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Ogni passione finisce:
Fiaccata dall’indifferenza,
Uccisa da una più intensa,
O scolorita dal tempo.
Le passioni scorrono via,
Le ossessioni rimangono.
-Kenya, 1 giugno ’93
Guardavo queste parole,
inchiostro nero su carta bianca, mentre aspettavo l’arrivo del treno.
Ogni passione finisce:
E pensavo alla mia
stupidità quasi adolescenziale di un anno prima, nel letto di Claire, mentre mi
rigiravo e sudavo e maledicevo il mondo perché non potevo farla mia.
Fiaccata dall’indifferenza,
Dopo quella notte, avevo
cercato ogni scusa per ridurre al minimo i miei incontri con Claire, ed erano
passati sei mesi dall’ultima volta che l’avevo vista. Le avevo raccontato ogni
genere di scusa, ma in realtà speravo che non vedendola i miei istinti si
sarebbero placati.
Uccisa da una più intensa,
Non aveva funzionato,
finché non avevo conosciuto Vera, che aveva preso totale possesso dei miei
pensieri, facendomi dimenticare ogni impulso verso la mia amica di infanzia.
Vidi le persone scendere dal treno, e sapevo che Claire era tra di loro. Posai
il libro, Pensieri sparsi di Sigmundr
Török, e mi incamminai verso la folla.
O scolorita dal tempo.
Finalmente vidi Claire, e
pensai a Vera, e sorrisi perché il tempo mi aveva guarito, e le corsi incontro,
e la abbracciai.
Le passioni scorrono via.
Vera monopolizzava il mio
pensiero, anche se ci stavamo ancora conoscendo ero sicuro che sarebbe nato
qualcosa di grande, Vera mi mandava un sms ogni sera per darmi la buonanotte, e
io abbracciavo Claire e non mi sentivo più attratto da lei.
Almeno per i primi sei
secondi, prima che lei mi respirasse nell’orecchio e si aggrappasse a me con
forza, facendomi sentire il calore del suo corpo.
Le ossessioni rimangono.
Nella penombra della luce appena spenta, il sorriso
malizioso di Claire a malapena visibile e la sua voce: “Baciami.”
E io la
guardo stupito, le dico che è ubriaca ma dentro sto scoppiando di felicità, sto
vivendo la più intensa delle mie fantasie. “Non ci avevo mai pensato prima, ma
stasera mi è venuta voglia di sapere come baci.” Si avvicina a me, si solleva
in punta di piedi e dischiude le labbra, e posso sentire il suo respiro. Chiudo
gli occhi e mi avvicino, lentamente, fino a toccarle con le mie. La bacio
dolcemente, assaporando il momento. Il ritmo accelera, la temperatura sale, le
lingue corrono, i corpi si stringono…
Un fremito. Ero sicuro di
averlo sentito, un brivido che percorreva tutto il suo corpo, accompagnato da
un respiro lento e profondo, che nella mia fantasia sembrava quasi un gemito.
Per un attimo pensai che potesse esserlo davvero, ma che motivo avrebbe avuto lei
di gemere per un abbraccio? Presi la sua borsa e le dissi di seguirmi, camminandole
davanti per non perdermi, come l’ultima volta, nelle trasparenze dei suoi abiti
leggeri. Avevo cambiato casa e lei non l’aveva ancora vista, non abitavo più
nel quartiere dove eravamo cresciuti ma quella nuova era molto più spaziosa, discorsi
che facevo senza neanche riflettere, la mia mente era un turbinio di pensieri
turbati, i ricordi di quella notte passata nel suo letto mi scavavano nel cranio
e si facevano strada verso il centro della mia mente, le parole tre giorni martellavano l’interno della
mia fronte, tre giorni, due persone, un
letto: pazzia. Non sarei potuto resistere tre giorni con Claire che dormiva
nel mio letto, con il caldo e con i suoi comportamenti da amica d’infanzia, con
la sua pelle nuda e con le sue trasparenze. “L’autobus –le dissi– dovrebbe
passare tra cinque minuti, e ci lascia a pochi metri da casa mia. Com’è andato
il viaggio?” Lei iniziò a parlarmi, e io guardavo le sue labbra che avrei baciato,
e il suo collo dal quale avrei odorato il sangue che le scorreva sotto la
pelle, e le spalle che avrei morso, e mi voltai verso i graffiti sulla parete
di fronte a noi per evitare che lei potesse notare il turbamento nel mio sguardo.
