Nella caccia ogni istante può essere fatale. Una folata di vento non calcolata potrebbe rendere il proprio odore percettibile. Un movimento non controllato potrebbe innervosire la preda. L’eccitazione di un secondo potrebbe compromettere la concentrazione. Persino l’ambiente potrebbe nascondere insidie che vanificherebbero i lunghi appostamenti fatti.
Per questo è importante essere pazienti.
Tutto passa per un attimo. Quell’attimo, l’attimo che fa la differenza tra il successo e il fallimento, la vita e la morte. Quell’attimo fuggente che il cacciatore deve saper calcolare… e sapersi propiziare.
Appostato, osservo l’animale. Lo guardo, mastodontico, spostare neve in cerca di germogli o qualsiasi cosa che possa sfamarlo.
Entra nella testa dell’animale! Analizza il suo campo visivo! Cosa vede? Mi vede? Pare di no…
Faccio qualche passo, mimetizzandomi tra le nevi. Scatto. Mi celo dietro cumuli particolarmente alti.
Ascolta, per tutti i fulmini, ascolta!
Non sento suoni particolari. E’ tranquillo, sembra non avermi notato. Prendo fiato… respiro a pieni polmoni, e sento l’aria pervadermi il torace, fredda, intensa. Mi focalizzo su questa sensazione. Asciugo il sudore, può solo essermi d’ostacolo…
Sento i rumori della ricerca cessare… forse ha scovato qualcosa…
Che fare...mi sporgo?
Devo rischiare.
Soffoco la tensione dentro di me e, lentamente, mi avvicino al margine. Controllo bene il terreno. Non devo scivolare.
Respiro.
Mi sporgo lentamente… quel poco che basta per vederlo con la coda dell’occhio. Sorrido. Mangia, la bestia. Goditi quel tesoro…
Devo muovermi, o perderò l’attimo! Rimango accovacciato, avvertendo la tensione nei muscoli. A piccoli passi inizio a muovermi, il peso sempre caricato sulle gambe…
Guardalo… ignaro della mia presenza, mentr…
Scaccio il pensiero con una pacca al volto. Devo essere paziente, tutto è ancora in discussione. Sento le dita stringersi attorno alla lancia. La stretta è forte, energica, così vigorosa da farmi quasi male.
Non devo farmelo scappare! La carne che ne ricaveremmo sarebbe un dono divino, per non parlare della pelle! Con questo freddo poi!
Già, il freddo… Non riesco quasi a ricordarmi più com’è il cal…
CONCENTRATI!
Eppure è così vicino… quanto sarà distante, venti passi? Trenta?
Devo pazientare.
Mi avvicino… trattengo il fiato.
Non un rumore. NON. Un. Rumore. Eccolo… sono vicino… ancora qualche passo…
L’eccitazione mi pervade. E’ li! Devo solo….
Inciampo, sentendo il contatto della neve sul volto. Un secondo… un secondo di fretta e il mio piede non ha trovato il giusto appiglio. E così sprofondo nel manto innevato. Come le mie speranze.
Con gli occhi come in fiamme mi divincolo, cercando di liberare la gamba da quella presa glaciale.
Il mio occhio cade sul mammut. Un istante di spavalderia mi ha fregato. Un istante di eccessiva sicurezza mi ha palesato. Un istante di superbia… mi ha condannato.
Tutto in fumo. Lo vedo girarsi verso di me. Barrisce, e alle mie orecchie è come se mi deridesse.
Riesco a liberarmi a stento, rimanendo chino. Afferro la lancia, analizzo la situazione. Lo vedo gonfiare il corpo, minaccioso, aggressivo, e tutto in lui sembra ispirare una forza insormontabile. E’ pronto alla carica.
Cosa posso fare? Fuggire? Sono ancora in tempo? …no… è di fronte a me, ormai non ho scampo.
Mi appello all’orgoglio. Urlo, cercando… sperando di scacciare la paura dal mio cuore. E inizio la carica.
