Citazioni


venerdì 8 febbraio 2013

Chiudi gli occhi


Erano circa le diciannove, quel lunedì che mi trovavo, come mio solito, nello studio dell’ultimo piano dell’edificio universitario. Era da un po’ iniziato il tramonto e l’aria era così fresca. Da quella finestra si scorge un panorama che, davvero, probabilmente le parole che userei non sarebbero mai quelle giuste per delinearlo nel dettaglio. Sono anni che insegno in quell'ateneo e certe volte, seriamente, dovrei odiare quello studio: continuamente invasa da documenti da firmare, studenti totalmente incompetenti che ti pongono quei quesiti così stupidi e se la fanno sotto per un esame; domande sempre uguali che intasano la casella di posta elettronica. Sempre le stesse domande. Non capisco, a volte è come se dovessero imparare a campare prima di affrontare esami e sedute di laurea.  Ci sono poi quelli che ti propongono di seguire la loro tesi di laurea e tu devi accettare anche certe banalità che è meglio non stare qui a descriverle; studenti che si sentono scienziati e noi docenti dobbiamo continuare a farli sentire tali. Ma, non vorrei divagare … Cioè, quello studio è uno strazio, sì! Ma è anche vero che c’è quel panorama e credetemi, di primavera è ancora più bello: mi affaccio e c’è un balcone di un appartamento dell’edificio di fronte, che trabocca gelsomini dalla ringhiera, quasi fosse un’opera d’arte, e … il profumo! In quel periodo apro sempre la finestra a fine giornata per godermi quel balconcino profumato e colorato e i contorni delle colline insediate da edifici storici che arrivano a sfiorare il mare. Spesso si sentono i gabbiani che fanno sosta sui tetti della città per poi tornare al porto per cena. Ecco, quella sera era precisamente così. Sembrava che la natura avesse capito precisamente cosa mi servisse. Roteai di centottanta gradi sulla mia sedia girevole, mi sbottonai la giacca, mi scalzai solo delle ballerine rimanendo in sottili gambaletti color carne (ricordo ancora il freddo del pavimento), infine aprii la borsa e tirai fuori il pacchetto di sigarette, quindi ne estrassi una e l’accesi. Fuoco. Tiro. Schiocco di labbra. Caccia fuori.  Facevo boccate di fumo profonde. Sapete, aiutano a distendere i nervi, e poi … poi c’era quel dipinto, la mia vacanza giornaliera. Lentamente socchiusi gli occhi e con le dita massaggiai inizialmente le estremità degli occhi, poi stropicciai leggermente questi ultimi per infine far scivolare le due dita lungo le pareti del naso. Quella sera mi ero trattenuta un po’ di più del mio orario di ricevimento, perché sarei dovuta andare ad un convegno all'Hilton. Avevo con me il vestito da sera e delle scarpe con tacco modesto: mi sarei dovuta solo cambiare. Generalmente vado pazza per quelle serate piene di menti interessanti da tutto il mondo, e io una delle più giovani, suscito sempre una gran curiosità. Mi guardano con rispetto e ogni tanto con un pizzico di timore. Le vecchie generazioni di ogni periodo storico provano sempre un po’ di paura e di invidia nei confronti di un giovane. Che possa rubargli la scena? Dopotutto, lo so bene che in ambiente universitario è sempre così. Dicevo, generalmente vado pazza per queste serate, ma quella sera proprio non ne avevo voglia. Non volevo sentire nessuno blaterare le solite stronzate sui massimi sistemi, accompagnati da bicchieri di Champagne e tartine al caviale … poi tutti che  ti mettono al centro dell’attenzione e il porco di turno che ti spoglia con gli occhi. Mi fa ridere.

 AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH.

Sembra la descrizione di una riunione di partito, in casa di un presidente italiano. Dovrei ciucciarlo per una pubblicazione importante? Se lo scordassero. Io ho le mie qualità. Un neurone femminile ben sforzato tira più di un pelo di figa. Chi lo dice? Io.