Non riuscivo a distinguere le parole sul muro, anche perché erano coperte da
una scritta rozza, fatta con una bomboletta spray: “perdonami”. E nella mia
mente, impugnavo una bomboletta anche io, e di fronte casa di Claire scrivevo: “scopami”.
Le braccia esili di Claire si avvinghiano intorno alla
mia testa mentre indietreggio verso il divano, trascinandomela addosso. Il suo
vestito chiaro si alza scoprendo le sue gambe abbronzate mentre sale a
cavalcioni su di me. Mi poggia le mani sulle spalle e si allontana muovendosi
sinuosamente, il volto nascosto dalla penombra e dai capelli. Intravedo la
forma delle sue labbra che bacerei, e il suo collo dal quale odorerei il sangue
che le scorre sotto la pelle, e le spalle che morderei, e mi perdo in quell’immagine…
Quarantacinque minuti dopo
eravamo già a casa, Claire aveva posato la sua borsa in camera mia. Mi ero
offerto di lasciargliela e dormire sul divano, ma lei aveva detto di non avere
problemi a dividere il letto con me, aveva sorriso e mi aveva chiesto dove
fosse la doccia. Mentre l’acqua scorreva sul suo corpo e io cercavo di
allontanare dalla mente l’immagine del suo corpo bagnato, aprii una birra
ghiacciata e una busta di patatine, e controllai l’orologio. Entro un’ora sarebbero
arrivati i ragazzi, eravamo finalmente riusciti ad organizzare una rimpatriata
a casa mia, con pizze da asporto e molte, forse troppe, bottiglie di vino. Di
nuovo, come quella notte nel letto di Claire, pensando agli amici che sarebbero
arrivati e ricordando le esperienze vissute insieme mi sentii un adolescente.
In quel momento, tra un sorso di birra ed una patatina, realizzai che Claire
non si era spogliata davanti a me: aveva fatto il gesto di togliersi la maglia,
ma si era fermata e mi aveva chiesto dove era il bagno, lasciandomi lì immobile
con quelle accennate trasparenze nella mente. Scossi la testa e ripetei a me
stesso che era un caso, che stavo cercando di vedere cose che in realtà non
c’erano. Normalmente avrei pensato alla presenza di un altro uomo, ma Claire mi
aveva detto che non c’era nessuno. E Vera, che fine aveva fatto? Non era più il
centro della mia mente, in quarantacinque minuti era stata declassata a
pensiero periferico da birra e patatine. Le mandai un messaggio: “La mia amica
è arrivata, e tra un po’ inizia la festa. Buonanotte, un bacio.”
“Scrivi alla tua
fidanzata?”
La voce di Claire mi fece
sussultare. Risposi vagamente di no e la invitai a sedersi al tavolo e
partecipare al mio aperitivo, mentre mi chiedevo per quale motivo, nei dieci
giorni che erano passati da quando avevo conosciuto Vera, non ne avevo mai
fatto menzione con Claire.
Mi alzo dal divano, sollevandola di peso e continuando
a baciarla. Percorro pochi passi e poi la faccio sedere sul tavolo. Le mie mani
esplorano gli spazi tra il suo vestito e la sua pelle, le sue afferrano la mia
cintura e iniziano ad aprirla. Il suo respiro si fa più pesante, un brivido
percorre la mia schiena quando sento le sue mani abbassare i miei boxer e
toccarmi.
