Alla vita certamente non manca l’ironia.
A quattordici
anni, come tutti i miei coetanei, ho provato poco seriamente a suicidarmi, ma
tutto sommato mi sarebbe potuto scappare di mano e ci sarei potuto restare
secco. Ho fatto snowboard, bungee jumping, ho preso droghe da amici di amici
che avrebbero potuto tagliarle con il DDT, ho guidato ubriaco, ho guidato
arrabbiato, ho seguito una dieta sbilanciata e ricca di fast food, ho fatto
sesso non protetto, ho fumato e bevuto, sono finito in qualche rissa, ho
viaggiato in paesi di cui non conoscevo la lingua e le usanze, ho avuto un
cellulare sempre con me, non ho eseguito controlli medici regolari approfonditi
e costanti, ho mangiato cibi cotti al microonde, e non ho mai pregato. Non ho
chiesto di avere una vita così piena e lunga, ho sempre vissuto nell’ottica che
ogni giorno potesse essere l’ultimo, ma che molto probabilmente non lo
sarebbe stato. Non credo che la mia vita sarebbe stata la stessa se mi avessero
detto che sarei morto a centosettantanove anni.
Sono quasi due secoli, lo so. Ho sempre detto che non mi
sentivo vecchio, infatti ho lavorato fino a centosettantacinque anni fittando
barche su una spiaggia dove i turisti vengono ad ammirare il paesaggio più
bello del mondo. Ho assistito ai funerali di due mogli e numerose compagne, di
quasi tutti gli amici e di mio figlio. Ho assistito al funerale di tutti i miei
nipoti e anche a quelli dei loro figli. Sono di centoquattro anni più vecchio
del mio discendente più vicino, e fino a ieri erano tutti sicuri che lui
sarebbe morto prima di me. Domani il mio discendente più giovane compie
diciotto anni, e non credo che sarò presente alla sua festa. È particolare che
mi chiami nonno, dato che sono il nonno del nonno di suo nonno.
Una cosa che ho sempre amato è il cibo, e ora Nancy è qui
al mio capezzale che mi offre uno dei suoi pasticcini e io sono costretto a
rifiutare, dopo un solo morso mi sento sazio. Li cucina lei, quei pasticcini, e
sono davvero deliziosi. Fidatevi, se lo dice uno che ha avuto occasione di
assaggiare molti cibi diversi. Nancy è la mia undicesima compagna, tredicesima
se considero anche le mie due mogli. Mi sono sempre piaciute le donne più
giovani, anche perché a un certo punto è diventato difficile trovarle della mia
età. Nancy è più di cento anni più giovane di me, e cucina i pasticcini più
buoni del mondo. Credo di averlo già detto, ma concedetemi un po’ di demenza
senile, per piacere. Lei è triste perché rifiuto i suoi dolci, ma ho visto
tante di quelle persone in punto di morte che ormai so bene di cosa si tratta:
il mio corpo si sta preparando a chiudere bottega e non ha più bisogno di cibo.
Rifiuta tutti i solidi e quasi tutti i liquidi, le dico, non c’è da
preoccuparsi. In questo momento mangiare mi fa più male che digiunare, l’apparato
digerente sta facendo il bilancio di fine anno. E io l’ho fatto? Sì, ogni anno,
da quando ne avevo ottantasei, ho aggiornato il mio testamento, principalmente
perché i miei eredi designati morivano. Lei sembra tranquillizzarsi, resta lì e
mi tiene la mano, senza parlare. Sa che ormai il mio rapporto con i vivi si è
ridotto al tirare le somme, sa di essere stata presente in meno del dieci
percento della mia vita, e sa di essere probabilmente l’ultimo dei miei
pensieri.
La sento piangere, mi tocca la mano, avvicina l’orecchio
alla mia bocca e in questo momento realizzo che mi stava chiamando. È normale
anche che io non riesca a muovermi o rispondere, è un altro normale processo
fisiologico, mi sto preparando a staccarmi da tutto. E ho tanto da cui staccarmi.
Mi concentro sulla mano, cerco di stringerla.
Quando mi sveglio lei è addormentata sulla sedia, sento
il vento che mi solletica la pelle anche se porte e finestre sono chiuse.
