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giovedì 20 marzo 2014

Vincitore del concorso SeiAutori

Il concorso per il primo anniversario di questo blog volge al termine e finalmente abbiamo un vincitore:
Clocchina con il suo racconto "Il principe nero"!

La decisione, credeteci, non è stata facile, pertanto vorremmo ringraziare tutti i partecipanti e aggiungere due parole: non siamo professionisti, non siamo una casa editrice, il nostro giudizio non vale più del vostro.
Il nostro è solo un parere, siamo aspiranti scrittori esattamente come voi, e ognuno di noi, leggendo i vostri scritti, ha scelto il proprio vincitore a sentimento: solo tramite una scaletta dei voti è stata eletta Clocchina, che si prende le nostre più sentite congratulazioni, unite comunque a quelle per ognuno di voi, se non altro per il coraggio che avete dimostrato mettendovi in gioco in questo concorso di nicchia.

Non è finita qui, però, perché  ci siamo sentiti in dovere di assegnare un premio speciale per un altro scritto: stavolta una poesia. Il vincitore di questo secondo premio è Ishkan con "Vetrocristallo - Genesi"! I nostri complimenti per la sua opera che tutti potrete leggere a seguito del racconto.

Vi ricordiamo, inoltre, che chiunque di voi volesse un parere o un consiglio su ciò che ci ha inviato, può richiedercelo commentando questo post o contattandoci sulla nostra pagina Facebook!
Grazie della partecipazione e buona lettura!!!






