quando inizi veramente a provarle, puoi capire.
Ci perdiamo in noi e senza nemmeno accorgercene i vestiti volano via, uno a uno, inutili barriere ormai.
Sappiamo quel che vogliamo e sappiamo che lo vogliamo ora.
Il contatto tra le nostre parti erogene, nonostante l’”animalezza” dell’atto…trasmette quella sensazione di dolcezza…delicatezza...Yin e Yang, ma solo tra noi.
Tutto il resto impallidisce, mentre il nostro corpo diventa preda dei sentimenti. Il piacere diventa sempre più profondo e sento i dubbi svanire, lasciando posto a un’unica certezza, certezza che sento sussurrare piano, dolce suono proferito dalle sue labbra al mio orecchio, mentre si contorce in preda al piacere.
Si…ti amo anche io.
Sento come se non solo il nostro corpo, ma le anime stesse si unissero…e il gioco alchemico che ne viene fuori è bello, sublime.
La più bella sensazione mai creata…che culmina sempre nello stesso punto, sempre nello stesso atto, ma che ogni volta è impreziosito di quelle piccole particolarità che lo rendono unico e inimitabile.
L’orgasmo.
Ci accasciamo nel letto, ancora uniti in un tenero abbraccio.
Mi ama, mi ripete. Per me è lo stesso.
E la mia mente non può fare a meno di tornare al passato.
La vita che ho avuto è stata intensa fino a questo momento e non baratterei le esperienze che ho avuto per nulla al mondo. Hanno portato solo bene… e anche se tante volte ho sofferto, il tesoro che ora tengo stretto tra le braccia dà un senso a tutto.
Ma sono alfine al punto di arrivo e da qui non ho intenzione di muovermi.
Non nego la bellezza insita nell’abbandonarsi al semplice piacere nudo e crudo, o alle particolarità delle situazioni.
Né posso negare il piacere nell’usare il sesso come sfogo delle frustrazioni, o nel godere incurante dei pensieri altrui.
Ma di fronte a questo…tutto decade.
Mi chiedo cosa ci sia di meglio che fare l’amore.

sabato 16 febbraio 2013

awareness


A Bob,
come da promessa.



Il buio era denso, quasi palpabile.
La sensazione di poterlo afferrare era aumentata dalla consistenza stessa dell'aria: piena di odori, fumi, spezie, forse incensi.
L'aria era inspiegabilmente calda, nonostante non vi fosse in quella stanza alcuna fonte di calore e la stagione fuori non fosse molto mite.
L'unica sensazione di freddo le proveniva dall'unico punto di contatto con il mondo circostante: il pavimento. Sembrava in marmo, lo sentiva liscio sotto le sue ginocchia coperte dal velo dei collant.

Ormai il suo respiro si era calmato: all'inizio era affannoso per la paura, il terrore e per la difficoltà di respirare attraverso il fazzoletto che le copriva la bocca, ma che inevitabilmente finiva per tapparle in parte anche le narici.
Poi, molto lentamente, si era calmata, le lacrime avevano smesso di sgorgarle dagli occhi e sbavarle il trucco, oltre che a peggiorare ulteriormente la sua respirazione. Iniziò ad usare il cervello, a capire come era arrivata lì e come poteva uscirne.
Ma non aveva fatto molta strada: era al buio, in ginocchio a terra, imbavagliata, con polsi e caviglie legate.

Non sapeva definire quante ore fossero passate, ma dubitava fossero molte perchè non provava ancora nè fame, nè sonno.
In realtà tutti i suoi sensi erano annullati: la vista, il tatto, l'udito, il gusto... Tutti tranne l'olfatto, che continuava a percepire profumo di incenso.

La sua situazione poteva apparire tragica, ma in fondo adesso non provava più paura: quello che sentiva era un misto di adrenelina ed eccitazione che le mantenevano la mente sveglia alla ricerca di una soluzione per la situazione in cui versava.
Ma, infine, i suoi pensieri vennero interrotti.
Una porta nel buio si aprì lasciando trapelare un po' di luce che, per quanto lontana e soffusa, la accecò e stordì.
Dovette battere più volte le ciglia, già impastate dalle lacrime seccate e il trucco sciolto, prima di riuscire a vedere.
Appena sollevò la testa dalla sua posizione ranicchiata la prima cosa che vide furono due ginocchia che calzavano dei jeans blu, molto scuri.
Istintivamente alzò la testa e lo vide.
Era lui, era proprio lui, non c'era dubbio, non si era immaginata tutto: era stato lui a condurla in quel luogo.
"Dove sono?" provò a dire, avrebbe voluto urlarglielo, ma quello che ne uscì fu solo un mugugnio indistinto per via del pianto sommesso a cui erano state sottoposte le sue corde vocali e per via del bavaglio che, stupidamente, aveva dimenticato di avere sul volto.
Lo sgomento la invase di nuovo e gli occhi le si inumidirono ancora. Cercò di dimenare i polsi, le caviglie, non tanto perchè sperasse di liberarsi, ma quanto per lanciare un messaggio all'uomo che suonasse come un "ti prego, liberami".
Lui, dal canto suo, restò a fissarla qualche istante mentre si rendeva, probabilmente, così ridicola, poi andò in un angolo della stanza e accese diverse candele, con calma, una alla volta, fin quando il luogo non fu pieno di una tenue luce, ma abbastanza da vederci. A quel punto richiuse la porta e si sedette su una poltrona non lontana da lei che era apparsa dall'oscurità.
Lei continuava a fissarlo con sguardo implorante e lui continuava a fissarla con sguardo divertito.