All’improvviso lei è lì, sveglia, mi sta parlando, sei freddo, e mi stringe
ancora la mano. Mi poggia un lenzuolo addosso e mi sorride, gli occhi velati di
lacrime. Mi guardo le mani, fredde e con le unghie tendenti al blu, e sorrido.
La circolazione sta rallentando, il sangue si concentra negli organi di
maggiore importanza e le estremità si raffreddano, è tutto normale. Ma forse a
lei fa piacere sentirsi utile, allora lascio che mi copra e che mi sorrida
ancora. sorrido anche io, ma sto guardando Scarlett, in piedi dietro di lei.
Questo non è possibile, le tendo una mano anche se
Scarlett è morta anni fa. Scarlett, le mormoro, sei un’allucinazione, è
l’afflusso di sangue al cervello che diminuisce, sei un’illusione, come il
vento che soffiava, ma mentre le dico queste parole i miei occhi iniziano a
lacrimare. È giorno o notte? E dov’è finita Nancy? Scarlett, la mia seconda
moglie, si siede al mio fianco. È uguale a quando l’ho conosciuta, avevamo poco
più di sessant’anni, volevamo amarci, volevamo riprovarci, eravamo spaventati
dalla morte e ancora di più eravamo spaventati dalla vecchiaia, dall’idea di
invecchiare da soli. Abbiamo vissuto insieme poco più di vent’anni, e quando
lei è morta ero convinto che di lì a poco sarebbe capitato anche a me, che dopo
aver organizzato il suo funerale e aver distribuito i suoi averi, l’avrei
raggiunta. Scrissi un testamento, sicuro che avrei dovuto disporre solo dei
miei averi. Inutile precisare che se mi avessero detto che quel testamento
sarebbe stato aggiornato altre novantatré volte perché avrei dovuto disporre
anche dei beni ricevuti da amici, figli e nipoti non ci avrei creduto.
Perché proprio Scarlett? Perché di tutte le persone che
ho conosciuto, di tutte le donne che ho avuto, proprio lei? Osservo la mia mano
sinistra che stira il lenzuolo con un movimento lento, ripetuto all’infinito,
sempre uguale, e chiedo a Scarlett di avvicinarsi a me per ascoltare le ultime
parole che ho da dire al suo fantasma. Chiudo gli occhi mentre lei avvicina, o
almeno io lo immagino, l’orecchio alle mie labbra e sussurro che ero spaventato
all’idea di morire solo. Apro gli occhi, voglio dirle che ho provato davvero ad
amarla, al punto di essere sicuro che sarei morto, come quei vecchi che muoiono
di crepacuore l’uno dopo l’altro, ma lei non c’è più. È di nuovo Nancy che mi
sorride con le lacrime agli occhi e mi dice che non sono solo.
Ecco, questo è un equivoco difficile da spiegare, quindi
abbasso lo sguardo verso la mano sinistra che continua a stirare il lenzuolo.
Come faccio a dirle che parlavo con il fantasma di una donna morta ben prima
che lei nascesse? Come faccio a risolvere tutti i conti in sospeso, a ricordare
tutti gli oggetti accumulati, tutte le persone conosciute, tutti i torti
inflitti e subiti, come faccio a… a risolvere tutto? Sono così stanco
all’improvviso, sono, tutto è così, così difficile, tutto, io non… io non sono
abituato a morire,
COME SI FA A MORIRE???
Cerco di sferrare un pugno sul letto, ma il mio corpo è
così debole, da un giorno all’altro sono diventato vecchio.
Nancy, ti prego, toglimi queste lenzuola, sono diventate
pesanti come il cemento.
Grazie, Nancy, non ti preoccupare, sono solo stanco, non
sto morendo. Anzi, sto morendo, ma non
ora, non in questo esatto momento. La stanchezza è dovuta ai cambi nel
metabolismo, ma non ne posso più di morire, sto morendo da troppo tempo, voglio
che questa cosa finisca al più presto, sono troppo abituato ad essere vivo per
avere una morte così lenta. Voglio andarmene prima che il mio corpo decreti i
tagli a tutti quegli organi che espellono gli scarti, prima che i reni chiudano
per bancarotta e cedano il campo alla pelle come industria leader
dell’escrezione, prima dei sudori e dei pruriti, prima che i muscoli
dell’intestino si rilassino, prima che di cacarmi addosso come un bambino.
Il nipote del nipote di mio nipote entra ora dalla porta.
