Citazioni


martedì 7 maggio 2013

L'Ultimo Viaggio


Alla vita certamente non manca l’ironia.

A quattordici anni, come tutti i miei coetanei, ho provato poco seriamente a suicidarmi, ma tutto sommato mi sarebbe potuto scappare di mano e ci sarei potuto restare secco. Ho fatto snowboard, bungee jumping, ho preso droghe da amici di amici che avrebbero potuto tagliarle con il DDT, ho guidato ubriaco, ho guidato arrabbiato, ho seguito una dieta sbilanciata e ricca di fast food, ho fatto sesso non protetto, ho fumato e bevuto, sono finito in qualche rissa, ho viaggiato in paesi di cui non conoscevo la lingua e le usanze, ho avuto un cellulare sempre con me, non ho eseguito controlli medici regolari approfonditi e costanti, ho mangiato cibi cotti al microonde, e non ho mai pregato. Non ho chiesto di avere una vita così piena e lunga, ho sempre vissuto nell’ottica che ogni giorno potesse essere l’ultimo, ma che molto probabilmente non lo sarebbe stato. Non credo che la mia vita sarebbe stata la stessa se mi avessero detto che sarei morto a centosettantanove anni.
Sono quasi due secoli, lo so. Ho sempre detto che non mi sentivo vecchio, infatti ho lavorato fino a centosettantacinque anni fittando barche su una spiaggia dove i turisti vengono ad ammirare il paesaggio più bello del mondo. Ho assistito ai funerali di due mogli e numerose compagne, di quasi tutti gli amici e di mio figlio. Ho assistito al funerale di tutti i miei nipoti e anche a quelli dei loro figli. Sono di centoquattro anni più vecchio del mio discendente più vicino, e fino a ieri erano tutti sicuri che lui sarebbe morto prima di me. Domani il mio discendente più giovane compie diciotto anni, e non credo che sarò presente alla sua festa. È particolare che mi chiami nonno, dato che sono il nonno del nonno di suo nonno.

Una cosa che ho sempre amato è il cibo, e ora Nancy è qui al mio capezzale che mi offre uno dei suoi pasticcini e io sono costretto a rifiutare, dopo un solo morso mi sento sazio. Li cucina lei, quei pasticcini, e sono davvero deliziosi. Fidatevi, se lo dice uno che ha avuto occasione di assaggiare molti cibi diversi. Nancy è la mia undicesima compagna, tredicesima se considero anche le mie due mogli. Mi sono sempre piaciute le donne più giovani, anche perché a un certo punto è diventato difficile trovarle della mia età. Nancy è più di cento anni più giovane di me, e cucina i pasticcini più buoni del mondo. Credo di averlo già detto, ma concedetemi un po’ di demenza senile, per piacere. Lei è triste perché rifiuto i suoi dolci, ma ho visto tante di quelle persone in punto di morte che ormai so bene di cosa si tratta: il mio corpo si sta preparando a chiudere bottega e non ha più bisogno di cibo. Rifiuta tutti i solidi e quasi tutti i liquidi, le dico, non c’è da preoccuparsi. In questo momento mangiare mi fa più male che digiunare, l’apparato digerente sta facendo il bilancio di fine anno. E io l’ho fatto? Sì, ogni anno, da quando ne avevo ottantasei, ho aggiornato il mio testamento, principalmente perché i miei eredi designati morivano. Lei sembra tranquillizzarsi, resta lì e mi tiene la mano, senza parlare. Sa che ormai il mio rapporto con i vivi si è ridotto al tirare le somme, sa di essere stata presente in meno del dieci percento della mia vita, e sa di essere probabilmente l’ultimo dei miei pensieri.
La sento piangere, mi tocca la mano, avvicina l’orecchio alla mia bocca e in questo momento realizzo che mi stava chiamando. È normale anche che io non riesca a muovermi o rispondere, è un altro normale processo fisiologico, mi sto preparando a staccarmi da tutto. E ho tanto da cui staccarmi. Mi concentro sulla mano, cerco di stringerla.

