Citazioni


mercoledì 19 giugno 2013

Il silenzio dell'anima - Capitolo IV : Il suono del silenzio

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Resto immobile.
Rimango ancora qualche secondo a fissare quel riflesso che mi sembra così alieno.
Resto immobile, sperando che sia solo un flash, sperando che sia una semplice allucinazione che i miei occhi ancora poco abituati alla penombra cercano di regalarmi.
I secondi passano, ma il riflesso diviene semplicemente più chiaro. La visione si affina. I contorni diventano più nitidi, più reali, più...inequivocabili. Non ho interrotto la visione se non per i brevi, intermittenti battiti delle ciglia che provo a evitare più che posso, ma niente, non posso fare a meno di eseguire. Eccolo, che continua a stamparsi nella mia retina, il riflesso dell'essere che sembra perseguitarmi da quando l’incubo è incominciato.
Lo osservo con attenzione. Non una mossa, non una smorfia. L’uomo coi cani è fermo, immobile, il respiro…a stento riesco a percepire il movimento che fa nel respirare. Persino i cani non sembrano fare alcun cenno. La cosa, se possibile, rende la situazione ancora più inquietante. Come il silenzio che pervade la stanza.
 L’istinto mi spingerebbe a girarmi, a vederlo direttamente…ma non riesco a trovare il coraggio di distogliere lo sguardo. Sento come se un solo secondo potrebbe bastare a rompere quell’equilibrio così precario, così inquietante, ma che in ogni caso mi tiene…vivo.
“Chi s…”          
Le parole si fermano sulla punta della lingua, sostituita dai ricordi che vengono richiamati, incontrollati, dalle viscere della mia memoria. Deja-vù. Ho già provato a fargli domande, e so già quali saranno le sue risposte. Anzi, la sua risposta, unica: il silenzio. Sempre il silenzio.
La sensazione di nervosismo mi assale, chiuso come sono ora in quella specie di stallo. Mi sento sotto scacco, e con tutta l'impressione che sia uno scacco matto.
Devo riflettere, ci deve essere un modo per uscirne.
Pensa, dannazione, pensa! Osservo, preso dai pensieri , ma non trovo una soluzione. Mi sento perso.
E mentre lo guardo, sento il sudore scendere dietro la schiena. Ipnotizzato, osservo lo specchio, stampo nella mia memoria l’immagine che riflette. Ogni singolo dettaglio, ogni…
Raggelo. Di nuovo, nell’arco di pochi secondi. Osservo il mio volto, soffermandomi in particolare sulla mia guancia, dove c’è quel rivolo di sangue raggrumato che scendeva dal mio timpano lacerato. O almeno, dovrebbe esserci.
E invece nulla, il mio volto è pulito, non una goccia. Passo la mano incredulo, sentendone ancora il rilievo e la sensazione fastidiosa ad ogni minimo movimento. Passo la mano solo per rendermi conto che le nocche, in quell'immagine che quella lastra di vetro e piombo mi mostra, sono integre. Non un graffio, sane, nonostante abbiano raschiato con forza contro la parete. Osservo il dente, ormai mi manca la prova del nove, l'unico incidente che mi rimane da controllare. Ed eccolo lì, perfetto, riflettersi nella parete senza neanche l'ombra di un'incrinatura. Sembra addirittura pulito, nonostante non abbia avuto certo modo di pensare a lavarmeli. Niente, perfetto come non dovrebbe essere un dente che si è schiantato contro lo stipite di una porta, e che mi fa un male cane anche ora.
Eccomi lì, sano, senza neanche uno dei singoli infortuni che mi sono “autoinflitto” da quando sono chiuso in quest’inferno che chiamavo casa. Sano solo all’apparenza, visto che al tatto, nonché al dolore, permangono ancora tutti i danni che ho subito.
Quello specchio, per un determinato motivo che ancora non riesco a spiegarmi, mi mostra così. Così come mostra per la prima volta l’Uomo coi cani. Per un istante vengo sfiorato da un’idea. L’idea che tutto questo sia solo una suggestione. L’idea che sono ferito, e il dolore sta a testimoniarlo, anche se lo specchio mostra il contrario. E che quindi anche lui potrebbe essere un’illusione. Un’idea tanto bella, quanto insufficiente a vincere la mia paura, a portarmi finalmente a guardare da un'altra parte, magari a sfidare la sorte e rischiare di guardarlo in faccia.
Sfioro con la mano il riflesso del mio volto, per vedere se magari al suo passaggio appaia la mia vera immagine, come quando provo a pizzicarmi il volto per vedere se sogno, ma niente. Nessun rivolo, nessuna incrinatura, nessun lembo di pelle. In compenso...lui è ancora lì, immobile, come una statua.
Deve esserci un filo che unisca tutto, una spiegazione. Troppe cose strane stanno succedendo per credere che sia solo un caso. Devo solo trovarla. Anche ragionando per assurdo, DEVO trovarla.
Penso a tutti gli episodi che ho vissuto. I bicchieri che si frantumano, rendendomi in parte invalido. Gli accendini. Le bruciature ai polpastrelli, che ancora mi fanno bestemmiare. I passi.
I passi. Cazzo, ho sentito quei dannati cani proprio dopo i passi in quel maledetto sgabuzzino.
Quanti erano, 9? Dai pensa, magari ci può essere una correlazione, una di quelle cagate tipo Lost. Tanto, stranezza più stranezza meno…
Ricapitoliamo, sono in questa casa da tre settimane precise. 3 settimane sono 21 giorni, che è multiplo di tre.
Si, si, forse è così che funziona. Il filo, cazzo, il filo c'è.
Che altri numeri mi vengono in mente?
I battiti del cuore, certo! Sessantaquattro battiti, quando ero tranquillo. Ogni sessantaquattro battiti, bussava ogni sessantaquattro battiti! Non è multiplo, però…aspetta, ma un essere umano ogni minuto fa quanti battiti? Settantadue? Settantadue per ogni sessanta secondi, sessanta multiplo di tre, quindi ogni quanti secondi bussava alla porta? Sessanta diviso settantadue per sessantaquattro, cazzo fa girare i conti, nella matematica sei sempre stato bravo. Ecco, fa 53,3 periodico. Il tre, forse è il tre che è al centro di tutto. Forse ci sono, cazzo. Dai, mi serve la prova del nove. A che ora mi sono svegliato in questo Posto?
