(link per il Capitolo II)
(link per il Capitolo III)
(link per il Capitolo IV)
(link per il Capitolo V)
(link per il Capitolo III)
(link per il Capitolo IV)
(link per il Capitolo V)
Silenzio. E’ raro riuscire ad ascoltare il silenzio. In realtà quello che sto dicendo è scorretto, perché il silenzio puro, l’assoluta mancanza di suono, non esiste nel nostro mondo, dal momento in cui anche il battito del nostro cuore, o il nostro respiro più leggero producono, seppur impercettibilmente, delle onde sonore. Eppure a me una volta è capitato di percepire un silenzio che si avvicinava all’assoluta mancanza di suono. Così iniziò tutto. Una notte che ero nel mio letto, stanchissimo, dopo una giornata infinita e dopo qualche birra presa al pub con gli amici, ero lì, che giacevo pancia all’aria e occhi pesanti nonostante il poco sonno. Era da qualche secondo che fissavo il soffitto, spensi la luce e ebbi dei flash della mia giornata. Giusto qualche flash. Ad un certo punto spensi il riproduttore di ricordi e provai a pensare al nulla. Fu in quel momento che realizzai di poter sentire soltanto il mio leggero respiro: il mio udito non era capace di sentire nient’altro, perché probabilmente i rumori più percettibili erano troppo lontani. E’ strano che in una città non ci sia neanche il rumore di un’auto alle tre di notte. Decisi di trattenere il respiro a intervalli, per percepire l’assenza di suoni, quella sorta di fischio sottile. Decisi di non pensare a nulla se non all’assenza di suono e di luce. Buio e silenzio. Durò circa per un minuto. Un minuto di tensione. Spensi il mio cuore, spensi la mia mente. Riuscii ad avvertire il silenzio e a postularlo, imprimerlo nella mia mente come il ricordo di qualcosa di sensibile. Era il silenzio della mia anima. Un auto-compattatore interruppe il momento magico. Ripartì il solito flusso di pensieri che ti rilassa prima di prendere sonno. Infine, mi addormentai.
Arrivò la mattina, ma mi fu impossibile accorgermene: la
sveglia non suonò (cosa di cui neanche mi preoccupai più di tanto), non ci fu
alcun rumore che sarebbe dovuto provenire dall’esterno, se non un leggero
brusio di traffico lontano, né alcun raggio di sole poiché la notte prima avevo
lasciato tutte le persiane chiuse. Mi rigirai nel letto per qualche minuto, cercando
di stirare i miei muscoli. Sentivo ancora il sapore di sigaretta in bocca e l’anidride
carbonica della birra della sera prima risalire su per l’esofago. Ben presto
fui costretto ad alzarmi di botto per correre a pisciare: per evitare di esplodere
dal profondo della mia vescica. Prima di arrivare alla tazza del cesso,
schiacciai velocemente l’interruttore della luce, ma non feci più di tanto caso
al fatto che non si accese. Liberatomi dall’impellenza cercai di scrutarmi
allo specchio ma non ci riuscii, quindi mi accorsi dell’inefficienza della
lampadina. Mi diressi in cucina per prendere il caffè dal frigorifero, ma nel
momento in cui lo aprii mi ritrovai tutti i piedi zuppi d’acqua, quindi alzai
lo sguardo e mi resi conto che il frigo era spento. Mi guardai attorno confuso
e come se fossi illuminato da una grande scoperta mi diressi al contatore centrale,
quindi tentai, senza successo, di dare energia alla mia casa. Niente da fare.
Sospirai annoiato e passando davanti alla dispensa afferrai un pacco di
biscotti, due o tre dei quali macinai avidamente con i miei denti. Quando
ritrovai un po’ di lucidità, con gli zuccheri che finalmente arrivavano al
cervello, mi avvicinai alla porta-finestra che dava sul balcone principale e
alzai come ogni giorno la maniglia per poi tirare la porta verso di me. Ciò si
dimostrò impossibile, e nonostante impiegassi tutte le mie forze, la finestra
non diede segni di cedimento e rimase lì chiusa, come se fosse saldata dall’esterno.