Il principe nero

Guardò l’orologio per l’ennesima volta. Ultimamente sembrava che il tempo le scivolasse via come seta tra le mani e allo stesso tempo sentiva ogni secondo pesarle sul cuore come un macigno. Poteva essere già troppo tardi, poteva essere successo qualsiasi cosa.
- Signorina?
Elisa sobbalzò per lo spavento. Si era distratta, aveva perso il senso della realtà. L’espressione perplessa dell’uomo di fronte a lei le ricordò il motivo per il quale si era recata alla stazione di polizia.
- Prego, si accomodi, il commissario la sta aspettando.
Commissario? Dunque aveva fatto carriera. Con passo deciso si affrettò a varcare la porta che l’uomo le stava indicando. Respirò a fondo due volte. Allontanò con stizza quel ciuffo che le ricadeva insistentemente sugli occhi.
- Elisa Cabret- la accolse una voce conosciuta. Era calda e ruvida. Un brivido le corse a tradimento lungo la schiena.
Due occhi profondi e neri come un abisso la stavano scrutando divertiti da dietro una scrivania.
- Quando mi hanno detto chi era a chiedere di me quasi non ci credevo. È una vita che non ci si vede. Cinque anni?
Cinque anni, nove mesi, dieci giorni. Sembrava che il tempo si fosse fermato allora.
- Non saprei, Genny, non ho contato i giorni- rispose invece con un sorriso di scherno. – Ti trovo bene.
- Anch’io- rispose l’uomo senza toglierle gli occhi di dosso.
Questa cosa la infastidiva non poco. Decise che era meglio arrivare in fretta al punto o rischiava di perdere il controllo della situazione.
-Ho bisogno del tuo aiuto.
Genny alzò le sopracciglia, stupito. – Vuoi il mio aiuto? Dopo cinque anni di silenzio vuoi che io ti aiuti?
Elisa annuì sicura di sé e mantenne alto lo sguardo. Genny la stava fissando intensamente.
- E da chi desideri quest’aiuto- continuò l’uomo sempre più divertito- dall’amico, dall’amante o dal poliziotto?
- Sei sempre stato sfacciato- rispose Elisa stizzita.
- Ma tu sei arrossita.
- E tu sei uno stronzo.
Genny scosse la testa con un sorriso. – Non è così che si chiede l’aiuto di qualcuno, Elisa.
La donna fece un respiro profondo, tentando di ricordarsi il motivo che l’aveva condotta in quella spiacevole situazione.
- La questione è seria, Genny. Sai bene che non sarei mai qua a chiederti un favore se non fossi costretta, ma sei l’unica persona di cui mi fidi.
Il poliziotto fissò meglio la donna che aveva davanti. Occhi di un verde brillante, vivi di intelligenza. E di malizia. In quel momento, però, nascondevano qualcosa di nuovo che non riusciva a identificare. Difficile a credersi, Elisa sembrava impaurita.
- Sono qui per denunciare una scomparsa.
Genny le fece segno di accomodarsi. – Dimmi, di chi si tratta?
Elisa accolse il suo invito senza lasciarselo ripetere due volte ma era chiaro che non era affatto a suo agio. Sedeva sulla punta della sedia e continuava a stringere tra la mani la sua borsa di pelle grigia.
Con la coda dell’occhio notò che sotto lo spolverino portava una semplice maglietta bianca e un paio di jeans. Per fortuna aveva deciso di sostituire le sue solite sneakers con un paio di stivaletti bassi, era molto più femminile adesso. Tuttavia sembrava più magra, e questo gli dispiaceva un po’.
- Si tratta di un mio collega, Leonardo Stravinci. Sono due giorni che non risponde al telefono né a casa. Sono preoccupata perché due giorni fa avremmo dovuto incontrarci ma non si è più presentato all’appuntamento. Era per una questione molto importante, non avrebbe rimandato per niente al mondo, ne sono certa.
Genny le lanciò uno sguardo indagatore, grattandosi distrattamente la barba sfatta. – È il tuo ragazzo?
Elisa sbatté le mani sulla scrivania. – E questo cosa c’entra? Ti ho già detto che è un mio collega, un mio caro amico, per giunta. Ti prego, Genny, mi appello al tuo senso del dovere, se ancora ce n’è in te, ho davvero bisogno del tuo aiuto.
Si era sbagliato. Elisa non era impaurita, era terrorizzata. Forse era meglio accantonare per un po’ il loro spiacevole passato e ascoltare davvero cosa aveva da dirgli.
Da un cassetto al lato della scrivania estrasse un faldone di fogli già impaginati, pronti per essere riempiti. Afferrò la prima pagina e una penna da una ciotola e li porse alla donna.
- Questo è il documento da riempire. Nome, cognome, generalità. Meglio se hai una foto.
Elisa guardò il foglio intonso di fronte a lei e poi di nuovo l’uomo, senza capire. – È così che denunciate la scomparsa delle persone? Come oggetti smarriti?
Genny fece spallucce. – Non sono io ad occuparmi di queste cose, c’è un ufficio apposta qualche metro più avanti. Adesso, per fortuna, sono un commissario- disse, indicando la lucente targhetta in bella vista al centro della scrivania. Gennaro Esposito, commissario di polizia.