Magari mi sarò svegliato ad un orario multiplo o che ne so. Che ore erano? Dai, maledizione, ricordati.
E alla fine ricordo. Ricordo che la sveglia era spenta, come tutto in quella casa, e che non avevo modo di sapere che ore fossero. E che comunque i passi sono stati 17, poi 9, poi tutti numeri che non c’entrano niente l’uno con l’altro. E che quindi tutti quei cazzo di ragionamenti erano valsi solo a perdere il tempo e le facoltà mentali. E mi sento uno stupido, perché in fondo che cazzo di ragionamento volevo tirare fuori da quella storia del tre? Una di quelle cose da cristiani infoiati che cercano di trovare il trino in qualsiasi cosa nell'universo, adattando qualsiasi maledetto dato a disposizione per tutte quelle teorie del cazzo che non hanno nessun fondamento e soprattutto, come questa, NESSUNA UTILITA'.
Accantono l’idea, frustrato. Interrompo il flusso solo per sincerarmi attivamente che l'uomo non si sia mosso, quindi ritorno a rievocare i ricordi. Ricordo pugni sul muro, voci sentite a metà, le lacrime, la paura, il rumore dell’accendino, il falso coraggio, le rivelazioni inutili, la rabbia, il cellulare che muore tra le mie mani, le mani che bussano alla mia porta, il compattatore.
Niente, nulla illumina la mia fantasia. Niente, non c’è niente, niente di particolare…a parte i suoni.
E lì ricordo.
Lì ricordo il silenzio. Il silenzio della notte prima, quel silenzio così…vicino alla perfezione. Il silenzio interrotto dal suono del compattatore. Il silenzio che ha preceduto il risveglio in quel posto che non riesco più a definire casa. Il silenzio.
E il compattatore.
E le mani che bussano.
E il ringhiare dei cani, il cellulare che suona, l’accendino che clicca, la voce.
Tutto quanto…tutto quanto ha a che fare con il suono. Ho fatto vagare la mia mente a vuoto solo per ricordarmi che il ruolo centrale del suono già lo avevo notato. In fondo quell’uomo con cani a guinzaglio, che sembra perseguitarmi, cos’era prima di questa visione che mi ritrovo davanti se non un rumore, un suono?
Tutto è suono. Persino il mio primo incidente, se così possiamo chiamarlo, ha a che fare col suono.
Persino l’unica porta per il mondo esterno, persino quella mi si è rivelata tramite un suono. Una melodia, una vibrazione nell’aria, onde sonore provenienti da un cellulare che mi avvertiva. Mi avvertiva che Dalila e chissà chi altro chiedevano di me. Le persone di Fuori mi cercavano, senza avere la più pallida idea di ciò che sto vivendo. Mi cercavano, senza che sapessero che il mio cellulare era come scomparso, che io cercavo inutilmente di rispondere alla loro chiamata, mettendo a soqquadro l’intera stanza, facendomi guidare da un suono la cui sorgente nonostante i miei sforzi continuava a sfuggirmi.
Ed è stato LUI a trovarlo. Lui ha fatto in modo che lo trovassi. La porta per la Salvezza, una illusione che si è spenta con la batteria del mio cellulare.
Non può essere tutto un caso.
Per quanto assurdo, non riesco a credere che tutto sia una coincidenza. Cazzo, il silenzio è stato l’alba di quel giorno.
La mia mente viaggia a velocità inimmaginabili. Tutto sembra collegarsi, come un’enorme puzzle che aspetta solo che inserisca l’ultimo tassello. Le fughe rocambolesche da qualcosa che non sono riuscito a definire se non guardandolo nel riflesso di uno specchio e che ben presto si è rivelato essere ben lontano da una minaccia, sebbene si sia trovato in una situazione più che favorevole per farmi veramente del male; le rivelazioni che mi hanno colpito in quel caos in cui mi ritrovavano e che mi avevano improvvisamente reso conscio di quanto fosse vuota e, se così possiamo dire, inutilmente laboriosa la mia vita nel mondo esterno; il suono del cellulare, apparso solo dopo la lacerazione del timpano.
Ed effettivamente, nella lunga serie di accidenti che mi sono capitati, quello sembra essere la sorgente di tutto. Tutto è nato dopo che quel pezzo di vetro, rimbalzando come il più pazzo dei flipper, si è conficcato nel mio orecchio, lacerandomi il timpano. Rendendomi sordo a metà. E facendomi sentire.
Il suono dei cani, i passi che mi seguono, il cellulare, il suono della porta, persino la voce di quell’uomo. Tutti seguiti a quel “Caso”, quel segno del destino. Ma per quanto la rivelazione mi colpisca come un fulmine a ciel sereno, non riesco a liberarmi dalla sensazione che manchi ancora qualcosa.
Ricordo allora di quando sentivo la voce dell’uomo che rimango ancora a fissare, anche se distrattamente. Di come la sua voce mi risultasse troppo bassa, troppo fioca, come se lo ascoltassi in modo distratto, o focalizzando le mie orecchie nel modo sbagliato. Il tutto col mio orecchio fermamente premuto sul dorso di legno della porta che ci separava. L’orecchio integro.
Ma tutto questo… tutto questo non ha nulla a che fare col suono. E’ nel silenzio che tutto è nato, è nel silenzio che ho iniziato anche solo lontanamente ad avvertire la loro presenza. E’ quando una delle mie due orecchie era ormai destinata ad avvertire solo il silenzio che ho iniziato ad ascoltarli.
E solo lì capisco.
Capisco cosa devo fare.
Lo guardo, sorridendo, immergendomi nei suoi occhi. La paura andata via.
La mia mano raccoglie il coltello da terra, accarezzandone lentamente il manico lucente, metallico. Non si è mosso, nonostante abbia interrotto lo sguardo. E’ li, ad osservarmi, come se aspettasse che faccia quello che devo fare.
E allora alzo la lama, portandomela a livello del timpano ancora integro. Chiudo gli occhi, e sento con un unico movimento il coltello penetrare la membrana. Non un fremito, non un’ incertezza.
Il sangue cola, senza che lo specchio lo rifletta.
Il dolore è solo un sacrificio necessario perché io possa ascoltare veramente. Perché possa essere con lui nel silenzio.
E allora finalmente rompo gli indugi. Rompo il “silenzio”. Una sola domanda
“Ora mi risponderai?”
E a quel punto il suo volto si muove su e giù, annuendo, mentre un sorriso si apre su quel volto non più fermo.

