Citazioni


venerdì 14 marzo 2014

Il vecchio con il sorriso ironico

A otto anni, il bambino con il bracciale di legno era motivato da una forte curiosità. La madre gli aveva dato quel bracciale qualche anno prima perché una qualche divinità lo proteggesse, e lui continuava a portarlo. Dovunque andava, non faceva altro che guardarsi intorno e chiedere spiegazioni, ai suoi genitori quando c’erano e altre volte agli sconosciuti. Più di una volta i genitori lo avevano trovato al parco che parlava con un senzatetto o un vecchio, chiedendogli perché esistevano il giorno e la notte, o perché il mare era azzurro. A parte questo, era un bambino normale, andava d’accordo con i suoi coetanei, accennava un timido interesse per le bambine, si vergognava a portare gli occhiali e gli piacevano i cartoni animati. Non era un bambino iperattivo ma semplicemente molto curioso.

A quattordici anni, il ragazzino con gli occhiali rettangolari iniziò ad interessarsi di filosofia. Non di quella che cercavano di insegnargli in classe, ma di quella che nasceva nella sua mente. Aveva abbandonato la religione e smesso di portare il bracciale di legno, aveva abbandonato la curiosità spicciola da bambino, quella relativa a nozioni che si imparano sui libri, e si interrogava su altro. Amava chiedersi il perché delle cose, cercare una ragione, si chiedeva quale fosse il miglior sistema di governo per una nazione, quali fossero i principi alla base del bisogno umano di credere in una religione, perché nonostante il conclamato primato della ragione sulla fisicità la guerra continuasse ad esistere e le persone ad essere giudicate in base all’aspetto fisico. Cercava di andare a fondo con ogni domanda che si poneva, aveva una mente scattante e amava usarla. I genitori e gli insegnanti erano così orgogliosi di quel ragazzo che continuava a voler sapere sempre di più, almeno finchè le sue domande non iniziarono a trovare risposte. Qualunque sistema di governo genera falle, le religioni servono a toglierci il fardello di pensare con la nostra testa, il conclamato primato della ragione sulla fisicità era una bugia. Tutto girava intorno ai soldi, che a loro volta giravano intorno al potere. Gli sembrava di aver sintetizzato millenni di storia in una semplice frase, e si sentì soddisfatto.

A vent’anni, il ragazzo con la barba folta si perdeva negli occhi della ragazza che amava, e tutti i possibili governi, le religioni, le guerre e i giudizi sparivano in quello sguardo. Aveva smesso di portare gli occhiali rettangolari ed era passato alle lenti a contatto perché stava stretto negli occhiali, non riuscivano a coprire tutto il suo campo visivo. Gli angoli erano sempre sfocati, e lui voleva vedere sempre di più: il suo sguardo si allargava, ma la sua mente si stava restringendo. Tutto ciò che gli interessava in quel momento era negli occhi e nel cuore di quella ragazza. Si chiedeva cosa fosse l’amore, perché sebbene sapesse che l’essere umano è portato per la poligamia e che la definizione di amore esclusivo è un’invenzione della società, non riusciva a non sentirlo in quel modo. Si chiedeva da cosa scaturissero l’istinto di possesso, la gelosia, le paure che provava quando la vedeva con altri. Per la prima volta, iniziò ad interrogarsi sul futuro piuttosto che sul passato o sul presente, pensando al plurale piuttosto che al singolare. Si chiedeva come si sarebbe evoluto il loro rapporto, e se sarebbero riusciti a farlo durare. Voleva sapere come entrambi si sarebbero evoluti nel tempo, e se fossero riusciti a restare insieme e ad affrontare tutte le prove della vita. Cercava di rispondere a quelle domande con la massima logica, ma si rendeva conto di essere schiavo di un ottimismo incontrollato che gli faceva sembrare tutta la vita una passeggiata in discesa. Ogni volta che pensava al futuro finiva ad immaginare due vecchietti con le dentiere sul comodino, nipotini che chiedevano di raccontare ancora una volta la storia di come si fossero conosciuti, giornate serene lontane dalle difficoltà della vita. Tutto il suo interesse, tutta la sua curiosità, la sua intera vita, ruotavano intorno a quella ragazza, si applicava con tutta la razionalità di cui era capace e arrivava alla conclusione più irrazionale possibile: che loro due erano diversi, che tutto sarebbe andato bene, che avrebbe potuto morire per lei, che sarebbe morto se lei l’avesse lasciato, che solo la morte li avrebbe separati.