Elisa lo guardò furente. Era sul punto di scatenare in pieno la sua ira quando Genny alzò una mano per fermarla.
- Non provare ad attaccarmi. Non ci provare, Elisa. Sei sempre stata bugiarda ed io stupido a fidarmi di te. Come vedi adesso ho una vita, mi hanno promosso di grado, ho casi interessanti. Non farò lo stesso errore di cinque anni fa, non mi farò portar via tutto questo.
A quelle parole la donna parve rabbuiarsi di colpo e i suoi occhi divennero due profondi pozzi grigi. – Non sono una bugiarda.
Genny sorrise sarcastico. – Forse no, ma sei la regina delle mezze verità, il che è ancora peggio. Te lo dico sinceramente: non ho alcuna intenzione di aiutarti se non mi dici la verità.
Elisa lo fissò intensamente per qualche secondo. Era chiaro che stava prendendo una decisione. Dopo un po’ fece un lungo sospiro e allentò la presa sulla sua borsa.
- Credo che gli sia accaduto qualcosa di brutto, Genny. Io e Leo abbiamo ricevuto delle minacce ultimamente.
- Minacce? E da chi?
- Non ne ho proprio idea. È iniziato tutto con strani avvenimenti, piccoli incidenti a cui nessuno dei due ha dato importanza all’inizio. Le gomme dell’auto bucate, un finestrino spaccato… Poi hanno cominciato con gli squilli anonimi e le lettere. Ci dicevano che dovevamo smettere con le ricerche, che ci avrebbero portato solo guai.
Genny tamburellò nervosamente con una penna sulla scrivania. - Che tipo di ricerche stavate svolgendo?
Elisa fece un gesto di noncuranza con la mano. – Nulla che tu possa capire. Stiamo cercando di approfondire l’autenticità di alcuni testi, stiamo verificando delle ipotesi… sul principe di San Severo.
- Ancora con questa storia?- esclamò il poliziotto esterrefatto. Evidentemente Elisa doveva aver sviluppato una sorta di ossessione per questo illustre personaggio. Fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti aveva cercato di indottrinarlo a riguardo, aggiungendo ogni volta sempre nuove storie e nuove intrighi.
- Se non sbaglio ci stavi scrivendo la tesi di laurea a quel tempo.
Elisa sorrise conciliante. – Sì, è così e adesso sto svolgendo un dottorato a riguardo. So bene che a te non è mai piaciuto, non ne facevi un mistero.
- E questo Leo ti sta aiutando? È un archeologo anche lui?- domandò Genny, cercando di evitare quell’argomento.
- In verità Leo è un chimico, ma questo non ha molta importanza ai fini della sparizione…
Un chimico? Che cosa ci faceva Elisa con uno squilibrato di quelli “tutte formule e ampolle”?
Stava già per ribattere che era meglio lasciare a lui valutare cosa fosse importante o meno, quando qualcuno bussò alla sua porta. Un uomo sulla quarantina fece capolino oltre l’uscio e gli rivolse un cenno di saluto.
- Ehi, Genny, noi andiamo- disse, mostrandogli l’orologio. Erano già le due.
Elisa era distratta, immersa in altri pensieri, e Genny gli fece un cenno d’intesa. – Non aspettatemi oggi, Marce’, ho del lavoro straordinario da sbrigare.
Marcello scosse la testa con un sorriso e si avviò sghignazzando lungo il corridoio.
Senza preavviso, Genny si alzò di scatto della sedia, afferrò cellulare e portafogli e si avviò verso la porta.
- Dove stai andando?- gli chiese la donna, sorpresa.
- Andiamo a mangiare un boccone e nel frattempo finisci di raccontarmi questa bella storia.
Poco dopo erano fermi a un angolo della strada, circondati da stuoli di bambini urlanti in rotta verso casa e da turisti spaesati per aver chiesto informazioni alla persona sbagliata. Nell’aria si respirava un forte tanfo di cipolla e di sudore.
- Sicura di non volere niente?- le chiese Genny, addentando il suo unto kebab di carne.
Elisa storse il naso con disgusto. – No, grazie, mi si è chiuso lo stomaco. E poi dimentichi che sono vegetariana.
No, non se l’era dimenticato. Voleva solo infastidirla, come ai vecchi tempi.
- Allora, mi stavi dicendo- incalzò il commissario tra un boccone e l’altro.
- Ecco, insomma- sospirò Elisa. – Due giorni fa Leo mi chiama. Mi dice che è urgente, che ha scoperto delle cose importanti e che mi vuole vedere subito. Da diverse settimane era diventato ancora più schivo del solito, non usciva più di casa. Fa sempre così quando è sotto pressione, soprattutto dopo le ultime minacce poi… Aveva scoperto qualcosa, ne sono certa, ma qualcuno deve averlo minacciato, o aggredito, o chissà cosa! Dovevo andare a casa sua per discuterne ma è da due giorni che busso alla porta e nessuno risponde… Genny, ma mi stai ascoltando?
 Il poliziotto aveva lo sguardo perso nel vuoto mentre assaporava gli ultimi resti del suo kebab. Poi, improvvisamente, accartocciò la carta tra le mani e la lanciò nel cestino lì accanto. – Forza, muoviamoci.
Elisa lo fissò perplessa. – E dove andiamo?
- A casa del tuo amico, no? Dove hai detto che abita?

