“Ho sentito spesso
dire che, in procinto di morire, ogni essere umano si ritrova a vedere gli
avvenimenti che hanno composto la propria vita. Tutti, dal primo all’ultimo,
come se fosse un ultimo film prima di trapassare.
Posso immaginare
cos’è che vi starete chiedendo in questo momento. Mi sembra già di vedere le
vostre facce dubbiose, perplesse, mentre vi domandate: Che modo è di iniziare
una lettera?! D’addio poi…
Non so chi mi
ritroverà e, se devo dire la verità, la cosa neanche mi sfiora.
So per certo che
ormai ho settantasette anni, e non so
quanto le mie facoltà mentali potranno sostenermi negli anni a venire.
Soprattutto dopo tutto quello che ho vissuto.
Già… la mia vita.
E’ probabile che
chiunque ritrovi il mio corpo mi avrà già sentito parlare a riguardo, fosse
anche l’ultima domestica della villa. Su questo argomento, in fondo, sono
alquanto ripetitivo.
Ma, sinceramente, un salto nel passato, in ogni caso, me lo voglio permettere.
Un assaggio, prima della portata principale. Come sapete, sono nato in uno di
quei tanti paesini (dove vivo anche oggi, in effetti) che costellano le nostre
campagne. Uno di quei tanti buchi sperduti, che si riduce a far spesso da
culla, scuola, casa e persino tomba dei tanti compaesani che ne fa da
popolazione.
…Ringrazio ancora la
mia forza d’animo per avermi permesso di distinguermi da loro. Superai le
scuole brillantemente e subito trovai posto come rappresentante della Cryotech
Corporation, una grande compagnia, con sedi e centri in tutto il mondo.
Indubbiamente un bel colpo di fortuna, bisogna dirlo.
E’ un incarico che ho ricoperto fino a poco più di una decina di anni fa,
finchè le gambe ancora mi reggevano.
Un lavoro che mi ha
formato.
Un lavoro che, va
detto, mi ha dato un considerevole numero di possibilità.
E’ grazie ad esso che
ho avuto la possibilità di uscire da quel buco
E’ grazie ad esso
che ho ottenuto quella piccola fortuna che mi ha permesso di vivere una vita
benestante anche ora.
E’ grazie ad esso
che posso addirittura dire di aver conosciuto, visto il mondo. Le più grandi
capitali… sono state spesso mete dei miei viaggi d’affari.
Per quanto abbia
girato, però, alla fine il tesoro di una vita era più vicino di quel che
immaginassi.
Ho girato il mondo,
ho parlato con persone in così tante lingue da averne perso il conto, per
trovare alla fine mia moglie in una compaesana.
Eh…il mondo è piccolo, davvero, ma non mi sarei mai aspettato che fosse COSI’
piccolo.
Ma bando agli
indugi, grazie al mio lavoro ho ottenuto anche un altro privilegio.
Sono conosciuto,
rispettato. E questo non solo in paese, dove sono in effetti tornato da poco
per trascorrere serenamente gli anni della vecchiaia, ma anche in città. Ancora
oggi, che ho ormai appeso tutto al chiodo, camminando per la strada la gente mi
riconosce, mi riempie di convenevoli, mi apostrofa come “Cavaliere”. Chi offre
un caffè qua, chi là…
Per quel che posso dire, in effetti, ritengo di aver vissuto una gran bella
vita. Una vita piena, che mi ha permesso poche volte anche solo di respirare!
Sono sempre stato, in ogni secondo della mia esistenza, ligio al dovere, e
questo per me è motivo di vanto. E i vantaggi che ne ho tratto sono stati
considerevoli.
Ovviamente ci sono
state anche delle rinunce. Magari non sono stato un padre molto presente, preso
com’ero dal dovere. Ma in fondo il dovere più importante per un padre l’ho
adempiuto in modo esemplare.
Credo sia difficile
trovare un esempio migliore del sottoscritto, e in fondo è questo che deve fare
un genitore, dare il buon esempio. Oltretutto i frutti che ne ho tratto vi
permettono (se siete voi a leggere) di vivere la vita godendovi ogni cosa,
senza dover ricorrere a rinunce. Per cui penso che la cosa mi si possa più che
perdonare, in fondo.
Questa vita… così
soddisfacente.