Infine aprì un cassetto del mobile affiancato alla poltrona e ne tirò fuori un coltello.
La donna sbiancò: non poteva arrivare a tanto, non poteva andare così.
L'uomo si alzò, le si avvicinò e si ranicchiò accanto a lei, dopodichè la afferrò dai capelli, tirandoli e facendola gemere, facendo sgorgare nuove lacrime e, al contempo, abbassando il bavaglio, scoprendole la bocca e baciandola con ardore, forzandole le labbra con la lingua, solo come uno scassinatore apre di violenza una porta ben blindata. Lei provò ad opporre resistenza, dimenandosi, mugugnando, ma la presa sui capelli era salda e ogni movimento del capo troppo brusco veniva ripagato con una stilettata di dolore dritto nel cuoio capelluto.
Infine il mulinare di quella lingua nella sua bocca cessò e lei si ritrovò senza fiato e con la voce ancora tremula quando provò a dire "ti prego, lasciami andare!", come se lo volesse gridare via dal petto. L'unica risposta che ottenne fu un sonoro schiaffo in viso, non tanto forte da tramortirla, ma abbastanza da farle sentire pulsare e bruciare la zona colpita. A quel punto le lacrime scorrevano nuovamente copiose. L'uomo si flettè in avanti e con il coltello taglio con un gesto rapido e sicuro le corde che le tenevano fermi polsi e caviglie; poi slegò definitivamente il bavaglio e gettò tutto lontano da loro, anche il coltello.

Avrebbe voluto alzarsi, scattare in piedi e correre via, ma non ce la fece: le gambe le tremavano e il cuore le batteva all'impazzata.
L'uomo si alzò e tornò a sedersi sulla poltrona, riprendendo a fissarla.

Ci mise qualche minuto a riprendersi e la prima cosa che fece fu guardarsi, guardare i propri abiti, le proprie gambe, le proprie mani, inspiegabilmente di nuovo libere; indossava ancora il soprabito che aveva quando era uscita fuori.
Il suo stupore, il suo terrore furono interrotti dalle parole dell'uomo: - Avanti, alzati. -
La sua voce era dolce e calma in modo impossibile per quella situazione. La donna quasi sgranò gli occhi, ma non perse l'occasione e lo fece: le gambe le tremavano ancora, ma capì che alle sue spalle c'era un muro non troppo lontano, così indietreggiò e si appoggiò con le braccia e parte delle spalle ad esso.
- Molto bene. -
Seguirono lunghissimi istanti di silenzio in cui lui non le toglieva lo sguardo di dosso, sorridendo in modo enigmatico e lei si guardava attorno, smettendo lentamente di tremare e dando di nuovo dignità al suo volto, o almeno così credeva, asciugandosi le lacrime.
Per ultimo puntò gli occhi sulla porta.
In quel preciso istante l'uomo parlò ancora:
- Adesso levati quel soprabito. -
Le parole le risultarono quasi conviviali: sembrava che fosse stata invitata a prendere un thè e la sua amica le chiedesse in modo simpatico il soprabito per appenderlo all'ingresso.
Deglutì e per qualche secondo l'unica cosa che percepì fu il battito del proprio cuore.
Ciò che la inquietava di più era il suo sguardo: calmo e impassibile nonostante la situazione.
Lo assecondò e si tolse il soprabito, ponendoselo ben ripiegato sul braccio.
L'uomo si lasciò sfuggire un ghigno di approvazione.
- E ora la gonna. -
D'istinto la donna guardò le proprie gambe, come se chiedesse incosciamente "questa gonna?!", subito dopo rispostò lo sguardo su di lui, con un'espressione di stupore e paura.
L'uomo captò questi segnali e ribadì, con lo stesso tono calmo e freddo di prima:
- Levati la gonna, ho detto. -
Il cuore riprese a batterle all'impazzata e le membra ripresero a tremarle, tanto che il soprabito le scivolò a terra dal braccio e le lacrime ricominciarono a scorrere.
Con le mani più tremanti che mai si portò le dita alla cerniera laterare della gonna, la abbassò e lasciò che questa scivolasse a terra, per poi trarne un fuori con delicatezza, per paura di cadere dal tremore delle sue ginocchia, prima un piede e poi l'altro.
Era spaventata, ma l'imbarazzo ancora non la pervadeva poichè indossava una sottoveste di seta rosa al di sotto dei vestiti che la copriva fino a metà coscia.
L'uomo annuì debolmente, ma subito incalzò:
- La camicia. -
Brusco, senza aggiungere altro.
Lei aveva ormai capito e se la tolse, sbottonandola velocemente per quanto il tremore glielo permettesse, rassicurata dalla sua sottoveste che le avrebbe comunque coperto il busto, come un vestito.
La camicia scivolò giù dalle braccia al suolo, vicino alla gonna e al soprabito.
A quel punto lui sembrò rilassarsi.
Si abbandonò sulla poltrona, con una grande espressione di soddisfazione, sembrava stesse per scoppiare a ridere.
E rimase lì, per un tempo indefinito, sicuramente più di qualche minuto.

Un brivido percorse la sua schiena, ormai seminuda.
La consapevolezza che poteva andarsene in qualunque momento, ma invece era ancora lì, in sottoveste, a fissarlo.
Iniziava a sentirsi in imbarazzo, cambiò posizione strofinando le gambe fra di loro, come per riscaldarle.
Percepiva ancora il velo dei collant, sebbene guardandoli prima si accorse che fossero strappati in più punti; percepì una sensazione di pesantezza sulla schiena e sui polpacci per via dei tacchi che ancora indossava; percepì umido e caldo dentro le sue mutandine.
Lentamente un rossore le tinse il volto e il collo, ma era comunque troppo buio perchè lui se ne accorgesse.
Trascorse così del tempo inquantificabile.