Domani entrerà nella maggiore età, e nonostante io sia triste all’idea di non
essere alla sua festa sono felice all’idea che non sarò presente neanche al suo
funerale. È un ragazzo molto intelligente, e so che ora mi toccherà dargli un
consiglio di quelli che tutti i vecchi in punto di morte danno ai loro nipoti.
In punto di morte, gli dico, fai i conti con tutto e con
tutti. Una sola questione sospesa ti può tormentare, soprattutto se non hai più
modo di risolverla. Evitalo, gli dico, sii sempre sincero, anche se questo
ferisce le persone. Perché la vita è così, anche se vuoi bene a qualcuno vi
farete per forza del male, anche se credi che una persona sia tutto per te. Le
persone vanno e vengono dalla nostra vita, ed è normale. Se perdi una donna, o
un amico, semplicemente non erano le persone giuste per stare al tuo fianco.
Hai il mio stesso nome, ma non ti auguro la mia stessa sorte. Ti auguro una
vita piena e lunga, lunga come una vita normale.
E mentre lui, molto maturo per la sua età, mi sorride con
amarezza, chiudo gli occhi. Sento la porta chiudersi dietro i suoi passi e la
voce flebile di Nancy che chiama il mio nome.
Non rispondo.
Il momento è sempre più vicino.
Ascolto il mio respiro raschiato e so che ormai sono più
morto che vivo. Il sangue circola più lentamente, anche cuore e polmoni
lavorano a regime ridotto, i muscoli della mia gola sono rilassati e non
puliscono i muchi dalla trachea. Vorrei spiegare a Nancy che non sto
soffocando, ma per fortuna un dottore è qui e lo sta facendo per me. Le sta
parlando del respiro di Cheyne-Stokes, di cui sto dando una magistrale
dimostrazione in questo momento: passo da una respirazione profonda ad uno
stato di iperventilazione, alternando tutto questo a fasi di apnea. L’apnea
causa un aumento dei livelli di CO2 nel sangue, che a sua volta
stimola l’iperventilazione per riportare i livelli alla normalità. A quel
punto, però, la concentrazione di CO2 è più bassa del normale e non
ho più bisogno di respirare, quindi si ritorna all’apnea. È un circolo vizioso che
si spezzerà solo con la morte. Una morte angosciante, ovviamente. Sai che il
tuo momento si avvicina, ma non sai esattamente quanto manca. Non puoi opporti,
non vedi, non puoi lottare in alcun modo, non puoi nemmeno muoverti. E siccome
non sai quanto ti resta, questa morte all’apparenza serena è più angosciante
che essere bendati, legati su una sedia da ufficio bloccata con dei pesi sul
fondo di una piscina che si riempie inesorabilmente.
La mia morte è più angosciante di quella che è toccata ad
Andrey Kapustin.
La mia morte è più angosciante di quella che ho inflitto
ad Andrey Kapustin.
Andrey Kapustin è morto nella sua piscina quando io avevo
sessant’anni. È morto nella piscina dove violentava i bambini che rapiva, nella
piscina dove ha violentato e ucciso il mio primo nipotino. Neanche mio figlio
ha mai saputo che sono stato io ad ucciderlo, a stare lì e guardarlo annegare.
Ricordo la paura nei suoi occhi imploranti, e l’assenza di pentimento che mi
riempiva durante quegli attimi. Ho assistito al funerale di mio figlio, e
vederlo in una cassa di legno non è stato triste come vederlo piangere in
silenzio davanti alla minuscola bara del suo primogenito. Ho fatto ciò che
andava fatto, ho avuto centoventinove anni per pentirmene, ho cambiato punto di
vista sulla vita numerosissime volte, ma su quell’uomo non ho mai cambiato
idea. Non l’ho mai confessato a nessuno, e ormai non posso più farlo. E non ho
neanche intenzione di pentirmi di averlo ucciso. Se la polizia avesse condotto
delle indagini approfondite sarebbe arrivata a me senza grandi difficoltà, se
non l’hanno fatto forse è perché in fondo la morte di quell’uomo era una cosa
giusta. In quel momento decisi di non dirlo a mio figlio perché non volevo
contaminare la sua macabra gioia e la sua sadica consolazione con la tristezza
di avere un padre assassino, con la paura che sarei potuto finire in carcere
per qualcosa che lui avrebbe ritenuto compito suo, colpa sua, per qualcosa che
l’avrebbe fatto dannare per anni.