Già, tornando all’incipit della lettera che state leggendo, ritengo che sarebbe
un film veramente godibile. Un film che, sinceramente, mi merito tutto.
Ma è dal giorno in
cui ho visto la mamma spirare che ci penso. Quanto sarà passato, qualche mese?
Tumori, metastasi, tutti quei paroloni di cui i medici ci hanno riempito, tutti
quei concetti incomprensibili che si traducono nell’orrenda agonia che mia
moglie ha dovuto subire. Una fine orrenda, che in molti magari alla fin fine
possono provare a sopportare. Magari anche accettare!
Io no.
Il sottoscritto NON
accetta una fine del genere.
Il sottoscritto ha
avuto a che fare con i peggiori truffatori che il genere umano ha mai avuto
modo di creare.
Il sottoscritto non
è mai stato gabbato, nè sottomesso da nessuno.
E il sottoscritto
NON si farà sottomettere dalla morte. Dalla sua incertezza, dall’infinita ansia
che mi prende a pensare che mi potrebbe cogliere da un momento all’altro, che
non possa fare niente per controllarla.
No. Sarò io a
dominare la morte. Sarò io a decidere come, quando e PERCHE’ convocarla. Non
sarò uno di quei vecchi che accetta quel grottesco conto alla rovescia sulla
propria testa.
Ho raggiunto ormai
un’età che posso ritenere ragguardevole. Posso ritenere di non avere più niente
da perdere.
E se veramente ci si
ritrova a rivedere questo film, con una vita come la mia, ho intenzione di
vederlo QUANDO DECIDO IO.
Quando ritengo di
essere veramente pronto per godermelo in pieno.
Sceglierò io il
giorno della prima.
E quel giorno…è
oggi.
Papà”
E con questo, anche l’ultimo conto era stato chiuso.
In verità non sentiva nel profondo dell’animo che se lo
meritassero. Gli amici, i parenti, ma soprattutto i figli… Ai suoi occhi si
erano sempre comportati come degeneri sanguisughe, che si facevano vive solo
per batter cassa. Ruffiani, ingrati, nulla di più. Ma, nonostante tutto, erano
pur sempre sangue del suo sangue, una parte della sua vita che, per quanto
quasi cancerosa, non poteva disconoscere. E la notizia che il padre aveva posto
fine alla propria vita poteva solo essere male interpretata dalla gente del posto,
dando loro chissà quanti problemi. Gli pareva già di sentirle le
malelingue…chissà cosa avrebbero tirato fuori
“Il Cavaliere ha perso la testa!; è stato ricattato dalla
mafia!; era sommerso dai debiti!; era da tempo che sembrava depresso…; Bla;
Bla; Bla”.
Tutte quelle voci senza fondamento, inventate col puro
scopo di poter avere qualcosa di cui parlare, e che facevano terra bruciata
intorno a qualsiasi cosa circondasse l’oggetto dell’interesse. Probabilmente
quella lettera non sarebbe stata sufficiente a placarle, a far capire quanto
quella scelta non fosse dettata da un impulso autolesionista del momento, ma
fosse una scelta ponderata.
Ma un tentativo, in fondo, che male poteva fare. In ogni
caso ancora poco tempo e quello che la gente pensava di lui…le voci sul suo
conto… non sarebbero più state un suo problema.
Uno dei vantaggi di essere morto, pensò sorridendo.
Ma era tempo di agire.
Si alzò lentamente dallo scrittoio che aveva nella sua
stanza. Ebbe l’accortezza di lasciare una luce puntata sulla lettera che vi
troneggiava, così che fosse notata, e fece qualche passo. Sentiva gli
ingranaggi della sua testa girare, facendogli finalmente prendere coscienza di
ciò che stava per fare.
Eccitazione? Paura? Curiosità? Non riusciva a capire che
emozione lo pervadesse al momento. Sapeva solo che l’orologio stava compiendo
ormai i suoi ultimi giri. E il momento dell’ultimo rintocco…non sarebbe stato
più un mistero.
A questi pensieri, si senti colto dall’euforia, mentre
varcava la soglia del bagno.
Tutto era già allestito. Aprì lentamente il rubinetto
dell’acqua calda, lasciando che ne fosse colmata.