Quando mi sveglio lei è addormentata sulla sedia, sento il vento che mi solletica la pelle anche se porte e finestre sono chiuse. All’improvviso lei è lì, sveglia, mi sta parlando, sei freddo, e mi stringe ancora la mano. Mi poggia un lenzuolo addosso e mi sorride, gli occhi velati di lacrime. Mi guardo le mani, fredde e con le unghie tendenti al blu, e sorrido. La circolazione sta rallentando, il sangue si concentra negli organi di maggiore importanza e le estremità si raffreddano, è tutto normale. Ma forse a lei fa piacere sentirsi utile, allora lascio che mi copra e che mi sorrida ancora. sorrido anche io, ma sto guardando Scarlett, in piedi dietro di lei.
Questo non è possibile, le tendo una mano anche se Scarlett è morta anni fa. Scarlett, le mormoro, sei un’allucinazione, è l’afflusso di sangue al cervello che diminuisce, sei un’illusione, come il vento che soffiava, ma mentre le dico queste parole i miei occhi iniziano a lacrimare. È giorno o notte? E dov’è finita Nancy? Scarlett, la mia seconda moglie, si siede al mio fianco. È uguale a quando l’ho conosciuta, avevamo poco più di sessant’anni, volevamo amarci, volevamo riprovarci, eravamo spaventati dalla morte e ancora di più eravamo spaventati dalla vecchiaia, dall’idea di invecchiare da soli. Abbiamo vissuto insieme poco più di vent’anni, e quando lei è morta ero convinto che di lì a poco sarebbe capitato anche a me, che dopo aver organizzato il suo funerale e aver distribuito i suoi averi, l’avrei raggiunta. Scrissi un testamento, sicuro che avrei dovuto disporre solo dei miei averi. Inutile precisare che se mi avessero detto che quel testamento sarebbe stato aggiornato altre novantatré volte perché avrei dovuto disporre anche dei beni ricevuti da amici, figli e nipoti non ci avrei creduto.
Perché proprio Scarlett? Perché di tutte le persone che ho conosciuto, di tutte le donne che ho avuto, proprio lei? Osservo la mia mano sinistra che stira il lenzuolo con un movimento lento, ripetuto all’infinito, sempre uguale, e chiedo a Scarlett di avvicinarsi a me per ascoltare le ultime parole che ho da dire al suo fantasma. Chiudo gli occhi mentre lei avvicina, o almeno io lo immagino, l’orecchio alle mie labbra e sussurro che ero spaventato all’idea di morire solo. Apro gli occhi, voglio dirle che ho provato davvero ad amarla, al punto di essere sicuro che sarei morto, come quei vecchi che muoiono di crepacuore l’uno dopo l’altro, ma lei non c’è più. È di nuovo Nancy che mi sorride con le lacrime agli occhi e mi dice che non sono solo.
Ecco, questo è un equivoco difficile da spiegare, quindi abbasso lo sguardo verso la mano sinistra che continua a stirare il lenzuolo. Come faccio a dirle che parlavo con il fantasma di una donna morta ben prima che lei nascesse? Come faccio a risolvere tutti i conti in sospeso, a ricordare tutti gli oggetti accumulati, tutte le persone conosciute, tutti i torti inflitti e subiti, come faccio a… a risolvere tutto? Sono così stanco all’improvviso, sono, tutto è così, così difficile, tutto, io non… io non sono abituato a morire,
COME SI FA A MORIRE???
Cerco di sferrare un pugno sul letto, ma il mio corpo è così debole, da un giorno all’altro sono diventato vecchio.
Nancy, ti prego, toglimi queste lenzuola, sono diventate pesanti come il cemento.
Grazie, Nancy, non ti preoccupare, sono solo stanco, non sto morendo.  Anzi, sto morendo, ma non ora, non in questo esatto momento. La stanchezza è dovuta ai cambi nel metabolismo, ma non ne posso più di morire, sto morendo da troppo tempo, voglio che questa cosa finisca al più presto, sono troppo abituato ad essere vivo per avere una morte così lenta. Voglio andarmene prima che il mio corpo decreti i tagli a tutti quegli organi che espellono gli scarti, prima che i reni chiudano per bancarotta e cedano il campo alla pelle come industria leader dell’escrezione, prima dei sudori e dei pruriti, prima che i muscoli dell’intestino si rilassino, prima che di cacarmi addosso come un bambino.