Una decina di persone
erano sedute intorno al mio tavolo, con una decina di bicchieri di vino pieni e
già troppe bottiglie vuote, abbastanza sigarette e tanti ricordi. Aspettavamo
le pizze e parlavamo di cosa ci era successo negli ultimi anni e di tutte le
cose che ci erano successe ai tempi del liceo. Claire si alzò per prendere
un’altra bottiglia, e sotto la luce al neon potevo intravedere la sagoma nera
della sua biancheria, e dei suoi fianchi che ondeggiavano ad ogni passo. Versò
il vino e si sedette, incrociando le gambe. Il suo vestito chiaro si alzò
sollevando le sue gambe abbronzate, e sentii il mio sangue diventare più caldo,
più veloce assecondando il ritmo con cui le sue trasparenze si facevano più o
meno audaci. Nel milleottocento era lecito provare desiderio anche per la vista
di una caviglia, mentre la pornografia oggi non lascia più nulla
all’immaginazione. Eppure, un movimento del suo corpo o un centimetro di pelle
erano abbastanza per farmi sentire a disagio: immaginavo di afferrare quelle gambe,
ai lati delle mie, e sprofondare tra le lenzuola insieme a lei, immaginavo di
accarezzarle, sentendo il suo corpo agitarsi mentre le mie mani salivano, e
immaginavo intimo nero che scivolava giù
lungo quelle gambe fino alle caviglie, e il calore di lei avvolto intorno a me,
immaginavo risvegli abbracciati, e avevo paura di immaginare oltre, perché
avevo troppo da perdere. Probabilmente l’imbarazzo ci avrebbe uccisi, ma nelle
mie fantasie lei avrebbe girato per casa vestita solo di una mia camicia, fermandosi
sull’uscio delle porta di una qualunque stanza, e si sarebbe spogliata
fissandomi negli occhi, e poi avrebbe abbassato lo sguardo sul suo corpo per
guidare il mio, e poi la voce di qualcuno interruppe i miei pensieri per
ricordarmi di quella volta che, giocando al gioco della bottiglia, mi
obbligarono a baciare quella studentessa straniera bruttissima e con i baffi a
cui puzzava l’alito. E di quell’altra volta in cui una delle presenti era
riuscita a baciare il ragazzo che le piaceva, il quale proprio grazie a
quell’esperienza aveva scoperto di essere gay, e di tutti i pettegolezzi su me
e Claire che stavamo insieme, cosa che sembrava palese a tutti, tranne per il
fatto che non era vera.
Sono seduto su una sedia, Claire è stesa sul tavolo e
stringe le gambe intorno alla mia testa, mentre scopro il suo sapore ed esploro
il suo ventre con le mani, i suoi sospiri mi arrivano ovattati come se fossi
sott’acqua, ma sento benissimo i brividi che le scuotono il corpo. Un attimo
dopo sono in piedi, tutti gli abiti a terra e la fisso negli occhi, nonostante
la penombra. Lentamente mi faccio strada dentro di lei, e un attimo dopo tutto
è diverso. Da questo momento, so che nulla sarà più come prima, ma questo
momento vale tutto il futuro che stiamo perdendo. Claire afferra il suo vestito
dal tavolo, prendendo il colletto in una mano e il bordo inferiore nell’altra,
lo lancia intorno al mio collo e mi tira verso di lei. Ci baciamo ancora,
voracemente, vogliamo imprimere nella mente ogni sapore, riversare la nostra anima
nell’altro attraverso la bocca. Il suo corpo diventa più caldo e umido di
sudore, e sento piccole gocce formarsi anche sulla mia fronte. Mi allontano di
un passo e la faccio alzare. Lei mi guarda, si avvicina fino quasi a sfiorarmi,
e mi fa strada verso la camera da letto, la seguo e nel buio distinguo solo la
sagoma delle sue braccia mentre cammina sfiorando le pareti.
In tutte le comitive c’è
sempre l’amico che rimane eternamente giovane. Quella sera ce n’erano due, che
ricordavano alla perfezione tutte le regole dei giochi alcolici che facevamo
quando eravamo più giovani: regole che tutti noi conoscevamo a menadito
all’epoca, ma che a molti di noi non apparivano più così ovvie dopo un decina
di anni e mezza dozzina di bicchieri di vino. Tirare dadi, pescare carte,
guardare Claire, perdersi nelle trasparenze del suo vestito, ad ogni carta
corrispondeva una regola in rima che decideva chi beve, passare il turno al
giocatore alla tua sinistra, no alla tua destra, ma se la carta di prima era un
otto il senso passava da antiorario ad orario, i dadi cadevano a terra e Claire
ci abbassava a raccoglierli, e speravo di non dovermi alzare al mio turno
altrimenti tutti avrebbero visto il gonfiore nei miei pantaloni, e i vecchi
amici ubriachi non perdonano, e ogni centimetro del suo corpo non tollerava che
io guardassi altrove, e i bicchieri si svuotavano e le pizze non arrivavano e
Claire apriva un bottone della sua scollatura e sono sicuro di aver passato
almeno tre minuti ad osservare una gocciolina di sudore che lentamente le
scivolava tra i seni, invidiandola.