Gli occhi della donna erano pieni di gratitudine mentre si affrettava a seguire Genny verso l’auto. Poco dopo il poliziotto stava mettendo in moto una vecchia Panda rossa sgangherata.
- Non hai ancora cambiato questo catorcio?- commentò Elisa con un risolino, allacciandosi la cintura.
- Fedele amica di tante avventure- rispose Genny con un sospiro. – Almeno lei non mi ha ancora abbandonata…
Elisa gli lanciò un’occhiata di traverso ma non fece commenti.
Per fortuna a quell’ora Napoli sembrava quasi deserta e non impiegarono troppo tempo a raggiungere il posto. Svoltarono in un vicolo di Corso Umberto ed Elisa fece cenno al compagno di fermarsi.
- È poco più avanti, scendiamo.
Genny fermò la macchina e accese le quattro frecce. Era chiaro che prospettava una gita piuttosto breve.
Elisa avanzò spedita, facendogli strada e conducendolo all’interno di un vecchio palazzo scolorito. Una volta dentro, però, si ritrovarono inondati di luce al centro di un maestoso cortile rinascimentale.
Genny emise un fischio di apprezzamento. – Carine queste case degli studenti- disse, osservando le due rampe di scalini che si srotolavano ai loro lati.
Elisa annuì distrattamente e cominciò a salire lungo una delle due scale di marmo, senza curarsi della presenza dell’altro. Giunta al secondo piano si fermò davanti ad una porta di legno e dall’aspetto anonimo. Nemmeno una targhetta stava a testimoniare che quella casa fosse abitata.
- Amante della privacy il tuo amico?- fece Genny sarcastico.
Elisa fece spallucce. – È un tipo un po’ strano, non gli piace stare sotto i riflettori, ma è a posto… E adesso che cosa stai facendo?
- Controllo se ci sono segni di effrazione- rispose Genny, osservando più da vicino la porta.       – Zero assoluto.
Elisa cominciò a bussare all’impazzata al campanello. – Leo? Leo? Sono io, Elisa! Aprimi se sei in casa!
- Abbassa la voce e datti una calmata- la rimproverò Genny. – Forcina.
Elisa lo guardò come se avesse parlato in una lingua sconosciuta e Genny alzò gli occhi al cielo, esasperato. – Di grazia, saresti così gentile da prestarmi una forcina per capelli?
Elisa affondò una mano tra i suoi capelli biondo cenere. Erano sempre stati un po’ mossi e le incorniciavano il viso ricadendole dolcemente sulle spalle.
Genny afferrò la forcina che Elisa gli stava porgendo e le loro mani si sfiorarono per un breve istante. I loro sguardi si incrociarono in cerca della vecchia complicità, desiderosi di ritrovarsi ancora una volta.
Elisa abbassò gli occhi a disagio. - Senti, Genny…
Il poliziotto aveva infilato la forcina nella serratura e sembrava totalmente concentrato nel tentativo di aprirla.
- Ti sono molto grata per quello che stai facendo. Stai mettendo a rischio te stesso e la tua carriera per me, ero certissima che non l’avresti fatto… Come mai hai deciso di aiutarmi?
Genny si prese ancora qualche secondo prima di rispondere, mentre continuava ad armeggiare con la molletta per capelli. Qualche attimo dopo, uno scatto secco risuonò nell’aria e il poliziotto aprì la porta con aria trionfale, facendole segno di passare per prima.
- Beh, credimi, non appena ti ho vista entrare dalla porta del mio ufficio ho capito all’istante che ero già nei guai. Inoltre questa storia delle minacce e la scomparsa del tuo amico non convincono neanche me- rispose il poliziotto, accompagnandola dentro. – Tuttavia alla fine di questa storia mi aspetto come minimo una pizza da Sorbillo.
Elisa avrebbe voluto ribattere qualcosa ma le mancarono le parole. In compenso fu Genny a commentare.
- Porca miseria…
La casa era in subbuglio. Ogni cosa nella stanza in cui si trovavano era stata rovesciata a terra, i mobili spostati. Elisa cercò di farsi strada tra gli oggetti e le carte lasciati ovunque, ma il poliziotto le fece segno di attendere. Con una mano appoggiata saldamente all’interno della giacca, iniziò a spostarsi rapidamente da una stanza all’altra, gli occhi bene aperti. Evidentemente doveva essersi portato dietro la pistola di ordinanza.
- Ok, via libera- le annunciò dalla porta accanto.
Elisa varcò l’uscio per raggiungerlo ma lo spettacolo cui si trovò ad assistere era addirittura più spiacevole del precedente.
- Tutto il suo lavoro, il nostro lavoro…
La stanza in cui si trovavano doveva essere stata lo studio del giovane chimico. Boccette di vetro, alambicchi, pipette… tutto era gettato alla rinfusa o distrutto in mille pezzi. La scrivania in truciolato era costellata dei resti di appunti e provette; tutt’intorno pile di libri erano crollate rovinosamente al suolo e adesso i volumi erano aperti su qualche pagina a caso, semi distrutti, alcuni strappati.
- “Chimica degli elementi”, “Alchimia e massoneria”, “Storia della chimica alchemica”…- lesse Genny, scorrendo qualche nome. – Ma che razza di esperimenti stavate conducendo quaggiù?