Il nipote del nipote di mio nipote entra ora dalla porta. Domani entrerà nella maggiore età, e nonostante io sia triste all’idea di non essere alla sua festa sono felice all’idea che non sarò presente neanche al suo funerale. È un ragazzo molto intelligente, e so che ora mi toccherà dargli un consiglio di quelli che tutti i vecchi in punto di morte danno ai loro nipoti.
In punto di morte, gli dico, fai i conti con tutto e con tutti. Una sola questione sospesa ti può tormentare, soprattutto se non hai più modo di risolverla. Evitalo, gli dico, sii sempre sincero, anche se questo ferisce le persone. Perché la vita è così, anche se vuoi bene a qualcuno vi farete per forza del male, anche se credi che una persona sia tutto per te. Le persone vanno e vengono dalla nostra vita, ed è normale. Se perdi una donna, o un amico, semplicemente non erano le persone giuste per stare al tuo fianco. Hai il mio stesso nome, ma non ti auguro la mia stessa sorte. Ti auguro una vita piena e lunga, lunga come una vita normale.
E mentre lui, molto maturo per la sua età, mi sorride con amarezza, chiudo gli occhi. Sento la porta chiudersi dietro i suoi passi e la voce flebile di Nancy che chiama il mio nome.
Non rispondo.
Il momento è sempre più vicino.
Ascolto il mio respiro raschiato e so che ormai sono più morto che vivo. Il sangue circola più lentamente, anche cuore e polmoni lavorano a regime ridotto, i muscoli della mia gola sono rilassati e non puliscono i muchi dalla trachea. Vorrei spiegare a Nancy che non sto soffocando, ma per fortuna un dottore è qui e lo sta facendo per me. Le sta parlando del respiro di Cheyne-Stokes, di cui sto dando una magistrale dimostrazione in questo momento: passo da una respirazione profonda ad uno stato di iperventilazione, alternando tutto questo a fasi di apnea. L’apnea causa un aumento dei livelli di CO2 nel sangue, che a sua volta stimola l’iperventilazione per riportare i livelli alla normalità. A quel punto, però, la concentrazione di CO2 è più bassa del normale e non ho più bisogno di respirare, quindi si ritorna all’apnea. È un circolo vizioso che si spezzerà solo con la morte. Una morte angosciante, ovviamente. Sai che il tuo momento si avvicina, ma non sai esattamente quanto manca. Non puoi opporti, non vedi, non puoi lottare in alcun modo, non puoi nemmeno muoverti. E siccome non sai quanto ti resta, questa morte all’apparenza serena è più angosciante che essere bendati, legati su una sedia da ufficio bloccata con dei pesi sul fondo di una piscina che si riempie inesorabilmente.
La mia morte è più angosciante di quella che è toccata ad Andrey Kapustin.
La mia morte è più angosciante di quella che ho inflitto ad Andrey Kapustin.

Andrey Kapustin è morto nella sua piscina quando io avevo sessant’anni. È morto nella piscina dove violentava i bambini che rapiva, nella piscina dove ha violentato e ucciso il mio primo nipotino. Neanche mio figlio ha mai saputo che sono stato io ad ucciderlo, a stare lì e guardarlo annegare. Ricordo la paura nei suoi occhi imploranti, e l’assenza di pentimento che mi riempiva durante quegli attimi. Ho assistito al funerale di mio figlio, e vederlo in una cassa di legno non è stato triste come vederlo piangere in silenzio davanti alla minuscola bara del suo primogenito. Ho fatto ciò che andava fatto, ho avuto centoventinove anni per pentirmene, ho cambiato punto di vista sulla vita numerosissime volte, ma su quell’uomo non ho mai cambiato idea. Non l’ho mai confessato a nessuno, e ormai non posso più farlo. E non ho neanche intenzione di pentirmi di averlo ucciso. Se la polizia avesse condotto delle indagini approfondite sarebbe arrivata a me senza grandi difficoltà, se non l’hanno fatto forse è perché in fondo la morte di quell’uomo era una cosa giusta. In quel momento decisi di non dirlo a mio figlio perché non volevo contaminare la sua macabra gioia e la sua sadica consolazione con la tristezza di avere un padre assassino, con la paura che sarei potuto finire in carcere per qualcosa che lui avrebbe ritenuto compito suo, colpa sua, per qualcosa che l’avrebbe fatto dannare per anni.
Solo ora inizio a pensare che forse avrei dovuto dirglielo. Siamo abituati a credere di poter decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato per le altre persone solo perché siamo più grandi, e io sono molto abituato ad essere più grande degli altri. Ognuno dovrebbe essere libero di decidere per sé, eppure con quanta facilità ci arroghiamo il diritto di scegliere per gli altri, decidere cosa vogliamo che sappiano, decidere cosa è bene per loro…
Forse, se lo avesse saputo, mi avrebbe ringraziato.
Alla fine dei conti, credo che le bugie e le omissioni causate dalla mia superbia siano l’unica cosa di cui mi pento. E avere un solo pentimento, alla mia età, è probabilmente indice di una vita vissuta nel modo migliore.