Infine, però, il momento giunse:
- Levati la sottoveste. -
Il suo volto era tornato serio, la sua voce calma, ma stavolta lei non ubbidì: tutta quella nuova consapevolezza l'aveva resa, anzichè più forte, decisa, fredda, più vulnerabile.
 "No, ti prego..." provò a rispondere con cautela, anche se avrebbe voluto urlarglielo contro, ma le sue parole fuoriscirono ancora una volta troppo flebili, insicure.
Solo a quel punto lui scattò in piedi, in una maschera d'ira e le gridò contro con tutto il fiato che aveva in corpo:
- LEVATELO, HO DETTO, SGUALDRINA! -
Il cuore le balzò in gola, martellando, nel terrore, nell'eccitazione.
Gli occhi le si inumidorono ancora una volta, ma stavolta non furono da soli a farlo.
Tremando come una foglia si abbassò le spalline e provò a farsi scivolare via l'indumento che però faticava, facendo presa sulla schiena leggermente sudata.
Anch'esso scivolò a terra, alla fine.

Solo allora l'uomo le si avvicinò e le pose le mani in vita, scuotendola, infilando le dita all'interno dei collant, squarciandoli, lacerando l'elastico, tirando, lasciando solamente qualche filo penzolante e qualche macchia di tessuto dal ginocchio in giù.
Lei scoppiò a piangere, singhiozzando, mentre percepiva le proprie mutandine completamente intrise di umori.
La incollò al muro, facendo aderire il proprio corpo coperto da quegli indumenti che le apparivano come carta vetrata sulla propria pelle, ormai quasi del tutto nuda: l'aveva immobilizzata.
Ma si fermò.

Le sussurrò lievemente all'orecchio:
- Baciami adesso. -
Per poi spostare il volto di fronte al suo.
E lei lo fece, quasi d'istinto.

Lui ricambiò per qualche istante l'intenso bacio, ma subito dopo la afferò nuovamente dai capelli, facendola urlare, trascinandola fino alla poltrona e sbattendocela sgraziatamente con l'addome sopra uno dei due braccioli imbottiti, cosicchè lei affondasse con il viso sul sedile, fino a quasi soffocare, spinta dalla mano di lui.
Poi le allargò le gambe, rimaste tese, e con una mano si abbassò la cerniera dei jeans, abbassandoli e rivelando il suo sesso già ampiamente eccitato, mentre con l'altra, con violenza inaudita, le strappò via le mutandine fin troppo bagnate e gliele affondò in bocca, proprio nel momento in cui lei aveva provato ad alzarsi e a respirare.

Un istante dopo fu dentro.
E anche stavolta lei non potè urlare.


venerdì 8 febbraio 2013

Chiudi gli occhi


Erano circa le diciannove, quel lunedì che mi trovavo, come mio solito, nello studio dell’ultimo piano dell’edificio universitario. Era da un po’ iniziato il tramonto e l’aria era così fresca. Da quella finestra si scorge un panorama che, davvero, probabilmente le parole che userei non sarebbero mai quelle giuste per delinearlo nel dettaglio. Sono anni che insegno in quell'ateneo e certe volte, seriamente, dovrei odiare quello studio: continuamente invasa da documenti da firmare, studenti totalmente incompetenti che ti pongono quei quesiti così stupidi e se la fanno sotto per un esame; domande sempre uguali che intasano la casella di posta elettronica. Sempre le stesse domande. Non capisco, a volte è come se dovessero imparare a campare prima di affrontare esami e sedute di laurea.  Ci sono poi quelli che ti propongono di seguire la loro tesi di laurea e tu devi accettare anche certe banalità che è meglio non stare qui a descriverle; studenti che si sentono scienziati e noi docenti dobbiamo continuare a farli sentire tali. Ma, non vorrei divagare … Cioè, quello studio è uno strazio, sì! Ma è anche vero che c’è quel panorama e credetemi, di primavera è ancora più bello: mi affaccio e c’è un balcone di un appartamento dell’edificio di fronte, che trabocca gelsomini dalla ringhiera, quasi fosse un’opera d’arte, e … il profumo! In quel periodo apro sempre la finestra a fine giornata per godermi quel balconcino profumato e colorato e i contorni delle colline insediate da edifici storici che arrivano a sfiorare il mare. Spesso si sentono i gabbiani che fanno sosta sui tetti della città per poi tornare al porto per cena. Ecco, quella sera era precisamente così. Sembrava che la natura avesse capito precisamente cosa mi servisse. Roteai di centottanta gradi sulla mia sedia girevole, mi sbottonai la giacca, mi scalzai solo delle ballerine rimanendo in sottili gambaletti color carne (ricordo ancora il freddo del pavimento), infine aprii la borsa e tirai fuori il pacchetto di sigarette, quindi ne estrassi una e l’accesi. Fuoco. Tiro. Schiocco di labbra. Caccia fuori.  Facevo boccate di fumo profonde. Sapete, aiutano a distendere i nervi, e poi … poi c’era quel dipinto, la mia vacanza giornaliera. Lentamente socchiusi gli occhi e con le dita massaggiai inizialmente le estremità degli occhi, poi stropicciai leggermente questi ultimi per infine far scivolare le due dita lungo le pareti del naso. Quella sera mi ero trattenuta un po’ di più del mio orario di ricevimento, perché sarei dovuta andare ad un convegno all'Hilton. Avevo con me il vestito da sera e delle scarpe con tacco modesto: mi sarei dovuta solo cambiare. Generalmente vado pazza per quelle serate piene di menti interessanti da tutto il mondo, e io una delle più giovani, suscito sempre una gran curiosità. Mi guardano con rispetto e ogni tanto con un pizzico di timore. Le vecchie generazioni di ogni periodo storico provano sempre un po’ di paura e di invidia nei confronti di un giovane. Che possa rubargli la scena? Dopotutto, lo so bene che in ambiente universitario è sempre così. Dicevo, generalmente vado pazza per queste serate, ma quella sera proprio non ne avevo voglia. Non volevo sentire nessuno blaterare le solite stronzate sui massimi sistemi, accompagnati da bicchieri di Champagne e tartine al caviale … poi tutti che  ti mettono al centro dell’attenzione e il porco di turno che ti spoglia con gli occhi. Mi fa ridere.

 AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH.

Sembra la descrizione di una riunione di partito, in casa di un presidente italiano. Dovrei ciucciarlo per una pubblicazione importante? Se lo scordassero. Io ho le mie qualità. Un neurone femminile ben sforzato tira più di un pelo di figa. Chi lo dice? Io.

Oh, mon dieu! Pensavo a quel vecchio porco di Dufour, a quando bastava che impostassi una voce leggermente un po’ più profonda e si perdeva totalmente, con quella bocca semiaperta da vecchio rimbambito rinchiuso in un ospizio. Cioè, ci credereste? Uno dei più grandi studiosi della letteratura francese contemporanea, riconosciuto a livello internazionale, che durante un convegno, tra la lettura di un articolo e l’altro, tra un sorso di Champagne e l’altro, se lo fa venire duro per la voce suadente della sottoscritta. Sto parlando di naturalissimi suoni provocati dalla vibrazioni di pezzettini di carne. Certo che basta davvero poco per mettere in moto gli ormoni. Mi alzai, feci l’ultimo tiro di sigaretta e la buttai via, quindi mi avvicinai alla borsa, l’aprii e cacciai fuori il vestito. Era forse il vestito più bello che avessi potuto permettermi: nero, scollato sulla schiena, lungo e con una spaccatura sul lato destro. Era spaccato al punto giusto, non eccessivamente vistoso. Mi sbottonai prima la giacca e poi la camicetta e con un po’ più di difficoltà il jeans. 