Oh, mon dieu! Pensavo a quel vecchio porco di Dufour, a quando bastava che impostassi una voce leggermente un po’ più profonda e si perdeva totalmente, con quella bocca semiaperta da vecchio rimbambito rinchiuso in un ospizio. Cioè, ci credereste? Uno dei più grandi studiosi della letteratura francese contemporanea, riconosciuto a livello internazionale, che durante un convegno, tra la lettura di un articolo e l’altro, tra un sorso di Champagne e l’altro, se lo fa venire duro per la voce suadente della sottoscritta. Sto parlando di naturalissimi suoni provocati dalla vibrazioni di pezzettini di carne. Certo che basta davvero poco per mettere in moto gli ormoni. Mi alzai, feci l’ultimo tiro di sigaretta e la buttai via, quindi mi avvicinai alla borsa, l’aprii e cacciai fuori il vestito. Era forse il vestito più bello che avessi potuto permettermi: nero, scollato sulla schiena, lungo e con una spaccatura sul lato destro. Era spaccato al punto giusto, non eccessivamente vistoso. Mi sbottonai prima la giacca e poi la camicetta e con un po’ più di difficoltà il jeans. 

Avevo messo un po’ i fianchi. Non troppo, intendiamoci, ma giusto per darmi un po’ di difficoltà a sfilare il jeans. Che poi tanto non c’era nessuno ad aspettarmi a casa e dirmi, Tesoro sei bella lo stesso con questi fianchetti tondi, oppure qualcuno a cui non andassero a genio, qualcuno per il quale mi sarei dovuta fare più bella. Mi facevo bella quando capitava. Sono una donna indipendente io. Cioè, voglio dire, io non voglio gabbie familiari, non voglio essere la proprietà privata di un uomo. Stira lì, bada a Giada colà, prepara il pranzo della domenica e ma … i fianchi son brutti. E’ banale a dirsi, ma è brutta la vecchiaia. Certo, non che sia propriamente vecchia, ma sicuramente non sono più fresca come una mela e con il tempo lo sarò sempre meno. Ci saranno eserciti di giovani fresche, che lo faranno venir duro a Dufour al posto mio. E io cosa sarò? Un ricordo? Neanche, la carne fresca fa dimenticare qualunque altra carne fresca uscita dal passato. Non sento più niente quando scopo. Cioè nel senso che, non che sia frigida, ma manca qualcosa. Manca la curiosità della scoperta. Già so cosa mi provocherà quella posizione, già so cosa mi aspetterà. 
Rimasi in brasiliana e reggiseno, quindi con facilità indossai il vestito. Mentre ripiegavo la camicia e il jeans, sentii bussare alla porta dello studio. Rimasi per qualche secondo perplessa poi mi rivolsi all’avventore ignoto dicendo di aspettare. Dopo aver messo tutto nella borsa corsi dietro la scrivania scalza. Gli dissi di entrare. Entrò. Era un mio tesista. In quel momento ero distratta, confusa, non lo riconoscevo. Non ricordavo bene se era D’Andrea, Grossi  o forse ... Pertone! No, quello era venuto qualche ora prima … però certo, che vergogna mi aveva assalito in quel momento. Non ero in tenuta da ricevimento, avevo un abito da sera! Anche lui sembrò sorpreso; Mi scusi per l’orario, ma dovevo farle firmare il modulo per l’esame di laurea, mi disse. Oh! E che poteva mai essere … Ecco! Era D’Alessandro! Sì certo, non si preoccupi, mi dia qui, gli risposi io, Anzi si accomodi, continuai. Il suo sguardo diventava sempre più curioso e indagatore, io lo seguii con lo sguardo finché non prese posto e mi porse il foglio. Cercavo di cacciare via l’imbarazzo. Dopotutto avevo tutto il diritto di indossare quello che volessi, era il mio studio. Dio! In quel momento una folata di profumo, non esagerato, giusto un’essenza sottile, al retrogusto di agrumi, era come se si fosse infilata su per il naso, senza diffondersi, semplicemente accarezzando il mio senso dell’olfatto. Era come se, mentre firmavo quel modulo, avesse catturato la mia attenzione. Io… io … non riuscivo ad ascoltare quello che mi stava dicendo, erano un’accozzaglia di parole che riguardavano la letteratura francese: la visione della donna … Flaubert … il naturalismo … Madame Bovary o chissà chi … le madeleines … un omosessuale che … cioè Proust … e sì l’educazione sentimentale, poi Sade e orge di violenza con la