Iniziò ad accendere le candele che si trovavano sparse
per la stanza. Lavanda, Muschio, Mora Selvatica, tutti aromi a cui si sentiva,
per qualche strano motivo, profondamente legato, e che avrebbe voluto gustare
l’ultima volta, prima di fare l’ultimo passo…
Fortuna che il monossido di carbonio è inodore, pensò,
chiudendo la porta del bagno. Diede uno sguardo all’aeratore, che in circa
dieci minuti dalla sua accensione avrebbe iniziato a saturarne l’aria.
Girò la chiave. Nessun disturbo dall’esterno.
Ora c’era solo lui, il suo momento di intimità, prima
dello show finale.
Chiuse l’acqua mentre una nebbiolina di vapore che usciva
dalla vasca sembrava rendere il tutto più…etereo.
Spense le luci, lasciando come unico lume le candele.
La siringa!, pensò improvvisamente.
Si sentì affondare nell’ansia, mentre scavava nella sua
testa alla ricerca dei ricordi sugli ultimi movimenti che poteva aver fatto.
Dove poteva essere, nella stanza? Magari l’aveva lasciata
nello scrittoio, o sul comodino, o chissà dove. Malediceva l’età che lo faceva
sentire così rincoglionito…
Tirò un sospiro di sollievo tastando il taschino della
giacca. Era lì, il pezzo più importante.
La sfilò dal taschino, fermandosi qualche istante ad
osservarla. In verità non aveva la benchè minima idea di cosa vi fosse
contenuto. Sapeva di potersi fidare di chi gliela aveva procurata. Aveva
sentito bofonchiare qualcosa su morfina e altre strane sostanze con nomi
impronunciabili che non sapeva neanche lontanamente come funzionassero. Ma a
cosa servissero, che in fondo era quello che veramente contava sapere, quello
lo sapeva bene.
A garantirgli una morte serena, eliminando gli
“spiacevoli” effetti del monossido di carbonio, lasciando al tempo stesso la
sua coscienza attiva, integra. Fino al momento finale. Avrebbe assaporato
l’ultimo viaggio, l’ultimo film, e tanto bastava.
Lasciò la siringa sul bordo della vasca, e cominciò a
spogliarsi.
A stento sentiva gli abiti che sfilavano dal suo corpo,
preso com’era da quello che stava per fare.
Chiuse gli occhi, pochi respiri, per rilassarsi…
L’aria calda riempì i suoi polmoni.
Si mise a mollo nella vasca, sentendo il tepore
avvolgerlo, prenderlo, mentre il peso del mondo sembrava scivolargli di dosso,
per una volta.
La stanza era ormai pervasa dal profumo che esalava dalle
candele, che sembrava quasi accarezzare le sue narici.
L’ultimo tocco, mancava l’ultimo tocco al benessere.
L’ultimo pezzo prima dell’atto finale.
Inforcò il telecomando che teneva poggiato alla sua
sinistra, premendo il pulsante di accensione.
Il suono degli ottoni iniziò a uscire dallo stereo.
Liszt, Rapsodia Ungherese Numero Due, Versione Orchestra.
Il loro preferito.
Il tocco finale era stato dato.
Accese l’areatore, tenendo nella destra la siringa,
mentre col corpo scivolava sulla vasca, abbandonandosi ancora di più alle
sensazioni…preparandosi a convocare la morte.
Chiuse gli occhi, lasciandosi incantare…
I passaggi della sinfonia inebriavano l’aria, dandogli
una sensazione di serenità che poche volte aveva sentito.
E il clarinetto!
E il clarinetto!
Sentilo, il clarinetto!
Quel tocco di brio che da quel senso di
serenità al pezzo…
Dio, mi vengono i brividi solo a pensarci.
Quanto tempo sarà passato da quando l’ho sentito per la prima volta? Una
cinquantina d’anni? Sembra ieri…
Il giorno in cui la conobbi. Così, in un
teatro di città, due persone dello stesso paese che si ritrovano.
E dire che mi trovavo lì quasi per caso.
Peccato che se ne sia andata così…
Pensandoci, mi viene da sorridere. Nemmeno
mi sono lontanamente avvicinato alla morte, e già la prima memoria riaffiora.
Ma senti ora, come si intrecciano i fiati e
i violini.
Mi sento in pace con me stesso. Questa parte
del pezzo dà quell’aria così…festosa.
Manca poco, ma non voglio pensarci.
Arriveranno le ultime note, ma fino ad
allora godiamoci questa serenità. Gli odori, il calore, i suoni!