Avevo messo un po’ i fianchi. Non troppo, intendiamoci, ma giusto per darmi un po’ di difficoltà a sfilare il jeans. Che poi tanto non c’era nessuno ad aspettarmi a casa e dirmi, Tesoro sei bella lo stesso con questi fianchetti tondi, oppure qualcuno a cui non andassero a genio, qualcuno per il quale mi sarei dovuta fare più bella. Mi facevo bella quando capitava. Sono una donna indipendente io. Cioè, voglio dire, io non voglio gabbie familiari, non voglio essere la proprietà privata di un uomo. Stira lì, bada a Giada colà, prepara il pranzo della domenica e ma … i fianchi son brutti. E’ banale a dirsi, ma è brutta la vecchiaia. Certo, non che sia propriamente vecchia, ma sicuramente non sono più fresca come una mela e con il tempo lo sarò sempre meno. Ci saranno eserciti di giovani fresche, che lo faranno venir duro a Dufour al posto mio. E io cosa sarò? Un ricordo? Neanche, la carne fresca fa dimenticare qualunque altra carne fresca uscita dal passato. Non sento più niente quando scopo. Cioè nel senso che, non che sia frigida, ma manca qualcosa. Manca la curiosità della scoperta. Già so cosa mi provocherà quella posizione, già so cosa mi aspetterà. 
Rimasi in brasiliana e reggiseno, quindi con facilità indossai il vestito. Mentre ripiegavo la camicia e il jeans, sentii bussare alla porta dello studio. Rimasi per qualche secondo perplessa poi mi rivolsi all’avventore ignoto dicendo di aspettare. Dopo aver messo tutto nella borsa corsi dietro la scrivania scalza. Gli dissi di entrare. Entrò. Era un mio tesista. In quel momento ero distratta, confusa, non lo riconoscevo. Non ricordavo bene se era D’Andrea, Grossi  o forse ... Pertone! No, quello era venuto qualche ora prima … però certo, che vergogna mi aveva assalito in quel momento. Non ero in tenuta da ricevimento, avevo un abito da sera! Anche lui sembrò sorpreso; Mi scusi per l’orario, ma dovevo farle firmare il modulo per l’esame di laurea, mi disse. Oh! E che poteva mai essere … Ecco! Era D’Alessandro! Sì certo, non si preoccupi, mi dia qui, gli risposi io, Anzi si accomodi, continuai. Il suo sguardo diventava sempre più curioso e indagatore, io lo seguii con lo sguardo finché non prese posto e mi porse il foglio. Cercavo di cacciare via l’imbarazzo. Dopotutto avevo tutto il diritto di indossare quello che volessi, era il mio studio. Dio! In quel momento una folata di profumo, non esagerato, giusto un’essenza sottile, al retrogusto di agrumi, era come se si fosse infilata su per il naso, senza diffondersi, semplicemente accarezzando il mio senso dell’olfatto. Era come se, mentre firmavo quel modulo, avesse catturato la mia attenzione. Io… io … non riuscivo ad ascoltare quello che mi stava dicendo, erano un’accozzaglia di parole che riguardavano la letteratura francese: la visione della donna … Flaubert … il naturalismo … Madame Bovary o chissà chi … le madeleines … un omosessuale che … cioè Proust … e sì l’educazione sentimentale, poi Sade e orge di violenza con la pala. In quel momento sentivo queste parole e basta. Il mio naso era il mio cervello. Un attimo dopo ed ero in un aranceto, avevo quattordici anni e faceva caldo. Avevo un vestitino floreale e mi ritrovavo lì a passeggiare per le terre dello zio. C’era mio cugino, Renato e … quanto l’avevo sempre odiato fino a quel momento! Si credeva chissà chi e mi guardava con sufficienza, ma poi non so cosa successe: un po’ il caldo, un po’ gli ormoni. Un secondo, andiamo in ordine. Lo vidi. Era qualche albero più avanti a raccogliere le arance. Era a torso nudo. Il suo corpo era bellissimo: una statua greca, era sudato. Il movimento del suo bicipite mi fece scattare qualcosa. Quella dannata pallina di muscolo che si tendeva e si distendeva ad ogni movimento. Tutto ad un tratto sentii qualcosa di nuovo. Respiravo a fatica e mi sentivo pulsare. L’avrei voluto toccare ma lo guardavo soltanto. Allora le mie mani andarono da sole, verso il calore. Mi sfregai per caso in mezzo alle gambe. Lì c’era il fuoco, qualcosa che non riuscivo a definire. Le mie mani divennero più curiose. Mi accovacciai dietro ad un albero e  esplorai con le dita sotto al vestito. Giunsi alla mutandina. Ero bagnata? Ma che diavolo significava? Io non dovevo andare in bagno … cioè però quelle carezze, erano piacevoli. Non mi avevano detto proprio come funzionasse, e in realtà non volevo farlo. Era un fatto di principio ma … intanto era bello. Superai l’ostacolo di pizzo, più per curiosità e c’era un lago, come il torso nudo di Renato, liscio e bagnato. E come si muoveva quel Renato! Cosa si faceva adesso? Ah, forse così … qui mi solletica un po’. No, ecco, è qui. E’ questo il punto. Insistevo sfregando le dita che scivolavano come se ci fosse dell’olio. Pensavo di nuovo a Renato. Perché non mi toccava lui lì? Volevo sentire il suo sudore, e le sue mani sporche di agrumi. 
Oddio quel punto è fantastico. Perché non l’ho mai fatto prima? Dio. Sì. Dio. Sì. 
Aspetta.
Ero nel mio studio. Avevo caldo. C’era D’Alessandro, ma cosa diavolo mi succedeva?
Mi alzai, presi un libro che ricordavo avrei dovuto dargli già da tempo e lo faci scivolare sulla scrivania. Feci un sospiro. Lui iniziò ad arrossire, probabilmente aveva notato la mia scollatura dietro la schiena o che-diavolo-ne-so, avrà sentito il mio sospiro. Il mio sguardo era rapito come d’improvviso dalla sua mascella accentuata. Aveva proprio dei bei tratti. La barba non fatta poi … sentivo quanto fosse pungente solo con lo sguardo. Io potevo essere sua sorella maggiore. Ormai a questa età mi resta solo questo? Sbavare dietro ad un tesista? Comunque, la barba ispida, ero sicura fosse ispida, perché poi improvvisamente avevo quindici anni. Ero su un letto, in braccio ad un ragazzo. Si sentiva una musica ad altissimo volume provenire da un'altra stanza. Ma certo! Era la festa di Silvia. Quello era il mio ragazzo e gli accarezzavo la barba. Mi eccitava questa cosa. Era di almeno sei anni più grande di me. Non ricordo il suo nome ma ricordo il suo pelo. Iniziò a baciarmi sul collo. Il bacio era umido; mi leccava e mi mordeva. La mia mano scese sotto la sua camicia e il suo petto aveva il pelo al punto giusto. Era bello: era un uomo. Non con tutti quei brufoli in faccia che avevano i miei coetanei. Non diceva una parola. All’improvviso la mia mano che accarezzava i suoi muscoli addominali, fu presa da lui con delicatezza e fatta scendere più giù. Non avevo mai toccato un uomo così. Mi eccitava l’idea. Sotto al denim dei pantaloni sentivo solo una protuberanza. Qualcosa che riempiva quella parte vuota. Lo accarezzai per un po’. Ma non mi diceva niente. Allora gli sbottonai i pantaloni. Era quello che voleva. Lo cacciai fuori dai boxer. Non era molto diverso da quelli che avevo visto in video o in foto. Era tutto fiero, all’insù, come se aspettasse chissà cosa. Era duro e caldo. Non sapevo bene cosa fare. Lui lo capì e mi direzionò. Mi fece avvolgere l’asta con la mano e poi iniziò a far muovere la mia mano lentamente su e giù. Successivamente prese l’altra mia mano facendomi scendere a massaggiare più giù. Io non capivo. Non mi piaceva per niente. Continuai a farlo da me. Lui sospirava. Gli piaceva? Non mi diceva niente. Mi stavo annoiando. Perché non mi ricambiava? Diventai più veloce, così che finisse. Fu felice. Lo lasciai il giorno dopo. Mi mancava solo la sua barba ispida. 
Riaprii gli occhi. Gli occhi della mia mente. Tornai alla realtà. Era realtà? D’Alessandro era ancora lì e fissava il mio pacchetto di sigarette. Vuoi una sigaretta, gli chiesi. Esitò. Accettò. Sì, mi disse. Certo, perché no? Siamo due persone normali. Non sono la sua maestra delle elementari che non posso offrirgli una sigaretta. Che cazzo, lo saprà da solo che si brucia i  polmoni, non sono mica affari miei. In realtà pensavo a quanto mi piace il sapore di tabacco appena fumato nella bocca dell’uomo, del mio uomo. Io non avevo un uomo. Non sono mai stata di nessuno. Loro sono stati miei per una notte, tre, sette … ma-cche-so al massimo un mese. La ringrazio, a presto, mi disse. Io lo fermai: Lo hai un accendino? Cercò nelle sue tasche, prima la sinistra poi la destra, poi nel taschino della giacca, accompagnandosi con un leggero sbuffo. Prego, mi disse. Grazie. L’accesi da me, quindi feci come per accendere anche a lui. Mi avvicinai. Tesi il braccio verso la sua bocca. Ti va di farmi compagnia? Ché aspetto un taxi entro le otto, gli dissi. Fece cenno di sì con il capo, quindi infilò la sigaretta tra le due labbra. Feci pressione sul tastino, se non sbaglio era un Clipper, non c’era nessuna sicura-bambino … ma non è questo importante. Importante è che qualche secondo dopo eravamo lì di fronte a contemplare il tramonto su un mare leggermente mosso e a fumare delicatamente, con il mio, sì … non propriamente mio, ma che vorrei fosse mio, balcone di ciclamini profumati. Non parlavamo per nulla e per un secondo lo guardai, avvicinai la mano alla sua mascella come se avessi trovato qualcosa su quel viso barbuto e lo baciai. Chiusi gli occhi. Le sue labbra erano calde e umide. Ma volevo la profondità … non avevo più il controllo di me. Gli infilai la lingua dentro e c’era quel fantastico sapore di fumo-tabacco_____________ Aprii gli occhi e mi ritrovai in una macchina. Era notte. Un panorama fantastico. Non ricordavo assolutamente dove fossi, né con chi fossi. Chi diavolo era quel tizio a fianco a me? Rideva. Anche a me veniva da ridere senza motivo. Ero ubriaca. Ragazzina ubriacona ero a quei tempi, come se adesso fossi cambiata molto poi! Ero confusa, ma allegra; eccitata molto. Lui poteva darmi calore, mi abbracciava. Aveva un abbraccio protettivo. Mi baciava, mi mordeva, mi toccava prima il seno poi il capezzolo e  ero tutta bagnata. Lo volevo tutto. Lo toccai, lo sbottonai. Succhiamelo, mi disse ridendo. Risi anch'io. Dovevo? Sì, perché lo volevo e lo volevo voglioso a sua volta. Iniziai quel movimento che mi ricordava quello che i piccioni fanno con la loro testolina, mentre camminano. Avanti indietro, avanti e indietro … roteavo la mia lingua, la piegavo, attorcigliavo nuovamente come un serpente stritolatore attorno alla sua preda. E sentivo i suoi gemiti di piacere. Mi eccitava questa cosa. Ma poi rallentai, avevo la nausea, troppo alcol … un conato di vomito. Ma era troppo tardi________________ _____ ___ __ _ Ero lì a baciare D’Alessandro. Con la sua bocca che sapeva di fumo. Era passionale, forse … dolce. Mi accarezzava i capelli dietro la nuca. Un ragazzino che mi insegna cosa possa essere la dolcezza. Io voglio la dolcezza, mi chiesi. Non l’ho mai voluta, mi risposi tempestivamente. Mi accarezzò dietro l’orecchio. Mi venne un brivido. Lo spinsi via. Mi dispiace, è stata colpa mia, gli dissi. Ma come? Tentò di replicare. Alzai la mano, abbassai lo sguardo. E’ sbagliato, io ci lavoro con te, non possiamo lasciarci andare così, gli dissi fermamente convinta. Sguardo basso anche lui. Tentò di accarezzarmi la mano. La ritrassi, quindi andai a prendere una sigaretta. Volevo solo un po’ di bruciore nei polmoni. Adesso vai, gli ordinai. Eseguì. La porta si chiuse e io chiusi gli occhi.