pala. In quel momento sentivo queste parole e basta. Il mio naso era il mio cervello. Un attimo dopo ed ero in un aranceto, avevo quattordici anni e faceva caldo. Avevo un vestitino floreale e mi ritrovavo lì a passeggiare per le terre dello zio. C’era mio cugino, Renato e … quanto l’avevo sempre odiato fino a quel momento! Si credeva chissà chi e mi guardava con sufficienza, ma poi non so cosa successe: un po’ il caldo, un po’ gli ormoni. Un secondo, andiamo in ordine. Lo vidi. Era qualche albero più avanti a raccogliere le arance. Era a torso nudo. Il suo corpo era bellissimo: una statua greca, era sudato. Il movimento del suo bicipite mi fece scattare qualcosa. Quella dannata pallina di muscolo che si tendeva e si distendeva ad ogni movimento. Tutto ad un tratto sentii qualcosa di nuovo. Respiravo a fatica e mi sentivo pulsare. L’avrei voluto toccare ma lo guardavo soltanto. Allora le mie mani andarono da sole, verso il calore. Mi sfregai per caso in mezzo alle gambe. Lì c’era il fuoco, qualcosa che non riuscivo a definire. Le mie mani divennero più curiose. Mi accovacciai dietro ad un albero e  esplorai con le dita sotto al vestito. Giunsi alla mutandina. Ero bagnata? Ma che diavolo significava? Io non dovevo andare in bagno … cioè però quelle carezze, erano piacevoli. Non mi avevano detto proprio come funzionasse, e in realtà non volevo farlo. Era un fatto di principio ma … intanto era bello. Superai l’ostacolo di pizzo, più per curiosità e c’era un lago, come il torso nudo di Renato, liscio e bagnato. E come si muoveva quel Renato! Cosa si faceva adesso? Ah, forse così … qui mi solletica un po’. No, ecco, è qui. E’ questo il punto. Insistevo sfregando le dita che scivolavano come se ci fosse dell’olio. Pensavo di nuovo a Renato. Perché non mi toccava lui lì? Volevo sentire il suo sudore, e le sue mani sporche di agrumi. 
Oddio quel punto è fantastico. Perché non l’ho mai fatto prima? Dio. Sì. Dio. Sì. 
Aspetta.
Ero nel mio studio. Avevo caldo. C’era D’Alessandro, ma cosa diavolo mi succedeva?
Mi alzai, presi un libro che ricordavo avrei dovuto dargli già da tempo e lo faci scivolare sulla scrivania. Feci un sospiro. Lui iniziò ad arrossire, probabilmente aveva notato la mia scollatura dietro la schiena o che-diavolo-ne-so, avrà sentito il mio sospiro. Il mio sguardo era rapito come d’improvviso dalla sua mascella accentuata. Aveva proprio dei bei tratti. La barba non fatta poi … sentivo quanto fosse pungente solo con lo sguardo. Io potevo essere sua sorella maggiore. Ormai a questa età mi resta solo questo? Sbavare dietro ad un tesista? Comunque, la barba ispida, ero sicura fosse ispida, perché poi improvvisamente avevo quindici anni. Ero su un letto, in braccio ad un ragazzo. Si sentiva una musica ad altissimo volume provenire da un'altra stanza. Ma certo! Era la festa di Silvia. Quello era il mio ragazzo e gli accarezzavo la barba. Mi eccitava questa cosa. Era di almeno sei anni più grande di me. Non ricordo il suo nome ma ricordo il suo pelo. Iniziò a baciarmi sul collo. Il bacio era umido; mi leccava e mi mordeva. La mia mano scese sotto la sua camicia e il suo petto aveva il pelo al punto giusto. Era bello: era un uomo. Non con tutti quei brufoli in faccia che avevano i miei coetanei. Non diceva una parola. All’improvviso la mia mano che accarezzava i suoi muscoli addominali, fu presa da lui con delicatezza e fatta scendere più giù. Non avevo mai toccato un uomo così. Mi eccitava l’idea. Sotto al denim dei pantaloni sentivo solo una protuberanza. Qualcosa che riempiva quella parte vuota. Lo accarezzai per un po’. Ma non mi diceva niente. Allora gli sbottonai i pantaloni. Era quello che voleva. Lo cacciai fuori dai boxer. Non era molto diverso da quelli che avevo visto in video o in foto. Era tutto fiero, all’insù, come se aspettasse chissà cosa. Era duro e caldo. Non sapevo bene cosa fare. Lui lo capì e mi direzionò. Mi fece avvolgere l’asta con la mano e poi iniziò a far muovere la mia mano lentamente su e giù. Successivamente prese l’altra mia mano facendomi scendere a massaggiare più giù. Io non capivo. Non mi piaceva per niente. Continuai a farlo da me. Lui sospirava. Gli piaceva? Non mi diceva niente. Mi stavo annoiando. Perché non mi ricambiava? Diventai più veloce, così che finisse. Fu felice. Lo lasciai il giorno dopo. Mi mancava solo la sua barba ispida. 
