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sabato 16 febbraio 2013

awareness


A Bob,
come da promessa.



Il buio era denso, quasi palpabile.
La sensazione di poterlo afferrare era aumentata dalla consistenza stessa dell'aria: piena di odori, fumi, spezie, forse incensi.
L'aria era inspiegabilmente calda, nonostante non vi fosse in quella stanza alcuna fonte di calore e la stagione fuori non fosse molto mite.
L'unica sensazione di freddo le proveniva dall'unico punto di contatto con il mondo circostante: il pavimento. Sembrava in marmo, lo sentiva liscio sotto le sue ginocchia coperte dal velo dei collant.

Ormai il suo respiro si era calmato: all'inizio era affannoso per la paura, il terrore e per la difficoltà di respirare attraverso il fazzoletto che le copriva la bocca, ma che inevitabilmente finiva per tapparle in parte anche le narici.
Poi, molto lentamente, si era calmata, le lacrime avevano smesso di sgorgarle dagli occhi e sbavarle il trucco, oltre che a peggiorare ulteriormente la sua respirazione. Iniziò ad usare il cervello, a capire come era arrivata lì e come poteva uscirne.
Ma non aveva fatto molta strada: era al buio, in ginocchio a terra, imbavagliata, con polsi e caviglie legate.

Non sapeva definire quante ore fossero passate, ma dubitava fossero molte perchè non provava ancora nè fame, nè sonno.
In realtà tutti i suoi sensi erano annullati: la vista, il tatto, l'udito, il gusto... Tutti tranne l'olfatto, che continuava a percepire profumo di incenso.

La sua situazione poteva apparire tragica, ma in fondo adesso non provava più paura: quello che sentiva era un misto di adrenelina ed eccitazione che le mantenevano la mente sveglia alla ricerca di una soluzione per la situazione in cui versava.
Ma, infine, i suoi pensieri vennero interrotti.
Una porta nel buio si aprì lasciando trapelare un po' di luce che, per quanto lontana e soffusa, la accecò e stordì.
Dovette battere più volte le ciglia, già impastate dalle lacrime seccate e il trucco sciolto, prima di riuscire a vedere.
Appena sollevò la testa dalla sua posizione ranicchiata la prima cosa che vide furono due ginocchia che calzavano dei jeans blu, molto scuri.
Istintivamente alzò la testa e lo vide.
Era lui, era proprio lui, non c'era dubbio, non si era immaginata tutto: era stato lui a condurla in quel luogo.
"Dove sono?" provò a dire, avrebbe voluto urlarglielo, ma quello che ne uscì fu solo un mugugnio indistinto per via del pianto sommesso a cui erano state sottoposte le sue corde vocali e per via del bavaglio che, stupidamente, aveva dimenticato di avere sul volto.
Lo sgomento la invase di nuovo e gli occhi le si inumidirono ancora. Cercò di dimenare i polsi, le caviglie, non tanto perchè sperasse di liberarsi, ma quanto per lanciare un messaggio all'uomo che suonasse come un "ti prego, liberami".
Lui, dal canto suo, restò a fissarla qualche istante mentre si rendeva, probabilmente, così ridicola, poi andò in un angolo della stanza e accese diverse candele, con calma, una alla volta, fin quando il luogo non fu pieno di una tenue luce, ma abbastanza da vederci. A quel punto richiuse la porta e si sedette su una poltrona non lontana da lei che era apparsa dall'oscurità.
Lei continuava a fissarlo con sguardo implorante e lui continuava a fissarla con sguardo divertito.

Infine aprì un cassetto del mobile affiancato alla poltrona e ne tirò fuori un coltello.
La donna sbiancò: non poteva arrivare a tanto, non poteva andare così.
L'uomo si alzò, le si avvicinò e si ranicchiò accanto a lei, dopodichè la afferrò dai capelli, tirandoli e facendola gemere, facendo sgorgare nuove lacrime e, al contempo, abbassando il bavaglio, scoprendole la bocca e baciandola con ardore, forzandole le labbra con la lingua, solo come uno scassinatore apre di violenza una porta ben blindata. Lei provò ad opporre resistenza, dimenandosi, mugugnando, ma la presa sui capelli era salda e ogni movimento del capo troppo brusco veniva ripagato con una stilettata di dolore dritto nel cuoio capelluto.
Infine il mulinare di quella lingua nella sua bocca cessò e lei si ritrovò senza fiato e con la voce ancora tremula quando provò a dire "ti prego, lasciami andare!", come se lo volesse gridare via dal petto. L'unica risposta che ottenne fu un sonoro schiaffo in viso, non tanto forte da tramortirla, ma abbastanza da farle sentire pulsare e bruciare la zona colpita. A quel punto le lacrime scorrevano nuovamente copiose. L'uomo si flettè in avanti e con il coltello taglio con un gesto rapido e sicuro le corde che le tenevano fermi polsi e caviglie; poi slegò definitivamente il bavaglio e gettò tutto lontano da loro, anche il coltello.