Solleticò i miei timpani qualche nota musicale. Era un altro tuffo nel passato? Non saprei. Distinguevo_______solo___________un__________violino___________________________________________________ sì.
Quant’era bella. Ricordavo perfettamente quella sonata per violino. Era “Il trillo del diavolo” di Giuseppe Tartini.
Riaprii gli occhi. Era fantastico. C’era l’uomo della mia vita … anzi quello che pensavo sarebbe potuto esserlo. Ma in quel momento era nudo e plastico sopra di me, con qualche ciuffo di capelli che spuntava sulla destra e poi sulla sinistra del capo. Oddio, era fantastico. Più forte, gli dicevo ogni tanto. Lui eseguiva inarrestabile come un treno. Era dentro di me e si espandeva mentre io lo stringevo. Mi stimolava anche solo sfregandosi … poi mi baciava il seno. Basta. Ero Io, che gli dissi, devi stare così, adesso. Stenditi, gli dissi. Lo montai. Così sì che impazzivo. Pensavo che fossimo unici, che avessimo potuto insegnare ad amare al resto della popolazione del mondo, perché loro non conoscevano quello che riuscivamo a provare noi due, insieme, soli. Quella musica mi faceva muovere ad un ritmo sempre più veloce. Se avesse saputo il maestro Tartini … e al diavolo tutto il resto, pensavo. Sei una dea, mi ripeteva. Sei una dea. Lo ripeté  ancora per non so quante volte, lo ripeteva ansimando sempre più. E io che diventavo sempre più un fuoco. Lì, tra le gambe, pulsavo e bruciavo. Dio, che sensazione. Bastava che mi sentissi sfiorare le natiche, i seni o l’inguine e … cazzo! Che piacere. Mi ritrovai con gli occhi chiusi. Il violino mugolava. Io gemevo, ed era una sinfonia. Mi eccitavo solo ascoltando il mio gemito. Il calore era insostenibile e io non riuscivo a fare altro che andare più veloce. Più veloce. C’era una voce che lo diceva. Più veloce! Più veloce! Oh, sì, sì, sì, sì. S-ì-ì-ì-ì-ì-ì-ì-ì. Per me poteva anche scoppiare una guerra, ma io lì non mi sarei  più fermata. Sempre più veloce. Era perfetto. Vengo, dissi. Sto per venire, ribadii. Sto venendo. Arrivo. Voglio scoppiare. Potrei anche stare sotto le bombe della terza guerra mondiale, al diavolo. Uccidetemi pure. Vengo. Vengo. Ecco, è quasi fatta. Ecco. Dio! Dio santissimo! Oh, sì---------------------------------------------------------------------------------------------- ----------- -------- ------- -------- --------- --------- --------- --------- --------
----- ----- ---- --- --- -- - - - - - - Ripresi respiro. Rilassai i muscoli. Non ero più bagnata solo di me. C’era lui sotto di me e dentro di me. Mi ero totalmente dimenticata di lui. Era stato troppo breve. Lui non mi sembrava più bello come prima. Mi distesi. Mi chiese se mi era piaciuto. Gli risposi di sì e che l’amavo. Lo baciai a stampo. Mi girai dall’altro lato e fissai la finestra. Era un pomeriggio piovoso. Sospirai e pensai che era stato l’orgasmo più bello della mia vita. Eppure mancava qualcosa in quel momento. Sarei voluta tornare indietro e replicarlo in eterno. Dopo quel momento niente aveva più senso. Eppure mi sentivo svuotata. Lui mi abbracciava e mi baciava delicatamente. Mi stringeva forte, mi stava amando ancora. Mi stava amando. L’avrebbe potuto fare per il resto della vita. Ma io lo volevo? Sospirai. Quella notte non dormii. Quella notte invecchiai. Alle sei di mattina chiusi gli occhi e ...

