Citazioni


lunedì 20 maggio 2013

...Inizia il film



“Ho sentito spesso dire che, in procinto di morire, ogni essere umano si ritrova a vedere gli avvenimenti che hanno composto la propria vita. Tutti, dal primo all’ultimo, come se fosse un ultimo film prima di trapassare.

Posso immaginare cos’è che vi starete chiedendo in questo momento. Mi sembra già di vedere le vostre facce dubbiose, perplesse, mentre vi domandate: Che modo è di iniziare una lettera?! D’addio poi…

Non so chi mi ritroverà e, se devo dire la verità, la cosa neanche mi sfiora.

So per certo che ormai ho settantasette  anni, e non so quanto le mie facoltà mentali potranno sostenermi negli anni a venire. Soprattutto dopo tutto quello che ho vissuto.

Già… la mia vita.

E’ probabile che chiunque ritrovi il mio corpo mi avrà già sentito parlare a riguardo, fosse anche l’ultima domestica della villa. Su questo argomento, in fondo, sono alquanto ripetitivo.
Ma, sinceramente, un salto nel passato, in ogni caso, me lo voglio permettere. Un assaggio, prima della portata principale. Come sapete, sono nato in uno di quei tanti paesini (dove vivo anche oggi, in effetti) che costellano le nostre campagne. Uno di quei tanti buchi sperduti, che si riduce a far spesso da culla, scuola, casa e persino tomba dei tanti compaesani che ne fa da popolazione.

…Ringrazio ancora la mia forza d’animo per avermi permesso di distinguermi da loro. Superai le scuole brillantemente e subito trovai posto come rappresentante della Cryotech Corporation, una grande compagnia, con sedi e centri in tutto il mondo. Indubbiamente un bel colpo di fortuna, bisogna dirlo.
E’ un incarico che ho ricoperto fino a poco più di una decina di anni fa, finchè le gambe ancora mi reggevano.

Un lavoro che mi ha formato.

Un lavoro che, va detto, mi ha dato un considerevole numero di possibilità.

E’ grazie ad esso che ho avuto la possibilità di uscire da quel buco

E’ grazie ad esso che ho ottenuto quella piccola fortuna che mi ha permesso di vivere una vita benestante anche ora.

E’ grazie ad esso che posso addirittura dire di aver conosciuto, visto il mondo. Le più grandi capitali… sono state spesso mete dei miei viaggi d’affari.

Per quanto abbia girato, però, alla fine il tesoro di una vita era più vicino di quel che immaginassi.

Ho girato il mondo, ho parlato con persone in così tante lingue da averne perso il conto, per trovare alla fine mia moglie in una compaesana.
Eh…il mondo è piccolo, davvero, ma non mi sarei mai aspettato che fosse COSI’ piccolo.

Ma bando agli indugi, grazie al mio lavoro ho ottenuto anche un altro privilegio.

Sono conosciuto, rispettato. E questo non solo in paese, dove sono in effetti tornato da poco per trascorrere serenamente gli anni della vecchiaia, ma anche in città. Ancora oggi, che ho ormai appeso tutto al chiodo, camminando per la strada la gente mi riconosce, mi riempie di convenevoli, mi apostrofa come “Cavaliere”. Chi offre un caffè qua, chi là…
Per quel che posso dire, in effetti, ritengo di aver vissuto una gran bella vita. Una vita piena, che mi ha permesso poche volte anche solo di respirare! Sono sempre stato, in ogni secondo della mia esistenza, ligio al dovere, e questo per me è motivo di vanto. E i vantaggi che ne ho tratto sono stati considerevoli.

Ovviamente ci sono state anche delle rinunce. Magari non sono stato un padre molto presente, preso com’ero dal dovere. Ma in fondo il dovere più importante per un padre l’ho adempiuto in modo esemplare.