In tutte le comitive c’è
sempre l’amico un po’ pervertito, quello che quando arriva il momento delle
penitenze da pagare fa surriscaldare l’ambiente. Una delle ragazze improvvisò
uno strip tease perché non era riuscita a finire il bicchiere in un sorso, due
ragazzi si erano dovuti toccare le parti basse a vicenda perché non erano
riusciti ad arrivare alla fine dello scioglilingua, e ridevamo e il mio sguardo
si perdeva nelle trasparenze di Claire, bloccato tra i suoi abiti e la sua
pelle, o tra la sua pelle e il suo sangue, o ancora peggio tra il suo sangue e
la sua anima. Ero completamente perso nei fumi dell’alcol e non saprei se fu un
dado o una carta o una bottiglia o un sorteggio a decidere che toccasse a me
pagare la penitenza. Feci girare la bottiglia e mentre girava decisero che
avrei baciato qualcuno. L’amico pervertito incalzava “con la lingua” e tutti
approvavano, e io ridevo, finché la bottiglia non si fermò con la punta rivolta
verso Claire.
Risate. Ci alziamo. Ci
avviciniamo.
Siamo io e lei, e non so
sotto quale strato delle sue trasparenze sia persa la mia mente.
Ci avviciniamo, ci
guardiamo, sorridiamo imbarazzati.
Il rumore del citofono.
Claire è stesa a pancia in giù e io sono dentro di
lei, le nostre guance si sfiorano e le nostre bocche si mangiano, il mio petto
è a tratti tutt’uno con la sua schiena, una delle mie mani sulla sua guancia,
morsi su un dito e gemiti nelle orecchie, i suoi capelli sparsi sul letto, la
sua bocca che morde la coperta e gli spasmi che ci percorrono insieme, sempre
di più, sempre più forte, il volume sempre più alto e i corpi sempre più caldi,
un sogno diventato realtà, un momento di piacere interminabile mentre la mia
lingua percorre il suo corpo e assapora il suo sudore salato, mentre il nostro
abbraccio è sempre più stretto, sempre più forte, sempre di più, so che questo
momento rimarrà impresso in questa stanza per sempre.
Per tutta la serata io e
Claire non ci guardammo in faccia. Se quel bacio ci fosse stato avremmo potuto
riderne, ma era proprio la sua assenza a renderlo così pesante, almeno per me.
Il suo sguardo mentre ci stavamo avvicinando, l’imbarazzo nei suoi occhi color
nocciola, mi erano rimasti nelle ossa e nella carne. Non pensai ad altro mentre
mangiavamo, né mentre giocavamo a carte né mentre finivamo le ultime bottiglie.
I giochi alcolici da adolescenti erano finiti con l’arrivo delle pizze, e
sembravano usciti dalla mente di tutti, soppiantati da lauree, lavori e
matrimoni in vista, e tutti i discorsi che fanno da preludio all’atto finale
della serata.
“È stato un piacere
ritrovarci, buone cose, arrivederci, ciao, mi raccomando, teniamoci in
contatto.” E la porta di ingresso si apriva e si chiudeva tante volte, ogni
volta su una o più schiene sempre diverse, finchè dentro non rimanemmo solo io
e Claire. La stanchezza e il vino avevano preso il controllo del mio corpo, non
pensavo più a lei né alle sue trasparenze. Esattamente come qualche ora prima
alla stazione, il pensiero di lei era lontano dalla mia mente e sentivo che
avrei potuto resisterle se non fosse venuta a stuzzicarmi, cosa che sembrava
poco intenzionata a fare, e che mi rendeva tranquillo ma triste allo stesso
tempo. Il suo imbarazzo era molto più palese del mio, sembrava pensierosa e a
tratti una voce nella mia testa mi diceva che sembrava indecisa su cosa fare
con me. Non sapevo in quale scelta sperare, non sapevo in che direzione
spingerla, non sapevo neanche se tutto ciò fosse reale o solo una mia fantasia.
Dirigendomi verso la
camera da letto mi fermai tra il tavolo e il divano, sospirai e le chiesi di
spegnere la luce.
Nella penombra della luce appena spenta, il sorriso
malizioso di Claire a malapena visibile e la sua voce: “Baciami.”
4 commenti:
Caro compare, già sai cosa ne penso. Lo reputo superiore al "prequel", soprattutto perché ho apprezzato molto la tua sperimentazione del periodo lungo, un universo a te abbastanza oscuro e ci sei riuscito benissimo. Costruzione perfetta ad intreccio tra reale e immaginato, che poi è davvero immaginato(?). Comunque voglio una foto di Claire! Secondo me è 'na gnoccona. XD
Se mai la incontrerò per strada la fermerò e le farò una foto, te lo prometto!
AAAAAAAAAAAAAAAARGH!!!
(è un commento positivo, ovviamente)
Mi è likato doc, veramente bello, resa molto bene l'ossessione del protagonista.
Un'unica cosa casomai te la dico in privato.
Per il resto...sibbell!
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