Elisa, però, non parve sentirlo. Stava osservando un distillatore che si era salvato per miracolo da quella distruzione. Accarezzò delicatamente la superficie liscia e lucente del vetro e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Genny le si avvicinò con espressione meno dura e le posò una mano sulla spalla. – Capisco che tutto questo per te è terribile, ma devi dirmi cosa stavate combinando con questa roba, altrimenti non so come aiutarti.
Elisa annuì, vagamente convinta, e si voltò da un lato per asciugarsi una lacrima. Quando tornò a parlare aveva ripreso il controllo di sé.
Genny la fissò con un sorriso di tenerezza. Lei era così: dura e bella come un diamante, niente riusciva a scalfirla.
- Vedi, Genny- tentò di spiegare la giovane archeologa. – Io e Leonardo, come avrai capito, siamo legati da un amore comune.
Genny sgranò gli occhi stupito e il suo cuore mancò un battito. Come era possibile? Elisa e il piccolo chimico… insieme?!
- La nostra passione è il Principe di San Severo, Raimondo di Sangro.
A quel nome le sue budella si rilassarono bruscamente e l’aria tornò a riempirgli i polmoni.
- Ci siamo conosciuti per caso due anni fa, alla Brau. Cercavamo entrambi gli stessi libri. All’epoca io avevo appena iniziato il dottorato e lui era fresco di laurea. Un cervello quadrato, una mente brillante. Non ho mai capito per quale motivo abbia deciso di dedicarsi a un progetto così assurdo.
- Quale progetto?
Elisa sospirò e distolse lo sguardo. Sembrava quasi imbarazzata. – Ecco, Raimondo di Sangro è stato molte persone: un filosofo, un illuminista, un mecenate. Ma ciò che più di tutto ha stimolato la nostra curiosità è stato il misterioso legame con la Massoneria. Ho fatto ricerche incrociate su un’infinità di libri e in uno di questi il Principe veniva citato come uno dei custodi della pietra filosofale. Capisci?
Genny annuì senza capire. Come al solito, Elisa lo stava inondando di nomi e fatti che per lui non avevano alcun significato. La storia non era mai stata la sua materia preferita.
- Per fartela breve, Leonardo stava cercando di riprodurre la pietra filosofale per mezzo di alcune formule che gli avevo procurato io.
Genny la fissò senza batter ciglio. – Tu sei pazza. Siete pazzi entrambi. Poco fa mi stavo domandando per quale motivo ci fossimo lasciati, grazie per avermelo ricordato.
Elisa lo guardò esasperata. – Va bene, forse siamo un po’ pazzi, ma Leonardo aveva scoperto qualcosa! Sono sicura che era riuscito nel suo intento e adesso è scomparso. Sono certa che l’hanno rapito.
Il poliziotto scosse la testa. – Non ne sono convinto. Un rapimento richiede un riscatto e qui non ne abbiamo. Secondo me il tuo piccolo chimico è riuscito a fuggire prima che gli smantellassero la casa. È chiaro che stavano cercando qualcosa.
- Lo stavano sorvegliando!- esclamò Elisa, colpendosi la fronte con una mano. –Me l’aveva ripetuto più di una volta ma io non gli ho dato retta. Diceva che un uomo pelato continuava a fermarsi per un paio d’ore al giorno sotto al suo palazzo, poi se ne andava.
- Minacce, sabotaggi e adesso appostamenti… Non era il caso di chiamare la Polizia un po’ prima?- fece Genny seccato. – Scommetto che dietro tutto questo c’è qualcosa di illegale e tu hai pensato bene di chiamare me per evitare problemi, giusto?
Elisa arrossì leggermente al rimprovero dell’uomo e si avviò nell’altra stanza per evitare di rispondere.
Genny sentì montare la rabbia dentro di sé. – Elisa Cabret, ti ordino di rispondere! Credevi forse di aver trovato lo stupido da abbindolare? Non cambi mai, a quanto vedo. Ma adesso basta, questa è l’ultima cosa che faccio per te. Questa storia sta diventando pericolosa e va affrontata in modo diverso. Adesso ce ne torniamo al Commissariato…
- Aspetta!- esclamò Elisa bloccandolo per un braccio. – Guarda.
Genny fu scosso da un lungo brivido a quel semplice tocco ma cercò di mantenere la lucidità. Elisa gli stava mostrando il frigorifero.
- È un semplice frigorifero con tanti magneti e qualche lettera sparsa alla rinfusa- commentò seccato.
- No, non alla rinfusa- lo corresse la donna. – Guarda quelle due lettere in rosso. Sono due calamite a forma di S con un bigliettino sotto.
Elisa si avvicinò al frigo e sfilò il foglietto da sotto. – Désillusion- lesse.
Genny inarcò un sopracciglio. – Che diavolo significa?
- È francese, stupido. Significa: disillusione, disincanto. È sicuramente un messaggio per me.
 Effettivamente aveva un senso, si disse Genny: Elisa era francese per metà e il cognome era, infatti, quello della madre. Non gli aveva mai parlato del padre, né lui aveva mai indagato più a fondo perché ogni volta che se ne presentava l’occasione Elisa si innervosiva o diventava improvvisamente molto silenziosa.
Ma come aveva fatto ad innamorarsi di una persona tanto diversa da lui? Francese, vegetariana, appassionata di storia… Le loro menti erano totalmente distanti tra loro, eppure i loro corpi si erano sempre intesi alla perfezione.
- Ma certo!- gridò improvvisamente Elisa, distogliendolo da quella dolorosa spirale di pensieri. – Come ho fatto a non capirlo prima! Le due S rappresentano San Severo, mentre quella parola in francese va tradotta con disinganno!
Genny allargò le braccia, perplesso. – E quindi?