Credo sia difficile trovare un esempio migliore del sottoscritto, e in fondo è questo che deve fare un genitore, dare il buon esempio. Oltretutto i frutti che ne ho tratto vi permettono (se siete voi a leggere) di vivere la vita godendovi ogni cosa, senza dover ricorrere a rinunce. Per cui penso che la cosa mi si possa più che perdonare, in fondo.

Questa vita… così soddisfacente.
Già, tornando all’incipit della lettera che state leggendo, ritengo che sarebbe un film veramente godibile. Un film che, sinceramente, mi merito tutto.

Ma è dal giorno in cui ho visto la mamma spirare che ci penso. Quanto sarà passato, qualche mese? Tumori, metastasi, tutti quei paroloni di cui i medici ci hanno riempito, tutti quei concetti incomprensibili che si traducono nell’orrenda agonia che mia moglie ha dovuto subire. Una fine orrenda, che in molti magari alla fin fine possono provare a sopportare. Magari anche accettare!

Io no.

Il sottoscritto NON accetta una fine del genere.

Il sottoscritto ha avuto a che fare con i peggiori truffatori che il genere umano ha mai avuto modo di creare.

Il sottoscritto non è mai stato gabbato, nè sottomesso da nessuno.

E il sottoscritto NON si farà sottomettere dalla morte. Dalla sua incertezza, dall’infinita ansia che mi prende a pensare che mi potrebbe cogliere da un momento all’altro, che non possa fare niente per controllarla.

No. Sarò io a dominare la morte. Sarò io a decidere come, quando e PERCHE’ convocarla. Non sarò uno di quei vecchi che accetta quel grottesco conto alla rovescia sulla propria testa.

Ho raggiunto ormai un’età che posso ritenere ragguardevole. Posso ritenere di non avere più niente da perdere.

E se veramente ci si ritrova a rivedere questo film, con una vita come la mia, ho intenzione di vederlo QUANDO DECIDO IO.

Quando ritengo di essere veramente pronto per godermelo in pieno.

Sceglierò io il giorno della prima.

E quel giorno…è oggi.

Papà”