mercoledì 6 febbraio 2013

Claire


Probabilmente la notte peggiore della mia vita. Continuavo a svegliarmi di continuo, intontito dall’alcol che avevamo assunto, e a ripetermi che quelle sostanze avrebbero dovuto abbattermi, che avrei dovuto dormire come un bambino. Mi rigiravo ma non riuscivo a prendere sonno, e se ci riuscivo subito si affacciavano alla mia mente strani sogni. In uno di questi avevo una sorellina a cui spaccavo la testa per sbaglio, in un altro venivo stregato dai meravigliosi occhi blu di una sconosciuta che la folla trascinava via da me. Ero talmente irrequieto che anche Claire, nell’altra piazza del letto, si svegliò e mi chiese se andava tutto bene. Cosa avrei dovuto risponderle?

Claire, io e te siamo amici da tanti anni, siamo come fratelli, ma ti scoperei come se non ci fosse un domani.

Troppo volgare. Girarmi e baciarla? Troppo rischioso. Alla fine dissi semplicemente che avevo fatto un brutto sogno, voltandomi dall’altro lato e dandole la schiena per nascondere la mia erezione, troppo evidente sotto quelle lenzuola di cotone. Un attimo dopo, Claire dormiva ancora, con quel suo respiro pesante e sonoro che nella mia mente suonava come gemiti di piacere.

Claire, per favore, potresti respirare in un modo meno eccitante?

Sapere che il suo corpo era lì, a pochi centimetri dal mio, mi rendeva inquieto, indeciso, il sangue mi ribolliva nelle vene e in quel momento avrei dato tutto solo per farla mia, per poter abbracciare, stringere, esplorare e penetrare quel corpo. Tutto avrei dato pur di poter sentire il suo calore sulla mia pelle, pur di poter conoscere l’unico lato ancora oscuro di quella persona che per me non aveva segreti.

Claire, vorrei sentire il tuo orgasmo, vorrei ascoltare la tua voce strozzata, vedere la tua schiena che si inarca, sentire il calore che divampa nel tuo corpo. Vorrei tornare a casa mia domani con i segni delle tue unghie nella schiena e dei tuoi morsi sul collo.

Non ero a casa di Claire per il sesso, ma per una conferenza. Io e lei avevamo vissuto a stretto contatto dai tredici ai venti anni, ed eravamo davvero come fratelli. Poi, finito il liceo, lei si era trasferita in un'altra città. Ci vedevamo spesso, ma non come prima. Ci sentivamo spesso, ma non bastava. Ci siamo allontanati quel poco che è bastato, quando mi è venuta a prendere alla stazione, per guardarla come guarderei una qualunque donna. E ho pensato che era davvero bella. I capelli corti e neri le incorniciavano il volto in un modo che non avevo mai visto, e gli abiti leggeri la proteggevano dal caldo di fine maggio ma non dal mio sguardo. In un attimo immaginai il suo corpo nudo, basandomi su quanto avevo visto le estati precedenti sulle spiagge o quando ci cambiavamo nella stessa stanza. Avvicinandomi notai le sue labbra carnose e pensai di baciarle, mentre mi stupivo dei miei stessi pensieri. Lei mi corse incontro e mi abbracciò. Tante volte ci eravamo abbracciati, noi due, in attimi di felicità, al momento della sua partenza, in momenti di tristezza, per ringraziamento, o anche solo per salutarci. Ma quella volta fu diverso, sentivo il suo corpo premere contro il mio, riuscivo a percepire i suoi seni e stringendole la vita mi accorsi di quanto fosse sottile e di come si allargasse sui fianchi. Inspirai l’odore dei suoi capelli e abbassai la testa, fino a trovarmi con il naso sul suo collo. Sentivo il calore del sangue che scorreva sotto la pelle e

Claire, devo smettere di abbracciarti. Mi sta diventando duro e i nostri vestiti sono troppo leggeri per sperare che tu non te ne accorga.