La lancia stretta in pugno, copro la distanza che ci separa a grandi falcate. Il moto delle gambe è armonico… cerco di trasmettere tutta la forza possibile in quello che può essere il mio ultimo salto. Spicco il balzo.
Distendo il braccio.
Affondo.
Carne penetrata. Sangue.
Il mio.
Osservo sconvolto il corno che mi passa da parte a parte.
Mi sorprendo a trovarmi sorridere. Già…un attimo di impazienza ha fatto la differenza tra la vita e la morte, e così ha fatto. La mia. L’ultima lezione che imparerò, prima di raggiungere i miei avi…
Sento a stento il mio corpo volare e schiantarsi su un albero. Il dolore…non so più cosa sia.
La neve mi sommerge, nascondendomi alla luce. Nel buio, mi rilasso.
Sento la vita fuggire.
Chiudo gli occhi.
…
..
.
..
…Ma che… cos’è questa… mi sento intorpidito… come se…
Il mammut! E’ ancora li! Posso ancora…
Raggelo nel toccare terra. Cercavo a tentoni la lancia… e l’unica cosa che noto è quanto questo terreno sia… inusuale. Freddo. Liscio. Persino la consistenza è “innaturale”. Sembra pietra… ma lavorata… non era così pr…
Ma… sono vivo?! Non dovrei essere…
Tocco il punto in cui il mammut mi ha trafitto. Per quanto possa cercare, non trovo ne una cicatrice, ne una ferita marginale, ne una traccia di qualsiasi tipo. Persino i peli sono tornati “integri”.
E i vestiti? Che fine hanno fatto?! E perché non sento freddo?
Mi gira la testa… cerco a tentoni una superficie su cui appoggiarmi. Magari una rupe, magari l’albero su cui ricordo di essere stato scaraventato.
Mi ritrovo a stringere tra le mani una strana asta. Fredda, di un materiale più duro della pietra. Un materiale del tutto ignoto.
Mi sembra di impazzire… ed è lì che mi accorgo della mia situazione.
Sono in trappola. Chiuso qui, tra quattro muri di sbarre, prigioniero. E a quanto vedo non sono il solo. Lo sguardo corre sul mammut stesso, ma i detenuti sono tanti… bestie, che condividono lo stesso stato da detenuti.
Le grandi distese innevate falciate dal vento, le rade vegetazioni… sembra tutto così lontano ora. Qui… qui non c’è niente. Né una fronda, né uno specchio d’acqua… persino lo spazio manca!
Solo a quel punto metto a fuoco chi sono i miei carcerieri.
Li scorgo a stento con la coda dell’occhio, come se fossero apparsi dal nulla. Sobbalzo, ma mi ricompongo subito. Sono un guerriero. Un guerriero non mostra MAI la sua paura. Li osservo guardingo… e loro osservano me.
Umani. Almeno sembrano tali. Però… sono strani. Non sembrano una tribù di combattenti, esili come sono… e i peli! Non vedo neanche un pelo su quelle porzioni di pelle non coperte. Tutti vestiti dello stesso vestito, dello stesso strano materiale. Tutti uguali.
Sono… inquietanti. Non fanno un cenno, ma non mi staccano gli occhi di dosso. Occhi vitrei, senza emozioni, che continuano imperterriti ad osservarmi. Che siano curiosi? Cosa hanno da guardare? Non hanno mai visto un vero uomo?!
Mi infastidiscono. Mi irritano. Mi terrorizzano.
Distolgo lo sguardo. Ecco, lo abb… ma cos…
Noto uno strano recipiente nella gabbia.
Mi avvicino, odorando. Carne. Per cosa mi hanno preso, per una dannata BESTIA D’ALLEVAMENTO?! Sono un uomo, maledetti, un uomo!
Il mio orgoglio viene messo a tacere dal mio stomaco.
Sento le energie venire meno… sembra che non mangi da secoli! Tremante, afferro il cibo, sentendo la vergogna aumentare ad ogni morso. Inghiotto carne e bile.