Riaprii gli occhi. Gli occhi della mia mente. Tornai alla realtà. Era realtà? D’Alessandro era ancora lì e fissava il mio pacchetto di sigarette. Vuoi una sigaretta, gli chiesi. Esitò. Accettò. Sì, mi disse. Certo, perché no? Siamo due persone normali. Non sono la sua maestra delle elementari che non posso offrirgli una sigaretta. Che cazzo, lo saprà da solo che si brucia i  polmoni, non sono mica affari miei. In realtà pensavo a quanto mi piace il sapore di tabacco appena fumato nella bocca dell’uomo, del mio uomo. Io non avevo un uomo. Non sono mai stata di nessuno. Loro sono stati miei per una notte, tre, sette … ma-cche-so al massimo un mese. La ringrazio, a presto, mi disse. Io lo fermai: Lo hai un accendino? Cercò nelle sue tasche, prima la sinistra poi la destra, poi nel taschino della giacca, accompagnandosi con un leggero sbuffo. Prego, mi disse. Grazie. L’accesi da me, quindi feci come per accendere anche a lui. Mi avvicinai. Tesi il braccio verso la sua bocca. Ti va di farmi compagnia? Ché aspetto un taxi entro le otto, gli dissi. Fece cenno di sì con il capo, quindi infilò la sigaretta tra le due labbra. Feci pressione sul tastino, se non sbaglio era un Clipper, non c’era nessuna sicura-bambino … ma non è questo importante. Importante è che qualche secondo dopo eravamo lì di fronte a contemplare il tramonto su un mare leggermente mosso e a fumare delicatamente, con il mio, sì … non propriamente mio, ma che vorrei fosse mio, balcone di ciclamini profumati. Non parlavamo per nulla e per un secondo lo guardai, avvicinai la mano alla sua mascella come se avessi trovato qualcosa su quel viso barbuto e lo baciai. Chiusi gli occhi. Le sue labbra erano calde e umide. Ma volevo la profondità … non avevo più il controllo di me. Gli infilai la lingua dentro e c’era quel fantastico sapore di fumo-tabacco_____________ Aprii gli occhi e mi ritrovai in una macchina. Era notte. Un panorama fantastico. Non ricordavo assolutamente dove fossi, né con chi fossi. Chi diavolo era quel tizio a fianco a me? Rideva. Anche a me veniva da ridere senza motivo. Ero ubriaca. Ragazzina ubriacona ero a quei tempi, come se adesso fossi cambiata molto poi! Ero confusa, ma allegra; eccitata molto. Lui poteva darmi calore, mi abbracciava. Aveva un abbraccio protettivo. Mi baciava, mi mordeva, mi toccava prima il seno poi il capezzolo e  ero tutta bagnata. Lo volevo tutto. Lo toccai, lo sbottonai. Succhiamelo, mi disse ridendo. Risi anch'io. Dovevo? Sì, perché lo volevo e lo volevo voglioso a sua volta. Iniziai quel movimento che mi ricordava quello che i piccioni fanno con la loro testolina, mentre camminano. Avanti indietro, avanti e indietro … roteavo la mia lingua, la piegavo, attorcigliavo nuovamente come un serpente stritolatore attorno alla sua preda. E sentivo i suoi gemiti di piacere. Mi eccitava questa cosa. Ma poi rallentai, avevo la nausea, troppo alcol … un conato di vomito. Ma era troppo tardi________________ _____ ___ __ _ Ero lì a baciare D’Alessandro. Con la sua bocca che sapeva di fumo. Era passionale, forse … dolce. Mi accarezzava i capelli dietro la nuca. Un ragazzino che mi insegna cosa possa essere la dolcezza. Io voglio la dolcezza, mi chiesi. Non l’ho mai voluta, mi risposi tempestivamente. Mi accarezzò dietro l’orecchio. Mi venne un brivido. Lo spinsi via. Mi dispiace, è stata colpa mia, gli dissi. Ma come? Tentò di replicare. Alzai la mano, abbassai lo sguardo. E’ sbagliato, io ci lavoro con te, non possiamo lasciarci andare così, gli dissi fermamente convinta. Sguardo basso anche lui. Tentò di accarezzarmi la mano. La ritrassi, quindi andai a prendere una sigaretta. Volevo solo un po’ di bruciore nei polmoni. Adesso vai, gli ordinai. Eseguì. La porta si chiuse e io chiusi gli occhi.