Avrebbe voluto alzarsi, scattare in piedi e correre via, ma non ce la fece: le gambe le tremavano e il cuore le batteva all'impazzata.
L'uomo si alzò e tornò a sedersi sulla poltrona, riprendendo a fissarla.

Ci mise qualche minuto a riprendersi e la prima cosa che fece fu guardarsi, guardare i propri abiti, le proprie gambe, le proprie mani, inspiegabilmente di nuovo libere; indossava ancora il soprabito che aveva quando era uscita fuori.
Il suo stupore, il suo terrore furono interrotti dalle parole dell'uomo: - Avanti, alzati. -
La sua voce era dolce e calma in modo impossibile per quella situazione. La donna quasi sgranò gli occhi, ma non perse l'occasione e lo fece: le gambe le tremavano ancora, ma capì che alle sue spalle c'era un muro non troppo lontano, così indietreggiò e si appoggiò con le braccia e parte delle spalle ad esso.
- Molto bene. -
Seguirono lunghissimi istanti di silenzio in cui lui non le toglieva lo sguardo di dosso, sorridendo in modo enigmatico e lei si guardava attorno, smettendo lentamente di tremare e dando di nuovo dignità al suo volto, o almeno così credeva, asciugandosi le lacrime.
Per ultimo puntò gli occhi sulla porta.
In quel preciso istante l'uomo parlò ancora:
- Adesso levati quel soprabito. -
Le parole le risultarono quasi conviviali: sembrava che fosse stata invitata a prendere un thè e la sua amica le chiedesse in modo simpatico il soprabito per appenderlo all'ingresso.
Deglutì e per qualche secondo l'unica cosa che percepì fu il battito del proprio cuore.
Ciò che la inquietava di più era il suo sguardo: calmo e impassibile nonostante la situazione.
Lo assecondò e si tolse il soprabito, ponendoselo ben ripiegato sul braccio.
L'uomo si lasciò sfuggire un ghigno di approvazione.
- E ora la gonna. -
D'istinto la donna guardò le proprie gambe, come se chiedesse incosciamente "questa gonna?!", subito dopo rispostò lo sguardo su di lui, con un'espressione di stupore e paura.
L'uomo captò questi segnali e ribadì, con lo stesso tono calmo e freddo di prima:
- Levati la gonna, ho detto. -
Il cuore riprese a batterle all'impazzata e le membra ripresero a tremarle, tanto che il soprabito le scivolò a terra dal braccio e le lacrime ricominciarono a scorrere.
Con le mani più tremanti che mai si portò le dita alla cerniera laterare della gonna, la abbassò e lasciò che questa scivolasse a terra, per poi trarne un fuori con delicatezza, per paura di cadere dal tremore delle sue ginocchia, prima un piede e poi l'altro.
Era spaventata, ma l'imbarazzo ancora non la pervadeva poichè indossava una sottoveste di seta rosa al di sotto dei vestiti che la copriva fino a metà coscia.
L'uomo annuì debolmente, ma subito incalzò:
- La camicia. -
Brusco, senza aggiungere altro.
Lei aveva ormai capito e se la tolse, sbottonandola velocemente per quanto il tremore glielo permettesse, rassicurata dalla sua sottoveste che le avrebbe comunque coperto il busto, come un vestito.
La camicia scivolò giù dalle braccia al suolo, vicino alla gonna e al soprabito.
A quel punto lui sembrò rilassarsi.
Si abbandonò sulla poltrona, con una grande espressione di soddisfazione, sembrava stesse per scoppiare a ridere.
E rimase lì, per un tempo indefinito, sicuramente più di qualche minuto.