Macchiare così l’onore di un guerriero…la pagherete cara, maledet…
Le mie imprecazioni si fermano al sentire versi familiari. Lancio lo sguardo verso la sorgente del suono e vedo cuccioli d’uomo osservarmi. Ridono, gli scriccioli. Risate vuote e piatte come le loro espressioni, ma indubbiamente risate. Di scherno.
Cuccioli che ancora puzzano di latte ridono di me. Ridono. Ridono. RIDONO.
Non ci vedo più. Il volto piegato in una maschera d’ira, mi lancio verso di loro. Al tocco delle sbarre…. ricado indietro. Urlo, sentendo un dolore disumano pervadermi. Il corpo inizia a scuotersi da solo, senza controllo. Mai ho provato un dolore simile.
Tremo. Urino. Ridono.
Sento le risate aumentare, e il mio ego morire. Iniziano a lanciarmi pietre. Le sento percuotermi il volto, il torace, il corpo…e non so se è per il dolore o per la vergogna che inizio a piangere…
...
...
Del mio orgoglio, del mio onore… nulla più è rimasto ormai.
Non ho coscienza del tempo che è passato da quando mi sono risvegliato in quell’inferno. Imprigionato come sono, persino la vista del cielo mi è preclusa, e la monotonia dei giorni aiuta ad alimentare quel senso di alienazione che mi pervade. Magari son passati mesi, se non addirittura anni. Già… il tempo sicuramente è passato, seppur privato di qualsiasi valore…
L’unica cosa che posso fare, chiuso in quel buco, è guardarmi attorno… e ormai quel posto l’ho esplorato attentamente. Con lo sguardo, si intende.
Spesso mi sono fermato ad osservare gli altri “detenuti”. Chiusi da sbarre, ingabbiati, vedo animali che una volta imperversavano su quelle lande che una volta mi erano così familiari. Spesso erano minacce, come quella maestosa tigre dai denti a sciabola, altre volte comode prede, se non fidi compagni. Altri animali invece… non li ho mai visti in vita mia. E nonostante i possibili contrasti che una volta ci legavano, ora ci accomuna un senso di empatia che mai mi sarei aspettato di provare… nemmeno per la gente del mio villaggio. Spesso rimango a guardare quel mammut, la prima cosa che i miei occhi hanno scorto quando si sono inaspettatamente riaperti. Magari è lo stesso che mi ha ucciso in quella battuta di caccia. Magari no. So solo che gli sguardi che ci scambiamo da dietro le sbarre mi tengono compagnia come poche cose… e pensare che magari è davvero il responsabile della mia morte!
Perché io sono morto. Quella sensazione è troppo viva nella mia testa perché possa pensare di negarla.
Come non posso negare di essere vivo ora. E vivendo li è nata in me l’idea di non essere l’unico ad aver dovuto sottostare a questo ciclo abominevole.
Già… questa è probabilmente l’altra cosa che accomuna noi “reclusi”. La provenienza
Quel capanno, li, al centro di questo inferno.
L’unica struttura un minimo differente in quell’oceano di gabbie tutte uguali, l’unica nota diversa nella squallore di quel posto.
Mi ritrovo spesso a lanciarci uno sguardo. Alto, imponente, grigio. Salta all’occhio il marchio disegnato sulla parete. Ci sono… strane lucertole. Bipedi, dall’aria aggressiva.
Quell’edificio spesso emette strane luci, intense, che più di una volta ci hanno fatto entrare nel panico. E ogni singola volta, dalle viscere di quel tripudio luminoso, un altro disgraziato veniva vomitato tra noi. Era impossibile non associare quei bagliori all’amara consapevolezza che un’altra vita veniva restituita da quei mostri con chissà quale stregoneria per lo stesso, solito motivo: farle perdere di significato.
E il ritmo con qui questi nuovi parti avvengono sta aumentando vertiginosamente negli ultimi tempi.
Vedo spesso i nostri carcerieri abbozzare un’aria soddisfatta su quelle maschere piatte che si ritrovano al posto del volto. Demoni che non sono altro, giocano. Giocano a dominare la natura. E sembrano fuori controllo.