E con questo, anche l’ultimo conto era stato chiuso.
In verità non sentiva nel profondo dell’animo che se lo meritassero. Gli amici, i parenti, ma soprattutto i figli… Ai suoi occhi si erano sempre comportati come degeneri sanguisughe, che si facevano vive solo per batter cassa. Ruffiani, ingrati, nulla di più. Ma, nonostante tutto, erano pur sempre sangue del suo sangue, una parte della sua vita che, per quanto quasi cancerosa, non poteva disconoscere. E la notizia che il padre aveva posto fine alla propria vita poteva solo essere male interpretata dalla gente del posto, dando loro chissà quanti problemi. Gli pareva già di sentirle le malelingue…chissà cosa avrebbero tirato fuori
“Il Cavaliere ha perso la testa!; è stato ricattato dalla mafia!; era sommerso dai debiti!; era da tempo che sembrava depresso…; Bla; Bla; Bla”.
Tutte quelle voci senza fondamento, inventate col puro scopo di poter avere qualcosa di cui parlare, e che facevano terra bruciata intorno a qualsiasi cosa circondasse l’oggetto dell’interesse. Probabilmente quella lettera non sarebbe stata sufficiente a placarle, a far capire quanto quella scelta non fosse dettata da un impulso autolesionista del momento, ma fosse una scelta ponderata.
Ma un tentativo, in fondo, che male poteva fare. In ogni caso ancora poco tempo e quello che la gente pensava di lui…le voci sul suo conto… non sarebbero più state un suo problema.
Uno dei vantaggi di essere morto, pensò sorridendo.
Ma era tempo di agire.
Si alzò lentamente dallo scrittoio che aveva nella sua stanza. Ebbe l’accortezza di lasciare una luce puntata sulla lettera che vi troneggiava, così che fosse notata, e fece qualche passo. Sentiva gli ingranaggi della sua testa girare, facendogli finalmente prendere coscienza di ciò che stava per fare.
Eccitazione? Paura? Curiosità? Non riusciva a capire che emozione lo pervadesse al momento. Sapeva solo che l’orologio stava compiendo ormai i suoi ultimi giri. E il momento dell’ultimo rintocco…non sarebbe stato più un mistero.
A questi pensieri, si senti colto dall’euforia, mentre varcava la soglia del bagno.
Tutto era già allestito. Aprì lentamente il rubinetto dell’acqua calda, lasciando che ne fosse colmata.
Iniziò ad accendere le candele che si trovavano sparse per la stanza. Lavanda, Muschio, Mora Selvatica, tutti aromi a cui si sentiva, per qualche strano motivo, profondamente legato, e che avrebbe voluto gustare l’ultima volta, prima di fare l’ultimo passo…
Fortuna che il monossido di carbonio è inodore, pensò, chiudendo la porta del bagno. Diede uno sguardo all’aeratore, che in circa dieci minuti dalla sua accensione avrebbe iniziato a saturarne l’aria.
Girò la chiave. Nessun disturbo dall’esterno.
Ora c’era solo lui, il suo momento di intimità, prima dello show finale.
Chiuse l’acqua mentre una nebbiolina di vapore che usciva dalla vasca sembrava rendere il tutto più…etereo.
Spense le luci, lasciando come unico lume le candele.
La siringa!, pensò improvvisamente.
Si sentì affondare nell’ansia, mentre scavava nella sua testa alla ricerca dei ricordi sugli ultimi movimenti che poteva aver fatto.
Dove poteva essere, nella stanza? Magari l’aveva lasciata nello scrittoio, o sul comodino, o chissà dove. Malediceva l’età che lo faceva sentire così rincoglionito…
Tirò un sospiro di sollievo tastando il taschino della giacca. Era lì, il pezzo più importante.
La sfilò dal taschino, fermandosi qualche istante ad osservarla. In verità non aveva la benchè minima idea di cosa vi fosse contenuto. Sapeva di potersi fidare di chi gliela aveva procurata. Aveva sentito bofonchiare qualcosa su morfina e altre strane sostanze con nomi impronunciabili che non sapeva neanche lontanamente come funzionassero. Ma a cosa servissero, che in fondo era quello che veramente contava sapere, quello lo sapeva bene.
A garantirgli una morte serena, eliminando gli “spiacevoli” effetti del monossido di carbonio, lasciando al tempo stesso la sua coscienza attiva, integra. Fino al momento finale. Avrebbe assaporato l’ultimo viaggio, l’ultimo film, e tanto bastava.
Lasciò la siringa sul bordo della vasca, e cominciò a spogliarsi.
A stento sentiva gli abiti che sfilavano dal suo corpo, preso com’era da quello che stava per fare.
Chiuse gli occhi, pochi respiri, per rilassarsi…
L’aria calda riempì i suoi polmoni.
Si mise a mollo nella vasca, sentendo il tepore avvolgerlo, prenderlo, mentre il peso del mondo sembrava scivolargli di dosso, per una volta.
La stanza era ormai pervasa dal profumo che esalava dalle candele, che sembrava quasi accarezzare le sue narici.
L’ultimo tocco, mancava l’ultimo tocco al benessere. L’ultimo pezzo prima dell’atto finale.
Inforcò il telecomando che teneva poggiato alla sua sinistra, premendo il pulsante di accensione.
Il suono degli ottoni iniziò a uscire dallo stereo.
Liszt, Rapsodia Ungherese Numero Due, Versione Orchestra. Il loro preferito.
Il tocco finale era stato dato.
Accese l’areatore, tenendo nella destra la siringa, mentre col corpo scivolava sulla vasca, abbandonandosi ancora di più alle sensazioni…preparandosi a convocare la morte.
Chiuse gli occhi, lasciandosi incantare…
I passaggi della sinfonia inebriavano l’aria, dandogli una sensazione di serenità che poche volte aveva sentito.