Mentre Claire mi faceva strada verso casa sua, dove avrei dovuto lasciare la borsa e cambiarmi per la conferenza, mi accorsi che non riuscivo ad ascoltarla, lo sguardo troppo concentrato sul suo sedere. Si notava il bordo della biancheria sotto il sottile tessuto del suo abito estivo, e anche i risultati della palestra in cui mi aveva detto di essersi iscritta erano abbastanza evidenti. Ma forse, pensai accelerando il passo fino a trovarmi al suo fianco, sono i miei occhi che sono cambiati. Claire, la piccola Claire che abbracciavo quando il ragazzo che le piaceva non si accorgeva di lei, l’amica che mi chiedeva consigli su come vestirsi e alla quale non mi facevo problemi a dire che quella gonna era troppo da zoccola, l’amica con cui una volta ho fatto il bagno, completamente nudi, senza avere neanche il minimo accenno di un’erezione, dove era finita?  Guardavo le sue natiche ondeggiare davanti ai miei occhi mentre salivamo le scale e non sapevo darmi una risposta. Sentivo solo il desiderio di afferrarla con forza appena aperta la porta di casa e possederla sul primo ripiano abbastanza stabile che avessi visto. Mi cambiai in fretta e furia, con numerosi getti di acqua gelida sul volto e sui polsi, e fuggii verso il luogo della conferenza.

Inutile dire che non riuscii a seguire neanche una parola. Nella mia mente stavo spogliando la mia amica di infanzia, non più con forza sul primo ripiano stabile, ma dolcemente nel suo letto. Assaporavo il suo fremito mentre le toglievo l’intimo e guardavo tra le sue gambe, mentre lei arrossiva e cercava di coprirsi. Immaginavo la carezza dell’interno delle sue cosce sulle mie orecchie, delle mie mani sui suoi fianchi e della mia lingua dentro di lei. L’odore delle sedie di velluto si trasformava in quello dei suoi umori, il sapore della penna che mordevo nervosamente si trasformava in quello della goccia di sudore che leccavo dal suo collo, il foglio che avevo in mano si trasformava nella sua pelle, che avevo sempre visto ma mai toccato come facevo nelle mie fantasie. Mi accorsi di star sudando, quindi abbandonai la conferenza prima del tempo e ne approfittai per fare una lunga passeggiata prima di tornare a casa, dove Claire mi accolse con un sorriso e un abbraccio, e mi chiese cosa volevo per cena.

Claire, se potessi averti salterei tutte le cene del mondo. Non sono mai stato intraprendente, dimmi che lo vuoi anche tu. Fammelo capire, in qualunque modo.

Le dissi la verità, ovvero che avevo lo stomaco chiuso e mi andava bene qualunque cosa, purché fosse una porzione piccola. Cenammo in silenzio e ci raccontammo cosa avevamo fatto, ma io ero distratto. Troppo distratto dalla sua canottiera senza reggiseno che lasciava poco all’immaginazione e dai suoi shorts troppo audaci. Avrei potuto dirle di cambiarsi e che sembrava che volesse sedurmi, ma non ci riuscii. In parte perché volevo vederla così, in parte perché sebbene avessi la confidenza necessaria per dirle una cosa del genere, lo spirito era diverso, e temevo che potesse notare qualcosa nella voce, nello sguardo o nei pantaloni. La ascoltai distrattamente cercando un altro posto dove far cadere lo sguardo, ma ogni superficie mi faceva immaginare un nuovo amplesso, ogni oggetto una nuova fantasia, ogni sporgenza e ogni curva sembravano parti del suo corpo.

Che c’è? Mi chiese lei, mi sembri stanco.

Claire, c’è che muoio dalla voglia di scoparti. Muoio dalla voglia di fare l’amore con te. Ti voglio.

Dissi che il viaggio in treno mi aveva stancato più del previsto, il caldo, i posti scomodi, le persone fastidiose. Andammo a dormire. Dopo dieci minuti lei si alzò e si spogliò, tenendo solo un perizoma nero. Si lamentò del caldo e spense di nuovo la luce. D’istinto mi voltai dall’altro lato. Sapevo che se l’avessi guardata anche un secondo di più non sarei riuscito a tenermi a freno. Quando gli occhi si abituarono all’oscurità iniziai a guardare il profilo della sua schiena. Le poggiai lentamente una mano sulla spalla e mi avvicinai per odorare di nuovo i suoi capelli, le posai un bacio leggero sulla guancia e mi voltai, deciso più che mai a dormire. Sognai di bambine con la testa rotta e folle che portano via da me una bella sconosciuta.

Il sonno arrivò ore e ore dopo, quando sull’orlo della disperazione affondai la testa nel cuscino e contrassi il volto in un’espressione di rabbia e disperazione, fino a piangere.