Eppure, nonostante le differenze, sono pur sempre…
Le luci! Di nuovo?!
Mi appiattisco al suolo, atterrito. Quelle luci… mai le avevo viste così intense! E queste urla? Cos’è successo? Cos’è questo baccano?
Urlano. Urlano. Urla di disperazione. Forse qualcosa è andato storto, forse…
Mi ritrovo a sorridere vedendoli emergere dal capannone con la paura dipinta sul volto. La paura, nonostante tutto, la riescono a mostrare ancora.
Li guardo scappare, cercare di mettersi in salvo… e finalmente capisco da cosa.
Quelle lucertole! Le stesse del marchio. Ma quante sono…
Vive. Affamate. Decine.
Si riversano, portando con loro il terrore e il caos.
Rido. Rido pensando all’arroganza che li ha condannati. Forse sono andati a stuzzicare qualcosa di troppo grande per loro. Qualcosa fuori dalla loro portata. O forse… forse non hanno saputo aspettare.
Rido alla sola idea. E’ sempre difficile attendere eh? E ora guardali, i disgraziati. Giocavano a fare gli dei. Guardali invece ora come fuggono, guardali come si attaccano alle loro vite quando hanno disprezzato le nostre!
Fuggite, sciocchi! Fuggite, schiavisti! Finalmente raccogliete ciò che avete seminato!
Vedo il branco di “lucertole” spargersi, inseguirli, banchettare coi loro cadaveri. Li osservo euforico, assaporando una vendetta a cui non sto partecipando. Guardo ciò che è stato costruito da quei maledetti crollare al suolo, e quasi non mi accorgo che nella loro furia cieca i rettili si avventano tra le prigioni.
L’euforia lascia il posto al cieco terrore. Si avvicinano, travolgendo tutto. Sento la terra tremare al loro passo, le gabbie cedere alla loro pressione. Si avvicinano.
Cerco scampo nelle viscere della prigione, salto verso di esse, ma l’impatto di quelle forze della natura scuote le fondamenta stesse di quel posto.
Rovino a terra… e guardando in alto, vedo il soffitto iniziare a cedere.
Chiudo gli occhi.
.
..
…li riapro ancora una volta.
La mia vista, annebbiata come i miei sensi.
Cerco di muovere le braccia… le gambe… nessuna risposta.
L’unica cosa che sento sono gocce scorrere dal naso. Sangue.
Non mi azzardo a guardare come il resto del corpo sia ridotto in questo momento.
Posso solo immaginare il fetore che emetto. Il fetore del sangue… il migliore richiamo per i predatori.
Predatore e preda… i ruoli si scambiano sempre.
Abbozzo un mezzo sorriso. Le immagini vanno e vengono. Intravedo una sagoma nera… immagino uno di quei rettili, attirato dalla carne fresca che aspetta solo di essere divorata.
Dovrei provare terrore, cercare di liberarmi, di raccogliere le energie, di salvarmi la vita.
Ma non provo nulla di tutto ciò. Quasi aspetto la fine.
La verità è che io sono già morto. Morto lì, impalato, agonizzante per un errore.
Lì, su quelle distese innevate che non riesco più neanche a sognare.
Nel silenzio che mi circonda,sento il rumore dei passi, prima appena percepibile, diventare più intenso, e la sagoma diventare sempre più grande, ogni istante.
Non sento ormai neanche più il sangue che mi ricopre.
Chiudo gli occhi, spero per l’ultima volta.
Sento l’alito del mostro sul mio volto, l’ultima sensazione, prima dell’oblio.
No, la vita che mi è stata restituita… non la desidero.
Non reagisco neanche più.
…
..
.
1 commento:
Bello. Bravo, hai fatto un buon lavoro di limatura dalla bozza che mi avevi fatto leggere.
Occhio soltanto a qualche termine ripetuto a distanza troppo ravvicinata.
Per il resto trama interessante, anche se forse lascia troppe cose in sospeso, ma a volte è meglio così.
Anche se io tifavo per l'omino q__q
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