Solleticò i miei timpani qualche nota musicale. Era un altro tuffo nel passato? Non saprei. Distinguevo_______solo___________un__________violino___________________________________________________ sì.
Quant’era bella. Ricordavo perfettamente quella sonata per violino. Era “Il trillo del diavolo” di Giuseppe Tartini.
Riaprii gli occhi. Era fantastico. C’era l’uomo della mia vita … anzi quello che pensavo sarebbe potuto esserlo. Ma in quel momento era nudo e plastico sopra di me, con qualche ciuffo di capelli che spuntava sulla destra e poi sulla sinistra del capo. Oddio, era fantastico. Più forte, gli dicevo ogni tanto. Lui eseguiva inarrestabile come un treno. Era dentro di me e si espandeva mentre io lo stringevo. Mi stimolava anche solo sfregandosi … poi mi baciava il seno. Basta. Ero Io, che gli dissi, devi stare così, adesso. Stenditi, gli dissi. Lo montai. Così sì che impazzivo. Pensavo che fossimo unici, che avessimo potuto insegnare ad amare al resto della popolazione del mondo, perché loro non conoscevano quello che riuscivamo a provare noi due, insieme, soli. Quella musica mi faceva muovere ad un ritmo sempre più veloce. Se avesse saputo il maestro Tartini … e al diavolo tutto il resto, pensavo. Sei una dea, mi ripeteva. Sei una dea. Lo ripeté  ancora per non so quante volte, lo ripeteva ansimando sempre più. E io che diventavo sempre più un fuoco. Lì, tra le gambe, pulsavo e bruciavo. Dio, che sensazione. Bastava che mi sentissi sfiorare le natiche, i seni o l’inguine e … cazzo! Che piacere. Mi ritrovai con gli occhi chiusi. Il violino mugolava. Io gemevo, ed era una sinfonia. Mi eccitavo solo ascoltando il mio gemito. Il calore era insostenibile e io non riuscivo a fare altro che andare più veloce. Più veloce. C’era una voce che lo diceva. Più veloce! Più veloce! Oh, sì, sì, sì, sì. S-ì-ì-ì-ì-ì-ì-ì-ì. Per me poteva anche scoppiare una guerra, ma io lì non mi sarei  più fermata. Sempre più veloce. Era perfetto. Vengo, dissi. Sto per venire, ribadii. Sto venendo. Arrivo. Voglio scoppiare. Potrei anche stare sotto le bombe della terza guerra mondiale, al diavolo. Uccidetemi pure. Vengo. Vengo. Ecco, è quasi fatta. Ecco. Dio! Dio santissimo! Oh, sì---------------------------------------------------------------------------------------------- ----------- -------- ------- -------- --------- --------- --------- --------- --------
----- ----- ---- --- --- -- - - - - - - Ripresi respiro. Rilassai i muscoli. Non ero più bagnata solo di me. C’era lui sotto di me e dentro di me. Mi ero totalmente dimenticata di lui. Era stato troppo breve. Lui non mi sembrava più bello come prima. Mi distesi. Mi chiese se mi era piaciuto. Gli risposi di sì e che l’amavo. Lo baciai a stampo. Mi girai dall’altro lato e fissai la finestra. Era un pomeriggio piovoso. Sospirai e pensai che era stato l’orgasmo più bello della mia vita. Eppure mancava qualcosa in quel momento. Sarei voluta tornare indietro e replicarlo in eterno. Dopo quel momento niente aveva più senso. Eppure mi sentivo svuotata. Lui mi abbracciava e mi baciava delicatamente. Mi stringeva forte, mi stava amando ancora. Mi stava amando. L’avrebbe potuto fare per il resto della vita. Ma io lo volevo? Sospirai. Quella notte non dormii. Quella notte invecchiai. Alle sei di mattina chiusi gli occhi e ...