A venticinque anni, il vecchio con il sorriso ironico girava per strada con un coltello in tasca. Non che ne avesse mai avuto bisogno, ma amava girare da solo a tarda notte, e la prudenza non era mai troppa. Erano un paio d’anni che si radeva con cura ogni giorno, da quando la storia che razionalmente sembrava destinata a durare in eterno si era scontrata con l’irrazionalità della vita e aveva deciso di cambiare look, per sembrare una persona diversa rispetto al ragazzo con la barba folta, per smettere di essere quella persona. Aveva perso ogni interesse nell’amore da quando la vita li aveva separati. Per un paio d’anni non aveva fatto altro che abusare di alcol, sigarette, a volte droghe. Aveva abusato della sua giovinezza fino ad esaurirla, almeno dentro. Non si poneva più domande sul mondo intorno a sé, non si poneva più domande sul significato delle cose, non si poneva più domande sull’amore. Non si poneva più domande perché gli sembrava di aver trovato, con la fine di quella storia, tutte le possibili risposte. Girava senza meta con il sorriso ironico di chi ha capito come funziona il mondo, girava per locali e poi per strada ogni notte, osservando ciò che gli accadeva intorno solo per trovare conferme di ciò che già sapeva, tra vicoli bui e mattoni di pietra, guardando la strada bagnata su cui si riflettevano le insegne al neon dei locali nei quali succedevano cose che aveva già visto mille volte.


La sua giovinezza era morta con la sua curiosità, era convinto di aver già visto tutto. Si muoveva per i locali e si guardava intorno: uomini pieni di sé che si toccavano i pettorali per assicurarsi che fossero bene in mostra sotto le maglie troppo leggere per il clima, automi con gli occhi spenti che cantavano la stessa canzone inneggiante alla gioia che non avevano dentro, che guardavano ragazze brutte dall’alto verso il basso con sguardi apprezzanti come se fossero modelle solo per rinforzare la certezza di essere stati in un posto pieno di belle donne e potersi vantare con gli amici senza sembrare dubbiosi, che si incrociavano tra una stanza e l’altra ognuno sperando che nella stanza da cui proveniva l’altro ci fossero ragazze facili. Persone giovani dentro che andavano a ballare per fare conquiste ma che non si sarebbero mai permessi di avvicinare una ragazza nell’autobus che portava entrambi verso lo stesso locale dove sarebbero finiti a pomiciare poche ore dopo, perché le conquiste non si fanno nell’autobus, perché lo scopo stesso di andare in quel posto era fare conquiste, nell’autobus nessuno lo avrebbe notato, la mattina dopo non ci sarebbero state foto su internet di corpi che pomiciavano nel tentativo di fare respirazione bocca a bocca all’anima dell’altro, conoscersi nell’autobus avrebbe reso inutile tutto ciò che veniva dopo. Nel bagno degli uomini, tutti intenti a controllare che i capelli fossero perfetti, come se qualcuno fosse mai stato rifiutato per un capello fuori posto. Marcavano strette le ragazze ubriache e le ascoltavano parlare mentre barcollavano, aspettando quel momento di silenzio adatto a baciarle, e quando il momento sarebbe arrivato non le avrebbero baciate raccontandosi qualche bugia, mantenevano bicchieri di birra ergendoli a scuse per non socializzare, si ripetevano di essere troppo impegnati a reggere il bicchiere per poter parlare con i loro simili. Tutto gli sembrava banale. La sua mente si era spenta, la sua vita non era stata altro che una discesa verso l’abisso della noia, della ripetitività, non si stupiva più, non lasciava che nulla lo stupisse o lo interessasse. Tornò a casa e si tolse le scarpe. Erano le sei, e la sua mente vorticava. Non capitava spesso, ma quelle poche volte andava sempre a finire che si trovava pieno di speranze, ripetendosi che il giorno dopo sarebbe cambiato tutto, che bastava sperarci e impegnarsi e la vita lo avrebbe ricompensato con un nuovo inizio, che nessuno sarebbe mai entrato se non permetteva a nessuno di avvicinarsi. Erano le giornate in cui usciva di casa speranzoso e tornava deluso. Stava iniziando di nuovo a pensare.

Perché non lascio avvicinare le persone?

Si era appena fatto una domanda, dopo anni. Poteva rispondersi, riprendere a pensare, ritrovare se stesso e affrontare di nuovo la vita, oppure poteva continuare a stordirsi e procrastinare fino al momento in cui il bisogno di riflessione avrebbe rotto gli argini, con effetti devastanti. Si sedette al tavolo. Poteva affrontare la situazione con forza o farsene travolgere con debolezza. Avrebbe potuto riprendere a stupirsi e togliersi quel sorriso ironico, come si era tolto il bracciale di legno, come si era tolto gli occhiali rettangolari, come si era tolto la barba folta. Bastava restare seduto e pensare.

Accese il pc, andò su un sito pornografico e si slacciò i pantaloni.

3 commenti:

Unknown ha detto...

Non saprei bene come commentare questo racconto...
Diciamo che il personaggio in questione descrive esattamente il meccanismo della mente umana per come la vedo io: potenzialmente in grado di interrogarsi su qualunque cosa e trovare risposte sempre un minimo soddisfacenti, ma altrettanto incline a lasciarsi spegnere dalla pigrizia, dal susseguirsi degli avvenimenti... fino a spegnere il pensiero.

Bob ha detto...

Allora ci sono persone che colgono i messaggi dietro le parole :D Grazie <3

Arhal ha detto...

A me questo non è sembrato solo il racconto di un uomo, ma il racconto dell'intera umanità: religione, filosofia, sentimento, e poi giù fino all'apatia, al disinteresse, alla paura, alla pura superficialità.

Un quadro del nostro mondo: vacuo e insensato.

Like!