Stampiamoli nella memoria, le ultime belle
sensazioni prima del grande viaggio. Prima della portata grande.
Ancora poco, dai…
Eccolo, il crescendo. Magnifico.
Superlativo. Gli ultimi secondi, che quasi scandisco nella mia testa come un
direttore d’orchestra. Il momento è praticamente giunto.
Il conto alla rovescia è concluso ormai.
L’ultima sviolinata, ed è ora di accogliere
la morte.
Chiudo gli occhi. Premo lo stantuffo. Il
dolore della puntura è affogato in un attimo, mentre un torpore prende
lentamente il mio corpo.
Sento le sensazioni man mano svanire… nella
stanza c’è ormai abbastanza monossido di carbonio da avvicinarmi alla fine
sempre di più con ogni boccata d’aria…eppure oltre a un senso di torpore,
nulla.
Leggevo, a riguardo, che avrei rischiato mal
di testa, stordimento, persino convulsioni.
Quel che ottengo è solo l’incapacità anche
solo di aprire per davvero gli occhi.
Ma in fondo, a che pro farlo. Le luci
iniziano a girare. Il film è qui, nella mia testa, e so già che sarà il
capolavoro, la degna coronazione di un’esistenza come la mia.
Le immagini mi appaiono sfocate…rivedo già
alcuni episodi di importanza minore.
Qua è quando mi ritrovavo sui banchi di
scuola a prendere appunti della lezione di italiano…
Guarda là, gli zotici che popolavano quella
classe. Si vedeva già che ero di un altro mondo. Scimmie, e tali sono rimaste.
Mi sembra di vedere il fruttivendolo che esercita in fondo alla strada, che
giochicchia con una matita, mordicchiandola con aria demente.
Bah, andiamo avanti.
Ecco. Ecco qualcosa di interessante.
Il mio viaggio a Berlino! Il mio primo
viaggio all’estero, il mio primo affare internazionale!
Ecco che scendo dall’aereo. Guarda qua che
città. Ecco, se scendo in fondo alla strada lì dovrei arrivare…
Dovrei arrivare…
Diavolo, non ricordo nulla a riguardo. Va
be, vedo il muro di Berlino, sicuramente ci sarò andato a fare una visita.
Guarda, ci sto passando ora avanti con il taxi, sicuramente avrò chiesto di…
Niente, non mi sono fermato. Sarà
l’emozione, ero così preso da quell’affare, immagino che mi riprenderò dopo.
Intanto ecco il colloquio. Non ricordavo però che il capo dell’impresa fosse un
giapponese.
Curioso, sono andato in Germania e la prima
persona con cui parlo per davvero è un giapponese. In giapponese. Ma che
importa, tanto ricordo perfettamente che l’affare fu un successo, e poi
sicuramente sarò andato a festeggiare. Ecco, chiamo un taxi per andare a…
l’aeroporto di nuovo?
Ma… veramente sono andato in un paese per
limitarmi a parlare con un altro straniero senza neanche fermarmi una notte?!
Mi affiorano immagini nella mente.
Sidney. Los Angeles. Londra. Tokyo. New York. Parigi.
Le cose più tipiche che ho visto sono le
cartoline.
Non ricordavo di aver approfittato così poco
dei miei viaggi…pensavo veramente di esser stato quasi un cittadino di mond…
Oh, ecco un bell’episodio.
La festa delle nozze d’argento con mia
moglie. 25 anni di matrimonio, e chi se li scorda. Ricordo perfettamente, si è
svegliata con i suoi fiori preferiti per la stanza, colazione insieme nel
nostro bar preferito, poi subito un giro per i parchi approfittando della bella
giornata. Torniamo a casa per pranzo e la sera usciamo e la porto al ristorante
francese più rinomato della città. Adorava quel ristorante mia moglie.
Già, un anniversario da favola.
Ecco, qui le do gli auguri. Buon
ventiquattr…
Era il ventiquattresimo anniversario?
Oddio, questo invece è il ventiseiesimo. Ecco
qui, stessa sveglia con i fiori preferiti per la stanza, colazione insieme
nello stesso bar, stesso giro per i parchi, stessa uscita serale nello stesso
ristorante francese.
E il ventisettesimo? Solita sveglia coi
fiori, solita colazione nel bar, solito giro per i parchi, solito ristorante
francese…
Meccanico. Ripetuto. Schematico.