E il clarinetto!
E il clarinetto!


Sentilo, il clarinetto!
Quel tocco di brio che da quel senso di serenità al pezzo…
Dio, mi vengono i brividi solo a pensarci. Quanto tempo sarà passato da quando l’ho sentito per la prima volta? Una cinquantina d’anni? Sembra ieri…
Il giorno in cui la conobbi. Così, in un teatro di città, due persone dello stesso paese che si ritrovano.
E dire che mi trovavo lì quasi per caso.
Peccato che se ne sia andata così…
Pensandoci, mi viene da sorridere. Nemmeno mi sono lontanamente avvicinato alla morte, e già la prima memoria riaffiora.
Ma senti ora, come si intrecciano i fiati e i violini.
Mi sento in pace con me stesso. Questa parte del pezzo dà quell’aria così…festosa.
Manca poco, ma non voglio pensarci.
Arriveranno le ultime note, ma fino ad allora godiamoci questa serenità. Gli odori, il calore, i suoni!
Stampiamoli nella memoria, le ultime belle sensazioni prima del grande viaggio. Prima della portata grande.
Ancora poco, dai…
Eccolo, il crescendo. Magnifico. Superlativo. Gli ultimi secondi, che quasi scandisco nella mia testa come un direttore d’orchestra. Il momento è praticamente giunto.
Il conto alla rovescia è concluso ormai.
L’ultima sviolinata, ed è ora di accogliere la morte.
Chiudo gli occhi. Premo lo stantuffo. Il dolore della puntura è affogato in un attimo, mentre un torpore prende lentamente il mio corpo.
Sento le sensazioni man mano svanire… nella stanza c’è ormai abbastanza monossido di carbonio da avvicinarmi alla fine sempre di più con ogni boccata d’aria…eppure oltre a un senso di torpore, nulla.
Leggevo, a riguardo, che avrei rischiato mal di testa, stordimento, persino convulsioni.
Quel che ottengo è solo l’incapacità anche solo di aprire per davvero gli occhi.
Ma in fondo, a che pro farlo. Le luci iniziano a girare. Il film è qui, nella mia testa, e so già che sarà il capolavoro, la degna coronazione di un’esistenza come la mia.
Le immagini mi appaiono sfocate…rivedo già alcuni episodi di importanza minore.
Qua è quando mi ritrovavo sui banchi di scuola a prendere appunti della lezione di italiano…
Guarda là, gli zotici che popolavano quella classe. Si vedeva già che ero di un altro mondo. Scimmie, e tali sono rimaste. Mi sembra di vedere il fruttivendolo che esercita in fondo alla strada, che giochicchia con una matita, mordicchiandola con aria demente.
Bah, andiamo avanti.
Ecco. Ecco qualcosa di interessante.
Il mio viaggio a Berlino! Il mio primo viaggio all’estero, il mio primo affare internazionale!
Ecco che scendo dall’aereo. Guarda qua che città. Ecco, se scendo in fondo alla strada lì dovrei arrivare…
Dovrei arrivare…
Diavolo, non ricordo nulla a riguardo. Va be, vedo il muro di Berlino, sicuramente ci sarò andato a fare una visita. Guarda, ci sto passando ora avanti con il taxi, sicuramente avrò chiesto di…
Niente, non mi sono fermato. Sarà l’emozione, ero così preso da quell’affare, immagino che mi riprenderò dopo. Intanto ecco il colloquio. Non ricordavo però che il capo dell’impresa fosse un giapponese.
Curioso, sono andato in Germania e la prima persona con cui parlo per davvero è un giapponese. In giapponese. Ma che importa, tanto ricordo perfettamente che l’affare fu un successo, e poi sicuramente sarò andato a festeggiare. Ecco, chiamo un taxi per andare a… l’aeroporto di nuovo?
Ma… veramente sono andato in un paese per limitarmi a parlare con un altro straniero senza neanche fermarmi una notte?!
Mi affiorano immagini nella mente.
Sidney. Los Angeles. Londra. Tokyo. New York. Parigi.
Le cose più tipiche che ho visto sono le cartoline.
Non ricordavo di aver approfittato così poco dei miei viaggi…pensavo veramente di esser stato quasi un cittadino di mond…
Oh, ecco un bell’episodio.
La festa delle nozze d’argento con mia moglie. 25 anni di matrimonio, e chi se li scorda. Ricordo perfettamente, si è svegliata con i suoi fiori preferiti per la stanza, colazione insieme nel nostro bar preferito, poi subito un giro per i parchi approfittando della bella giornata. Torniamo a casa per pranzo e la sera usciamo e la porto al ristorante francese più rinomato della città. Adorava quel ristorante mia moglie.
Già, un anniversario da favola.
Ecco, qui le do gli auguri. Buon ventiquattr…