- La statua del Disinganno nella cappella di San Severo!- fece Elisa con gli occhi sgranati. – Leo mi ha lasciato qualcosa nella cappella. Forse mi dirà dove si trova ora, o forse sono i risultati della sua ricerca.
Guardò l’orologio e trasalì per lo sgomento. Con un gesto fulmineo afferrò il poliziotto per un braccio e lo trascinò come una furia giù per le scale.
- Muoviamoci, sono le 17.30 e tra meno di mezz’ora la cappella chiude!
- Ma… la macchina…- tentò di ribattere Genny.
- Andiamo a piedi, è dietro l’angolo- sentenziò Elisa, mettendolo a tacere.
Dopo dieci minuti sbucarono in Via Francesco de Sanctis.
- Meno male… è ancora aperta…- sospirò Elisa in affanno, cercando di riprendere fiato.
Genny scosse la testa. – Sei completamente fuori allenamento. Dovresti prendere in considerazione l’idea di praticare qualche sport.
- Lo sai, anf, non mi piace fare sport…
- Beh, io ne conosco uno che ti piaceva molto, eri anche abbastanza portata…
Nonostante fosse priva di forze, Elisa gli piantò una gomitata nello stomaco e si avviò a passo di marcia verso l’entrata del museo.
- Salve, Dott.ssa Cabret- la salutò un uomo in uniforme, ritto davanti all’ingresso.
- Buonasera, Elia. Sono qua per studio, come al solito, e qui con me c’è anche uno studente della facoltà. È in cerca di materiale per la tesi.
Il custode Elia fissò poco convinto l’uomo che Elisa gli stava indicando. Sembrava un po’ troppo cresciuto per essere uno studente e un po’ troppo imbronciato di trovarsi lì per studio.
- Va bene, ma lui paga. Sono sette euro, grazie.
Genny sgranò gli occhi, incredulo, ma suo malgrado fu costretto a mettere mano al portafogli.
- Vi auguro una piacevole visita!
Con la coda dell’occhio Elisa notò un movimento sulla sua destra. Un uomo seduto sulla panchina aveva abbassato di colpo il giornale e li stava fissando. Con un brivido di paura si accorse che era calvo.
Un istante dopo, però, erano dentro. Genny sembrava piuttosto seccato. – E va bene, passi la gomitata, passino anche i sette euro, ma uno studente della tua facoltà? Questa veramente non te la perdono, Elisa.
La donna sorrise, divertita. – Sempre meglio della professione “cascamorto incallito”.
Anche Genny sorrise e per un attimo si ritrovarono improvvisamente più vicini, colti alla sprovvista da una nuova e inaspettata complicità.
Fu Elisa a mettere fine ancora una volta a quella strana atmosfera. – Dunque, la statua…
Genny la seguì a malincuore lungo l’unica navata della cappella. Intorno a loro c’era ancora qualche turista incallito cha ammirava con occhio rapito la nudità del Cristo velato. Effettivamente, dovette ammettere, il realismo con cui era stato scolpito era davvero ammirevole: la leggerezza del sudario, le trafitture dei chiodi sui piedi e sulle mani, quel costato scavato già dalla morte… Per la prima volta nella sua vita riusciva a percepire la bellezza dell’arte, quella bellezza che Elisa aveva tentato più volte di mostrargli, ma a cui era sempre stato cieco.
- Tutto bene?- gli chiese Elisa. – Ti vedo strano.
Genny annuì vigorosamente. – A quanto pare la vecchiaia mi rende più saggio.
Elisa sorrise. – Senti, mio caro studente, perché non vai a farti un giro sotto la cappella? Nella cripta troverai qualcosa di interessante, ne sono sicura, io intanto do un’occhiata alla nostra statua.
Curioso di scoprire cosa gli riservasse la cripta, il poliziotto si avviò lungo il passaggio laterale sulla destra, oltrepassando il magnifico pavimento a motivi labirintici. Elisa, invece, si avviò decisa verso il fondo della cappella. Poco prima dell’altare, sulla sua destra, trovò la statua che cercava.
- Disinganno…- mormorò quasi a se stessa, contemplando ammirata il complesso di figure in marmo bianco. Si trattava di un uomo intento a districarsi dalle maglie di una rete, finemente cesellata, e di un genietto alato che lo aiutava, indicandogli al contempo il globo terrestre ai suoi piedi e la Bibbia.
Il settimo principe di San Severo, Raimondo di Sangro, aveva ideato quella cappella come uno scrigno di simboli e segni della Massoneria. Ogni statua del suo piccolo mausoleo era dedicata a qualche membro della sua famiglia, ma a guardar meglio ciascuna di esse racchiudeva un significato occulto legato alla setta segreta.
In questo caso il principe aveva inteso il Disinganno come l’allegoria dell’iniziazione massonica: dalla tenebra, racchiusa sotto la rete, alla luce della conoscenza, ovvero il globo terrestre e la Bibbia.
L’archeologa stava osservando meglio la statua, in cerca di qualcosa che richiamasse la sua attenzione, quando venne distratta dalla voce di Genny.
- È stato proprio uno scherzo di cattivo gusto, Elisa- la rimproverò, arrabbiato. – Eppure lo sai quanto sia suscettibile riguardo queste cose.
Elisa scoppiò in una sonora risata, ma l’ultimo turista rimasto le fece sgarbatamente segno di tacere.
- Sono solo un mucchio di arterie e vene metallizzate, non si sa con quale misteriosa procedura. In verità non sappiamo nemmeno se siano stati dei corpi veri, probabilmente sono delle riproduzioni- gli rivelò Elisa in un sussurro. – Le chiamano le “Macchine anatomiche”.