7 commenti:

Bob ha detto...

mi è piaciuto. la scena della fellatio in macchina con annessa vomitata è sublime. mi sono piaciuti i dettagli, del muscolo che si contrae, della barba, del tabacco. se si potesse esprimere razionalmente il pensiero di una donna credo che penserebbero così. e poi la sperimentazione dei trattini ha il suo perchè. lei è all'avanguardia, dottore!

Arhal ha detto...

Grandeee prof-studente è tra i miei preferiti *___*
Molto bello il racconto a flashback, mette ansia, ma interessa.
Forse c'erano un po' troppi "dialettismi" XD e un po' troppo la sensazione di parlato...
Non so... "IL PANTALONE"... XD

Però per il resto approvo.
Anche se avrei preferito che si fosse fatto lo studente v.v

Anonimo ha detto...

Hai riportato perfettamente i ricordi erotici che attraversano la mente di molte donne. Mi piace molto il tuo modo di raccontare, la tua padronanza lessicale e come hai mescolato perfettamente realtà e ricordo…senza rendere difficile il passaggio! E poi la BARBA…impossibile resistere alla barba xD!
Concordo con Arhal…se si fosse fatto lo studente sarebbe stato il massimo!! (e so che sarebbe piaciuto anche a te :P)

Chiara ha detto...

chiedo perdono per il ritardo del commento.... <3

comunque è davvero simpatico, concordo con bob sull'attenzione ai dettagli, l'ho apprezzato molto perchè spesso lo faccio anche io nella realtà e questo ha contribuito a far assumere credibilità al racconto scritto da un uomo ma da un punto di vista femminile. Bravo :)

Velin ha detto...

Ho trovato, a causa della punteggiatura un pò difficile seguire il ritmo del racconto. E il personaggio usato come protagonista mi è sembrato un pò troppo artificiale. Ma per il resto, mi è piaciuto molto su come sei riuscito ad immedesimarti nel punto di vista femminile. I dettagli sono proprio quello che, purtroppo xD, alle donne non sfugge mai!

pseudonimo figo ha detto...

Arciduunque...
1)recensisco come la merda, quindi magari dovrai rileggere il tutto due volte perché alla prima ti sembrerà fottutamente confuso, -però il succo è che mi è piaciuto
l'incipit mi è parso un po' lento, ma a un certo punto è come se la storia si "risvegliasse", si entra, il ritmo inizia a correre (anzi, a galoppare. no doppi sensi, ça va sans dire) e finisci col divorarla. Ho apprezzato moltissimo i flashback, specialmente i primi tre, quando lei era più giovane (quello nell'aranceto è perfetto) e anche il fatto che riesci a descrivere situazioni erotiche senza il bisogno inserire termini - che in altre lingue magari manco suonano così stupidi- che, letti, mi darebbero una sensazione di ridicolo e farebbero crollare tutta la sensualità della scena, o quando proprio sono necessari sei capace di sostituirli con sinonimi adatti.
Hai la sensibilità tale da riuscire a vedere il sesso con gli occhi una donna, gran cosa
ps: passera

sempre pseudonimo figo ha detto...

"si entra" volevo dire "si entra nel vivo" -___-