Era il ventiquattresimo anniversario?
Oddio, questo invece è il ventiseiesimo. Ecco qui, stessa sveglia con i fiori preferiti per la stanza, colazione insieme nello stesso bar, stesso giro per i parchi, stessa uscita serale nello stesso ristorante francese.
E il ventisettesimo? Solita sveglia coi fiori, solita colazione nel bar, solito giro per i parchi, solito ristorante francese…
Meccanico. Ripetuto. Schematico.
Dov’è la passione che mi animava? Pensavo almeno con mia moglie di essere stato un uomo vario, di aver vissuto il rapporto in tutte le sfaccettature possibili. Di non aver permesso al lavoro di cancellare la volontà di fare qualcosa insieme. Ed ecco che mi ritrovo repliche di anniversari con lo stesso pathos di una puntata del Grande Fratello.
Mi sento girare la testa…
Oddio, mi gira la testa. Che pure il medicinale non stia facendo effetto?
Calmati, dannazione, calmati. Solo incidenti di percorso, non vale la pena rovinarsi la visione solo per delle piccolezze. Ecco, ecco una memoria felice. La mia primogenita che fa i primi passi. Guardala, la principessina, che cerca di stare in equilibrio. Vieni, amore di papà, vieni qui. Guarda come mi fissa! Guarda…
Ma è il monitor di un computer. Eccomi, sto lì, seduto su di una scrivania, mentre in webcam vedo i primi passi di mia figlia… e sono pure distratto dalle scartoffie.
Mi sento mancare. Ecco il diciottesimo compleanno del mio unico figlio maschio. Ci sono solo io che guardo le foto sorridendo all’omaccione che la mamma aveva tirato su.
Nemmeno in queste memorie sono partecipe.
Eccomi, spettatore di quella che era una vita piena di grandi occasioni. Mi chiedo seriamente che differenza ci sia tra il mio vecchio, morente corpo che ora le sta scavando nelle sue memorie e il tizio che stava li, a guardarle in prima persona. Che sia sempre stato uno spettatore?
Ligio al dovere, rispettoso del prossimo, creato da solo. E quando si trattava di vivere veramente, stavo a compilare scartoffie o parlare lingue che in quel paese nemmeno conoscevano. E i miei figli crescevano senza quasi sapere chi fossi.
E mia moglie… ho davvero sofferto vedendola spirare? Sono davvero stato incantato da lei, o era solo lo stridio del violino che mi faceva sentire così preso? Quante persone non ho voluto approcciare sui tanti mezzi pubblici che ho utilizzato in tutta la mia carriera? Quali sguardi ho perso preso com’ero nel pensare come presentare il prodotto della ditta? E il lavoro? Me lo sono goduto davvero? Ho veramente fatto ciò che volevo veramente? Quante rinunce ho fatto senza nemmeno rendermene conto? Quante passioni scartate?
Magari ho soffocato la voglia di imparare, che so, a suonare uno strumento per non distrarmi dal lavoro. Quel cazzo di lavoro che ha preso tutto il mio tempo e mi ha fatto ottenere quella vita “incantevole” che ti riempie lo stomaco come quelle insipide tartine da novelle cousine di quel maledettissimo ristorante francese che LEI adorava.
Ecco. Non ho capito nulla.
Guardami, tronfio, che mi dirigo ancora una volta a casa e mi butto sul divano, aspettando la cena, prima di dormire e partire il giorno dopo in quel maledettissimo ufficio a buttare le mie giornate. Sorrido, guardo i miei compaesani e rido della loro ignoranza. E magari mi sono perso l’eccitazione del correre nei boschi e rimanere a contatto con la natura.
Il più grande contatto con la natura che ho avuto invece sono quelle cazzo di candele che ho acceso per rendere gloria al mio trapasso.
E, a settantasette anni, faccio la considerazione che tante persone fanno nella propria vita, ma per l’ennesima volta troppo tardi. Ho sbagliato tutto.
Che posso fare…anche se volessi fermare il processo…non avrò mai il tempo per rimediare alla mia arroganza, alla mia superbia, alla mia cecità.
Vorrei sospirare, ma ormai non ho più controllo nemmeno del mio corpo.
Sento la morte che inizia ad aleggiarmi intorno, come per abbracciarmi, quasi a salvarmi da quel tormento.
Cala il sipario, e il film non lascia altro che amarezza.
Mi arrendo. Mi lascio abbracciare. Accolgo la morte, pregandole di prendermi subito.
Ed è proprio li che mi chiedo veramente…
Quand’è che sono morto? E quand’è che ho vissuto veramente?