Solo ora inizio a pensare che forse avrei dovuto
dirglielo. Siamo abituati a credere di poter decidere cosa è giusto e cosa è
sbagliato per le altre persone solo perché siamo più grandi, e io sono molto
abituato ad essere più grande degli altri. Ognuno dovrebbe essere libero di
decidere per sé, eppure con quanta facilità ci arroghiamo il diritto di
scegliere per gli altri, decidere cosa vogliamo che sappiano, decidere cosa è
bene per loro…
Forse, se lo avesse saputo, mi avrebbe ringraziato.
Alla fine dei conti, credo che le bugie e le omissioni causate
dalla mia superbia siano l’unica cosa di cui mi pento. E avere un solo
pentimento, alla mia età, è probabilmente indice di una vita vissuta nel modo
migliore.
Il sogno di tutti è andarsene senza rimpianti.
Ma anche uno solo, in fondo, va bene.
Sono sereno.
Al momento della morte, l’udito è l’ultimo senso ad
abbandonarci. Volto la testa verso Nancy, senza vederla, e mormoro parole. Lei
mi chiede di ripetere, ma la lingua non si muove più. Mi concentro, mi sforzo,
ripeto:
Sono sereno.
E mentre i colori nei miei occhi diventano invisibili e
le mani di Nancy nelle mie diventano impalpabili, mentre tutto svanisce, la sua
voce mi arriva limpida e mi accompagna:
“Buon viaggio.”
6 commenti:
The arrevotation!
Idea originale per genesi, che rende + nuovo il solito tema dei rimpianti post morte et similia.
La storia è sentita, anche se come ti ho fatto già notare a volte non sembra unitaria, però l'effetto è voluto quindi nulla da obbiettare a riguardo.
La scrittura. Essenziale, mai troppi fronzoli, esattamente quello che serve.
Ripeto, the arrevotation!
Be' è a dir poco bellissimo. La narrazione scorre in maniera piana e cadenzata. Inesorabile, proprio come la morte. L'idea è originale e mi piace la struttura a ricordi che, a mio avviso, non mina affatto alla sua unitarietà. Se proprio devo trovarci un difetto mi hanno un po' stuzzicato le parti che descrivevano l'effetto fisico dal punto di vista medico della morte; per fortuna ad un certo punto le hai messe in bocca al medico. Io le avrei ridotte all'osso quelle descrizioni lì. Per il resto è perfetto, bravo!
Vabbè, ormai quando leggo quello che scrivi sono rassegnata all'emozione.
Oltre alla commozione finale, è stato per me interessante perché hai scritto un sacco di cose che penso e che provo e che mi mettono ansia giornalmente, in sostanza... Insomma, bravo, sono quasi le 4 del mattino e ti voglio bene.
Solo una cosa: "ho sempre vissuto nell’ottica che l’ultimo giorno potesse essere l’ultimo", ehm, che ogni giorno potesse essere l'ultimo, giusto? XD
=*
Sì, quello! L'ho corretto :D
Comunque grazie a tutti dei complimenti, siete belli <3
(Il succo di questa confusissima recensione, formulata con strutture sintattiche dubbie, è che secondo me la storia è bella)Prima di tutto, mi piace chi scrive con uno stile rapido, scorrevole, senza fronzoli, senza troppe descrizioni, senza abbellimenti, insomma che va a centrare subito il nocciolo delle questioni senza giri di parole, rendendo la scrittura qualcosa di concreto. Insomma, lo stile tuo. Però sono delle frasi piccole a farmi impazzire, ad esempio " Nancy è più di cento anni più giovane di me"
"Siamo abituati a credere di poter decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato per le altre persone solo perché siamo più grandi, e io sono molto abituato ad essere più grande degli altri."... che suonano proprio bene all'orecchio (non trovo un altro modo meno stupido per spiegarlo, comunque la sensazione è quella).
Forse mi sarebbe piaciuto leggere anche un episodio relativo alla sua infanzia, sarebbe stato interessante ritrovare uno scenario di un bambino cresciuto quasi due secoli fa.
Toccante ma per niente sdolcinato. APPROVED.
(Il tentato suicido poco serio e l'ipotesi di droghe tagliate col DDT m'hanno garbato assai.)
east dwaynes!
E riguardo tutto ciò...
i brividi all'ultima frase.
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