Lo stesso scoprii cercando di aprire le altre. Incredulo corsi alla porta d’ingresso
blindata e dopo essermi assicurato di avervi tolto le sicure cercai anche qui
di aprirmi un varco. Dico “cercai”, proprio perché anche qui rischiai di
scompormi qualche osso nel tentativo, ma niente: la porta non cedette. Tutte le
stanze erano chiuse ermeticamente dall’esterno. Sigillate. Saldate. Che qualcuno
le avesse saldate? Nello stato in cui il sonno pesante mi aveva assalito la notte
precedente, qualunque prospettiva sarebbe stata plausibile. Era ad ogni modo
incredibile per me in quel momento, non riuscivo a spiegarmelo: mi assalì una
sensazione di panico quindi decisi di chiamare qualcuno. Presi il cordless e
pigiai il numero di telefono di Dalila. Sarebbe stato troppo semplice riuscire
a telefonarle, perché ovviamente anche la linea telefonica era staccata. Buttai
via il cordless, quindi cercai il mio cellulare. Non ricordavo minimamente dove
fosse, quindi anche in questo caso l’azione si limitò ad un’inutile prova.
Scoraggiato, con il capo basso e mille pensieri per la testa mi diressi
lentamente in cucina dove, altrettanto flemmaticamente, presi un bicchiere di
vetro dalla credenza. Mi avvicinai al rubinetto e lo aprii distrattamente, come
facevo ogni mattina. Attendevo che del liquido inodore e incolore si posasse
nel mio bicchiere altrettanto inodore e incolore, ma per chiudere il ciclo
anche le tubature dell’acqua avevano deciso di scioperare. Persi completamente
la calma e lanciai il bicchiere senza liquido contro il muro con una violenza
incontrollabile. Una scheggia di vetro rimbalzò con altrettanta violenza dal
muro dentro al mio orecchio destro. Dire quello che provai non potrebbe mai
riprodurre l’orribile sensazione e il dolore che mi assalirono. La situazione
diventò tragica.
Ero rannicchiato tra le ginocchia sul pavimento della mia
cucina, con un timpano rotto e un orecchio sanguinante e non avevo modo di
contattare l’esterno. La mia casa quel giorno diventò una prigione. Un luogo
che fino a qualche ora prima era stato il rifugio, il posto per riposare, il
mio grembo materno, da quel momento non divenne altro che una scatola chiusa
che mi soffocava. Mi chiesi come avrei fatto. Come avrei fatto ad evitare una
grave infezione? Come avrei fatto a sopravvivere al buio? Quando, qualcuno si
sarebbe accorto di me?
Improvvisamente sentii in lontananza la suoneria del mio
cellulare, quindi speranzoso la seguii, fino a sentirla più vicina, sempre più
vicina. Era lì, ne fui sicuro dal primo momento, nella stanza da letto, anche
perché il volume in quella stanza era più alto, ma … niente. Del telefono non
ci fu traccia, squillò almeno una decina di volte ma seppure smantellai l’intera
camera, non lo trovai affatto. Mi lasciai andare disperato sul letto e mi
accorsi, dal silenzio che era tornato e dall’assenza totale anche di sottili
raggi di sole, che era notte. La stanchezza che ne seguì fu la conferma. In preda alla disperazione mi sentii completamente solo. Piansi e per
calmarmi mi addormentai nel silenzio. Fu così che iniziò la mia prigionia, con
il silenzio della mia anima.
3 commenti:
tutta colpa del tinnito auricolare!
bello, ansioso, ma bello =D
Un buon inizio, nulla da dire a riguardo.
Come si è potuto dimostrare, ha dato un numero di spunti quasi infiniti, nonostante la situazione di per se mi desse a pensare a qualcosa di già visto, ma il setting è stato perfetto.
Ansia, dubbi, paure. Tutto presente.
Posta un commento