Genny sembrava ancora più disgustato e per cambiare argomento rivolse lo sguardo alla statua sopra le loro teste. – È questa?
Elisa annuì e si guardò intorno impaziente. Finalmente il maleducato turista stava imboccando la porta d’uscita. Adesso erano completamente soli.
- Forza, tirami su- gli bisbigliò a bassa voce, anche se non ce n’era bisogno.
- Cosa?- replicò il poliziotto sorpreso. – Ma peserai un quintale!
Elisa batté un piede a terra per l’impazienza. – Dai, non abbiamo molto tempo! Elia sarà qui da un momento all’altro e io devo scoprire se Leo mi ha davvero lasciato qualcosa nella statua!
Facendo finta di sbuffare, il poliziotto afferrò la donna per i fianchi e la issò sulle sue spalle. Era davvero dimagrita, non si era sbagliato.
- Tombola!- esclamò Elisa trionfante e Genny la riportò immediatamente a terra. L’archeologa gli sventolò sotto al naso un mazzetto di fogli tenuti insieme con un elastico.
- Erano nascosti tra la Bibbia e il globo terrestre ma dal basso non si vedono… Sì, questa è davvero la scrittura di Leonardo - disse con gli occhi che le brillavano dalla gioia. – Sono delle formule chimiche… Quindi aveva davvero scoperto qualcosa, bravo ragazzo! Ma questa che roba è?
Genny diede uno sguardo a una serie di numeri in fondo alla pagina. – Sono coordinate.
Elisa lo fissò come se fosse uno sconosciuto. – E da quando te ne intendi di queste cose?
Genny fece spallucce e scattò una foto con il cellulare a quei numeri senza senso. – Ho scaricato un’applicazione che non vedevo l’ora di usare. Vediamo un po’… Ecco, l’ha trovato.
- Ha trovato il posto a cui si riferiscono le coordinate?- domandò la donna esterrefatta.- E dove si trova?
Genny fissò il cellulare incredulo, poi Elisa, e poi di nuovo il cellulare. – Non ci crederai, ma a quanto pare ci siamo dentro. La cappella è il luogo indicato dalle coordinate.
Elisa lo guardò sgomenta, senza capire, ma proprio in quel momento ricomparve Elia.
- Dottoressa, allora, siamo pronti?- chiese il custode, impaziente di chiudere il museo.
- Ancora un paio di minuti, la prego- gli chiese l’archeologa implorante.
Il custode doveva essere abituato a simili scene perché sfoderò un sorriso tollerante e si avviò di nuovo verso l’uscita.
- Va bene, va bene, vado a mettere a posto la biglietteria nel frattempo. Le dispiace se vi chiudo dentro per qualche minuto? Per evitare che entrino altre persone.
Elisa fece segno di sì con la testa ma non appena il custode scomparve oltre la porta, si fece prendere dal panico.
- Che cosa significa tutto questo? Che cosa voleva dirmi Leo?- chiese più a se stessa che al poliziotto. – Genny, adesso ho seriamente paura che gli sia successo qualcosa. Doveva essere terrorizzato per lasciarmi quei quattro numeri senza senso, altrimenti mi avrebbe dato una spiegazione! Forse lo stavano inseguendo!
Genny le bloccò le spalle tra le sue mani e la costrinse a guardarlo negli occhi. – Calmati adesso. Non abbiamo alcuna idea di dove sia finito il tuo amico ma tu non stai ragionando a mente fredda. Il museo sta per chiudere, è meglio se ci ritorni domani.
- E tu?- gli chiese Elisa a bruciapelo, gli occhi verdi dilatati dalla paura.
- Io sono un poliziotto, Elisa. Torna domani in commissariato e affrontiamo la questione in modo diverso- provò di rassicurarla Genny, cercando di distogliere lo sguardo da quegli occhi imploranti.
Elisa sospirò a malincuore. – Va bene, forse hai ragione tu.
Genny le lanciò un sorriso rassicurante ma Elisa cercava qualcosa di più e improvvisamente si ritrovarono stretti in un abbraccio. Genny le accarezzò dolcemente i capelli e inspirò a pieni polmoni il profumo che emanavano. Sembrava che il tempo si fosse fermato a cinque anni prima.
- Ehi, Elisa- fece Genny a un tratto, spezzando l’incantesimo. – Non ti sembra un po’ strana quella statua?
La donna si allontanò a malincuore dal tepore delle sue braccia e fissò il punto che Genny le stava indicando. Si trattava di una angelo in marmo bianco e di un puttino ai suoi piedi, disposti alla sinistra dell’altare maggiore.
- Non credo, che cosa c’è che non va?
Genny osservò la statua pensieroso. – È l’angelo che non mi convince: non guarda la figura ai suoi piedi, né in alto verso il cielo, ma fissa un punto ben preciso alla sua sinistra. In effetti lo indica pure.
- Beh, non so…- cercò di dire Elisa, presa alla sprovvista, ma i suoi pensieri furono bloccati sul nascere da una serie di rumori concitati all’ingresso della cappella. La porta cominciò a tremare in seguito a violenti scossoni.
- Qualcuno sta cercando di entrare- disse Genny con estrema tranquillità, ma la sua mano era già corsa alla pistola che nascondeva all’interno della giacca.
Elisa si portò una mano alla bocca. – Oh mio Dio, è l’uomo pelato! L’ho visto qua fuori prima di entrare, ci stava spettando! Dev’essere lo stesso che controllava Leo, ne sono certa!