Dov’è la passione che mi animava? Pensavo
almeno con mia moglie di essere stato un uomo vario, di aver vissuto il
rapporto in tutte le sfaccettature possibili. Di non aver permesso al lavoro di
cancellare la volontà di fare qualcosa insieme. Ed ecco che mi ritrovo repliche
di anniversari con lo stesso pathos di una puntata del Grande Fratello.
Mi sento girare la testa…
Oddio, mi gira la testa. Che pure il
medicinale non stia facendo effetto?
Calmati, dannazione, calmati. Solo incidenti
di percorso, non vale la pena rovinarsi la visione solo per delle piccolezze.
Ecco, ecco una memoria felice. La mia primogenita che fa i primi passi.
Guardala, la principessina, che cerca di stare in equilibrio. Vieni, amore di
papà, vieni qui. Guarda come mi fissa! Guarda…
…
Ma è il monitor di un computer. Eccomi, sto
lì, seduto su di una scrivania, mentre in webcam vedo i primi passi di mia
figlia… e sono pure distratto dalle scartoffie.
Mi sento mancare. Ecco il diciottesimo compleanno del
mio unico figlio maschio. Ci sono solo io che guardo le foto sorridendo
all’omaccione che la mamma aveva tirato su.
Nemmeno in queste memorie sono partecipe.
Eccomi, spettatore di quella che era una
vita piena di grandi occasioni. Mi chiedo seriamente che differenza ci sia tra
il mio vecchio, morente corpo che ora le sta scavando nelle sue memorie e il
tizio che stava li, a guardarle in prima persona. Che sia sempre stato uno
spettatore?
Ligio al dovere, rispettoso del prossimo,
creato da solo. E quando si trattava di vivere veramente, stavo a compilare
scartoffie o parlare lingue che in quel paese nemmeno conoscevano. E i miei
figli crescevano senza quasi sapere chi fossi.
E mia moglie… ho davvero sofferto vedendola
spirare? Sono davvero stato incantato da lei, o era solo lo stridio del violino
che mi faceva sentire così preso? Quante persone non ho voluto approcciare sui
tanti mezzi pubblici che ho utilizzato in tutta la mia carriera? Quali sguardi
ho perso preso com’ero nel pensare come presentare il prodotto della ditta? E
il lavoro? Me lo sono goduto davvero? Ho veramente fatto ciò che volevo
veramente? Quante rinunce ho fatto senza nemmeno rendermene conto? Quante
passioni scartate?
Magari ho soffocato la voglia di imparare,
che so, a suonare uno strumento per non distrarmi dal lavoro. Quel cazzo di
lavoro che ha preso tutto il mio tempo e mi ha fatto ottenere quella vita
“incantevole” che ti riempie lo stomaco come quelle insipide tartine da novelle
cousine di quel maledettissimo ristorante francese che LEI adorava.
Ecco. Non ho capito nulla.
Guardami, tronfio, che mi dirigo ancora una
volta a casa e mi butto sul divano, aspettando la cena, prima di dormire e
partire il giorno dopo in quel maledettissimo ufficio a buttare le mie
giornate. Sorrido, guardo i miei compaesani e rido della loro ignoranza. E
magari mi sono perso l’eccitazione del correre nei boschi e rimanere a contatto
con la natura.
Il più grande contatto con la natura che ho
avuto invece sono quelle cazzo di candele che ho acceso per rendere gloria al
mio trapasso.
E, a settantasette anni, faccio la
considerazione che tante persone fanno nella propria vita, ma per l’ennesima
volta troppo tardi. Ho sbagliato tutto.
Che posso fare…anche se volessi fermare il
processo…non avrò mai il tempo per rimediare alla mia arroganza, alla mia
superbia, alla mia cecità.
Vorrei sospirare, ma ormai non ho più
controllo nemmeno del mio corpo.
Sento la morte che inizia ad aleggiarmi
intorno, come per abbracciarmi, quasi a salvarmi da quel tormento.
Cala il sipario, e il film non lascia altro
che amarezza.
Mi arrendo. Mi lascio abbracciare. Accolgo
la morte, pregandole di prendermi subito.
Ed è proprio li che mi chiedo veramente…
Quand’è che sono morto? E quand’è che ho
vissuto veramente?