Un brivido percorse la sua schiena, ormai seminuda.
La consapevolezza che poteva andarsene in qualunque momento, ma invece era ancora lì, in sottoveste, a fissarlo.
Iniziava a sentirsi in imbarazzo, cambiò posizione strofinando le gambe fra di loro, come per riscaldarle.
Percepiva ancora il velo dei collant, sebbene guardandoli prima si accorse che fossero strappati in più punti; percepì una sensazione di pesantezza sulla schiena e sui polpacci per via dei tacchi che ancora indossava; percepì umido e caldo dentro le sue mutandine.
Lentamente un rossore le tinse il volto e il collo, ma era comunque troppo buio perchè lui se ne accorgesse.
Trascorse così del tempo inquantificabile.

Infine, però, il momento giunse:
- Levati la sottoveste. -
Il suo volto era tornato serio, la sua voce calma, ma stavolta lei non ubbidì: tutta quella nuova consapevolezza l'aveva resa, anzichè più forte, decisa, fredda, più vulnerabile.
 "No, ti prego..." provò a rispondere con cautela, anche se avrebbe voluto urlarglielo contro, ma le sue parole fuoriscirono ancora una volta troppo flebili, insicure.
Solo a quel punto lui scattò in piedi, in una maschera d'ira e le gridò contro con tutto il fiato che aveva in corpo:
- LEVATELO, HO DETTO, SGUALDRINA! -
Il cuore le balzò in gola, martellando, nel terrore, nell'eccitazione.
Gli occhi le si inumidorono ancora una volta, ma stavolta non furono da soli a farlo.
Tremando come una foglia si abbassò le spalline e provò a farsi scivolare via l'indumento che però faticava, facendo presa sulla schiena leggermente sudata.
Anch'esso scivolò a terra, alla fine.

Solo allora l'uomo le si avvicinò e le pose le mani in vita, scuotendola, infilando le dita all'interno dei collant, squarciandoli, lacerando l'elastico, tirando, lasciando solamente qualche filo penzolante e qualche macchia di tessuto dal ginocchio in giù.
Lei scoppiò a piangere, singhiozzando, mentre percepiva le proprie mutandine completamente intrise di umori.
La incollò al muro, facendo aderire il proprio corpo coperto da quegli indumenti che le apparivano come carta vetrata sulla propria pelle, ormai quasi del tutto nuda: l'aveva immobilizzata.
Ma si fermò.

Le sussurrò lievemente all'orecchio:
- Baciami adesso. -
Per poi spostare il volto di fronte al suo.
E lei lo fece, quasi d'istinto.

Lui ricambiò per qualche istante l'intenso bacio, ma subito dopo la afferò nuovamente dai capelli, facendola urlare, trascinandola fino alla poltrona e sbattendocela sgraziatamente con l'addome sopra uno dei due braccioli imbottiti, cosicchè lei affondasse con il viso sul sedile, fino a quasi soffocare, spinta dalla mano di lui.
Poi le allargò le gambe, rimaste tese, e con una mano si abbassò la cerniera dei jeans, abbassandoli e rivelando il suo sesso già ampiamente eccitato, mentre con l'altra, con violenza inaudita, le strappò via le mutandine fin troppo bagnate e gliele affondò in bocca, proprio nel momento in cui lei aveva provato ad alzarsi e a respirare.

Un istante dopo fu dentro.
E anche stavolta lei non potè urlare.


3 commenti:

Chiara ha detto...

ecco...questo è quello che io considero fuori dagli schemi. insomma, al nominare l'argomento ''sesso'' penso siano stati in pochi quelli che avevano immaginato di scrivere di una violenza. brava, mi è piaciuto un sacco, è scritto bene e sei riuscita a trasmettere con chiarezza quello che era nella tua testa, quello che avevi intenzione di raccontare, anche se con poche parole.

Bob ha detto...

Innanzitutto grazie, mi ero quasi dimenticato di quella promessa :D che dire, mi è piaciuto tantissimo. Alcuni indizi disseminati qua e là mi fanno quasi sospettare che potesse trattarsi non di una violenza vera e propria ma più di un gioco sadomaso, suppongo che questo sia lasciato all'interpretazione del lettore, ma tu l'avevi inteso così?

Arhal ha detto...

Yes Bob! Grazie a entrambi, anche se mi sono inquietata da sola scrivendolo XD <3