- Napoli è piena di uomini del genere, non è detto che sia lo stesso- tentò di convincerla Genny. – Adesso va’ lì dietro e nasconditi.
Senza farselo ripetere due volte, Elisa scavalcò il cordone divisorio tra sé e i gradini della cappella e si nascose tra il muro e la statua alla destra dell’altare. Il poliziotto, intanto, si era acquattato come un felino dietro al Cristo velato e attendeva con una calma invidiabile.
- Quando finirà questa storia dovrai offrirmi ben più di una pizza.
- Genny…- fece Elisa con voce stentorea.
L’uomo si voltò a guardarla, esasperato, ma si rese subito conto che c’era qualcosa che non andava. Il volto della donna sembrava più cereo della statua al suo fianco. Elisa gli fece segno di avvicinarsi.
Sempre tenendo d’occhio la porta d’ingresso, Genny la raggiunse in un attimo ma tra tutte le cose possibili non si sarebbe mai aspettato quello che si ritrovò a guardare.
La statua era cava.
In effetti, la schiena dell’angelo non era stata affatto scolpita e sotto i suoi piedi nascondeva una serie di scalini che portavano chissà dove. Elisa fissava il vuoto davanti a sé, gli occhi sbarrati.
In quel’istante, però, un rumore di vetri infranti li avvertì che la porta d’ingresso era stata forzata. Gli aggressori sarebbero piombati nella cappella da un momento all’altro.
A quel punto Genny fece l’unica cosa che gli parve sensata e scaraventò Elisa di peso all’interno del passaggio segreto.
– Leviamoci da qua, andiamo!- la esortò a mezza voce.
Senza sapere dove conducesse quel sotterraneo, cominciarono a scendere rapidamente i gradini. Poi, improvvisamente, il terreno si fece pianeggiante ma anche allora continuarono a correre per un bel po’.
A un tratto, Genny strinse più forte il braccio di Elisa per farle intendere di fermarsi. Erano entrambi ansanti e grondanti di sudore.
Genny cercò il cellulare per farsi un po’ di luce e guardarla negli occhi. – Come stai?
Elisa annuì ma i suoi occhi erano ancora sbarrati. – Ho capito tutto.
Genny rimase in silenzio per permetterle di spiegarsi meglio.
- Avevi ragione quando dicevi che quella statua aveva qualcosa di strano. L’angelo stava indicando chiaramente l’altra figura alla destra dell’altare. Anche il Disinganno celava un segreto, ma l’ho capito solo ora: l’uomo sotto la rete non guarda il genietto che tenta di aiutarlo ma alle sue spalle. Anche quello sta indicando la statua con il passaggio.
Genny cercò di mantenere la calma, ma si capiva che era agitato. – Aspetta un secondo, Elisa, non siamo nel Codice da Vinci. Siamo a Napoli, in uno stupido museo, in cui le statue non sono altro che stramaledettissime statue o al massimo, come nel nostro caso, un ripostiglio per le scope, non so, un rifugio dai bombardamenti.
Elisa sembrava non averlo proprio sentito. – Leo doveva averlo scoperto e l’hanno preso per questo. Loro non vogliono che i segreti del principe vengano divulgati al pubblico…
- Chi l’ha preso? Chi ha fatto tutto questo?
Elisa lo fissò come se fosse la cosa più ovvia al mondo. – I Massoni.
Genny stava davvero perdendo la pazienza. – Per l’ennesima volta, Elisa, non siamo in un libro di Dan Brown. Torniamo da dove siamo venuti, mi sembra una pazzia proseguire. Ho bisogno di un po’ di campo per il cellulare per chiamare qualcuno, qui sotto non prende.
Elisa, però, non diede risposta. Al colmo dell’esasperazione, il poliziotto le puntò in faccia lo schermo illuminato del cellulare, ma se ne pentì immediatamente. Il volto della ragazza era una maschera di orrore, gli occhi spalancati nel vuoto. Con mano tremante tentò di indicargli qualcosa dietro di lui.
- Finalmente, è da molto che vi stavamo aspettando- fece una voce agghiacciante alle sue spalle.
Senza che potesse far nulla qualcuno scaraventò lontano il suo cellulare e gli diede un colpo alla testa. L’ultima cosa che riuscì a pensare prima di perdere conoscenza fu a quanto fosse stato stupido. Doveva dirle subito che l’amava ancora, che non aveva mai smesso di amarla.
- Elisa…- sussurrò in un soffio, poi, l’oscurità calò su di lui come un velo.






Vetrocristallo - Genesi

E’ in un bisbiglio di specchi
L'orrore adunco
Di fauci ansanti
O piuttosto
L’eco di un cuore
Di vetrocristallo
Franto in cento schegge
Per l’estasi fatale 

 La soglia mi chiama
Il mio nome sulla sua bocca
Ha suono di pioggia

  Lo scrosciare di mondi
A strapiombo
Sul palmo di un bambino
Scuote il modesto universo
Chiuso nella sfera
Di vetrocristallo 

 A scandire il tumulto
La pendola provvede
Col suo eterno ritorno 

 Il petto la segue
A colpi, a onde
GRIDARE
E’ un soffio, silenzio
Nero 

 Lo specchio divora
I muri scolora
Frantuma feroce
In liquidi vortici
Il Vetrocristallo 

 Il cerchio si chiude
La goccia si stacca

Fui uomo
Anche solo un istante?


 Oltre i cancelli del mondo
Ascolto un canto muto
Come di chimera vestita
In carni sovrumane
 
In un moto innato
Ancestrale
Reclino il mio capo
Sul suo petto vibrante
Di verità
Mai pronunciate




Ancora grazie a tutti e alla prossima Storia insieme!




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