Che strana questa notte, così
solitaria eppure così piena di vita. Il lunedì sera che sembra
assonnato ma non lo è, posso vederlo nelle luci ancora accese delle
case, alle cinque di mattina. Sembrano tanti piccoli fuochi fatui,
che danzano e risplendono dentro questo cielo così scuro e cattivo,
nero di pece ed ebano, scheggiato da nubi. Lo percepisce l'anima mia,
inquieta, alla ricerca di un qualcosa che è nascosto dentro ogni
cinque del mattino del lunedì, che è già martedì ma il mio letto
dice di no, che ancora può aspettare il nuovo giorno, c'è da
sognare prima. Mura a sbarrare la mia vista, antiche agli occhi ed al
tatto, dai toni opachi di chi molto ha da raccontare ma poche
orecchie ad ascoltarlo, l'esatta espressione che un muro deve avere.
Ed è tutto antico ed è tutto contemporaneo: ladri e borsaioli agli
angoli delle strade, nascosti nell'ombra della violenza dettata da
necessità, necessità dettata sempre da altri, solitamente baroni o
re, o principi, o attitudine. Cavalieri e massaie si affannano nelle
strade prima di terra, ora d'asfalto; erranti d'ogni tipo si
accalcano sui marciapiedi, cavalli macchine come squali, mosconi e
cavallette, centauri biruote, la plebe, tutti all'ombra di queste
mura antiche eppure ancora in piedi, a delimitare cosa di preciso ora
non si sa, nemici forse, samaritani, venditori di tappeti persiani.
Le chiese abbondano di fedeli ora come prima, clerici vagantes,
appestati e devoti, ed io andavo per i boschi, perchè volevo vivere
fino in fondo, e succhiare il midollo della vita stessa come un
assetato, perchè la paura di voltarmi e vedere che non ero vissuto è
sempre tanta, come prima così ora. E le mura mi parlano, perchè la
notte è fatta per chi sa prestare orecchio: raccontano storie
antiche, di case precedenti alla mia, di anime e corpi transitati per
queste stanze prima che la mia anima stessa fosse concepita, e per
ognuna una storia,una scintilla, qualsiasi cosa. E come prima il
bosco, e dove c'era il bosco ora rimane un albero, e i ricordi
sbiaditi delle carovane passate sotto di lui. Le parole si affannano
e mi sfuggono, perchè gli alberi respirano le nostre conversazioni e
le esalano nel vento, ed ogni nuova stagione raccontano una storia,
nata di primavera, cresciuta d'estate, dormiente di sogni leggeri
d'autunno e bruciata d'inverno, in un funerale vichingo per scaldare
i vivi. La notte si spegne ora, il mattino pallido avanza lento ma
deciso fino all'ora in cui sarà radioso, ed io torno a casa. Un
vento leggero mi tocca la spalla, e mi giro a guardare le mura, e
l'albero, che freme un poco, e in quel fremere posso sentire distinta
una parola, un sussurro:
torna.
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