7 commenti:

vorgh ha detto...

Bella Loschetto mio! E' il racconto che mi è piaciuto di più, tra i tuoi. E' ben ritmato e seppur molto lungo scorre una bellezza. La formattazione mi ha colpito molto e seppure non l'abbia capita, mi ha dato una bella sensazione. Un po' confusionario verso la fine, forse frettoloso: l'avrei fatto morire più lentamente, l'avrei fatto riflettere di più, ma sono certo che sia stato scritto coscientemente in questo modo. Belle riflessioni, belle immagini, belle parole. Bravo, bravo, bravo. :)

Arhal ha detto...

L'argomento come l'hai trattato è una delle cose che mi mette ansia nella mia esistenza, quindi non ho potuto non apprezzare! Scritto bene, bravo figghma =3

Bob ha detto...

Bellissimo, soprattutto perchè è un po' l'altra faccia della medaglia del vecchietto di cui o parlato io.
Per il resto, concordo al 100% con l'amico vorgh: avrei rallentato verso la fine.
Comunque, complimenti!

Il Losco ha detto...

@vorgh & bob: l'ho scritto tutto d'un fiato il flusso di coscienza, e per come era venuto ho voluto tenerlo così, naturale. Cmq grazie LoL

@Arhal: Grazie mammà, siamo sempre persone felici!

nunzia cirillo ha detto...

La tua scrittura mi cattura...non riesco a fermarmi...devo leggere!
Il delirio di onnipotenza che superbamente hai raccontato trova il giusto epilogo nella necessità ultima di un abbraccio...

Unknown ha detto...

L'ego di quest'uomo di spegne, riga dopo riga.
Raccontato in modo superbo,
da un discorso imperioso e sicuro di sè alla povertà dell'uomo, costretto sempre e solo, per natura, a quel "ma, forse avrei potuto..."

Il Losco ha detto...

@Alice: Ti ringraazio per le belle parole, comunque si, il discorso è proprio quello, una vita di apparenze, che tanto lo aveva reso quasi arrogante ed impettito, che nel momento finale si rivela per quello che è, perdendo quell'ariaa di regalità e lasciando la soddisfazione sgretolata ai propri piedi. E' quello che volevo esprimere