Le ruote scorrevano sulla strada, sobbalzando sommessamente sulle granellature dell’asfalto.
Mentre stringeva il volante della sua Peugeot, non sapeva se essere animata da rabbia o da preoccupazione. Rabbia, come quella che provava per le decine di volte che ha provato inutilmente a chiamarlo, senza che si degnasse di darle una risposta. Il cellulare continuava a suonare finché non giungeva l’odiosa voce sintetica della segreteria telefonica, che coincideva in genere con una bestemmia da parte di lei. Preoccupazione, come quella che ha provato quando ha contattato i suoi amici, i suoi parenti, per sapere dove diavolo si fosse cacciato, e avere sempre la stessa risposta.
"Non lo so".
Preoccupazione e rabbia, come quella che ha provato quando rispondendo alla chiamata che finalmente si era degnato di farle, si era ritrovata a dialogare con il silenzio.
Nessun indizio su quello che poteva essere successo, nessuna spiegazione per quello strano comportamento che stava avendo. I film in testa, in compenso, erano milioni.
Tradimento, rapimenti, omicidio, fuga fuori città e chissà quante altre teorie astruse e senza alcun fondamento che le erano balzate in testa e che alla fine non l’avevano portata a nulla.
Per questo in quel momento si ritrovava sulla strada, diretta verso casa sua, l’ultimo posto che abbia avuto anche solo lontanamente sue notizie. In un modo o nell’altro, avrebbe avuto delle risposte.
Parcheggiò alla buona davanti al viale, scendendo dall’auto.
Notò subito che sembrava non esserci un’anima. Non una luce, né una qualsiasi fonte che le facesse pensare che quella casa fosse abitata. Alzò le spalle, perplessa…

E si incamminò per il viale.


2 commenti:

Arhal ha detto...

Oh, ecco, lo sapevo che con te il nostro personaggio sarebbe diventato più paranoico ancora! XD
Forse c'è qualche ripetizione (e un po' troppi "cazzo" nella parte centrale XD), ma comunque rende l'idea della follia che ormai pervade la questione.

E poi finalmente è arrivata Dalila!

Bravo figghma <3

nunzia cirillo ha detto...

Mi piace molto la possibilità che ti sei dato di giocare anche con i numeri che ha reso il tutto ancora più enigmatico. Trovo la narrativa molto scorrevole e accattivante capace di creare agevolmente nuove situazioni e spunti per proseguire nel viaggio.
SI...mi piace!