Il sogno di tutti è andarsene senza rimpianti.
Ma anche uno solo, in fondo, va bene.
Sono sereno.

Al momento della morte, l’udito è l’ultimo senso ad abbandonarci. Volto la testa verso Nancy, senza vederla, e mormoro parole. Lei mi chiede di ripetere, ma la lingua non si muove più. Mi concentro, mi sforzo, ripeto:
Sono sereno.

E mentre i colori nei miei occhi diventano invisibili e le mani di Nancy nelle mie diventano impalpabili, mentre tutto svanisce, la sua voce mi arriva limpida e mi accompagna:
“Buon viaggio.”

6 commenti:

Il Losco ha detto...

The arrevotation!
Idea originale per genesi, che rende + nuovo il solito tema dei rimpianti post morte et similia.
La storia è sentita, anche se come ti ho fatto già notare a volte non sembra unitaria, però l'effetto è voluto quindi nulla da obbiettare a riguardo.
La scrittura. Essenziale, mai troppi fronzoli, esattamente quello che serve.
Ripeto, the arrevotation!

vorgh ha detto...

Be' è a dir poco bellissimo. La narrazione scorre in maniera piana e cadenzata. Inesorabile, proprio come la morte. L'idea è originale e mi piace la struttura a ricordi che, a mio avviso, non mina affatto alla sua unitarietà. Se proprio devo trovarci un difetto mi hanno un po' stuzzicato le parti che descrivevano l'effetto fisico dal punto di vista medico della morte; per fortuna ad un certo punto le hai messe in bocca al medico. Io le avrei ridotte all'osso quelle descrizioni lì. Per il resto è perfetto, bravo!

Arhal ha detto...

Vabbè, ormai quando leggo quello che scrivi sono rassegnata all'emozione.
Oltre alla commozione finale, è stato per me interessante perché hai scritto un sacco di cose che penso e che provo e che mi mettono ansia giornalmente, in sostanza... Insomma, bravo, sono quasi le 4 del mattino e ti voglio bene.

Solo una cosa: "ho sempre vissuto nell’ottica che l’ultimo giorno potesse essere l’ultimo", ehm, che ogni giorno potesse essere l'ultimo, giusto? XD

=*

Bob ha detto...

Sì, quello! L'ho corretto :D
Comunque grazie a tutti dei complimenti, siete belli <3

pseudonimo molto molto figo ha detto...

(Il succo di questa confusissima recensione, formulata con strutture sintattiche dubbie, è che secondo me la storia è bella)Prima di tutto, mi piace chi scrive con uno stile rapido, scorrevole, senza fronzoli, senza troppe descrizioni, senza abbellimenti, insomma che va a centrare subito il nocciolo delle questioni senza giri di parole, rendendo la scrittura qualcosa di concreto. Insomma, lo stile tuo. Però sono delle frasi piccole a farmi impazzire, ad esempio " Nancy è più di cento anni più giovane di me"
"Siamo abituati a credere di poter decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato per le altre persone solo perché siamo più grandi, e io sono molto abituato ad essere più grande degli altri."... che suonano proprio bene all'orecchio (non trovo un altro modo meno stupido per spiegarlo, comunque la sensazione è quella).
Forse mi sarebbe piaciuto leggere anche un episodio relativo alla sua infanzia, sarebbe stato interessante ritrovare uno scenario di un bambino cresciuto quasi due secoli fa.
Toccante ma per niente sdolcinato. APPROVED.
(Il tentato suicido poco serio e l'ipotesi di droghe tagliate col DDT m'hanno garbato assai.)

east dwaynes!

Unknown ha detto...

E riguardo tutto ciò...
i brividi all'ultima frase.